Chi è il mio prossimo? È una domanda che forse dovrei pormi ogni giorno per riconoscere chi è accanto a me come destinatario dellʼamore misericordioso di Dio Padre esattamente come lo sono io. La domanda, però, dovrebbe essere posta meglio: di chi io sono prossimo?
Nel racconto, infatti, vi è un rovesciamento di tale ruolo. Il dottore della Legge chiede: «E chi è mio prossimo?». A una prima lettura sembrerebbe che a dover essere amato con tutto il cuore, con tutta lʼanima e con tutte le forze, come Dio, sia lʼuomo caduto nella mani dei briganti. Gesù alla fine, però, domanda al dottore della Legge chi sia stato prossimo di tale uomo ed egli risponde: «Chi ha avuto compassione di lui». Il prossimo, quindi, è il samaritano! È lui che si è fatto vicino al bisognoso e non il contrario.
Il punto, insomma, non è tanto cercare chi mi è prossimo: il Signore chiede a me di farmi prossimo dellʼaltro. Contemplando questa parabola sono invitato a immedesimarmi in uno di questi personaggi: sono il sacerdote, il levita, il samaritano? Oggi potrei anche essere lʼuomo a terra o, ancora, essere lʼalbergatore, coinvolto in un ciclo di bene, spettatore della grazia, grazia da cui scaturisce la mia lode a Dio.
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Lʼadesione alla Legge non può e non deve rimanere sul piano astratto della teoria: il Signore mi invita a prendere sul serio il cammino di fede, per aderire al suo infinito amore senza risparmiarmi. «Va’ e anche tu fa’ così», dice al dottore della Legge. Si tratta di un imperativo: nel rapporto con lʼaltro – e così nel rapporto con Dio – non si può pretendere di rimanere eterni bisognosi, aspettando solamente di ricevere. Riconoscendomi creatura amata dal Signore, diventa un imperativo morale per me essere portatore di questo amore nel mondo. Non posso farne a meno!
Marco Ruggiero
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Fonte: Get up and Walk – il vangelo quotidiano commentato