don Andrea Vena – Commento al Vangelo di domenica 8 Ottobre 2023

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Domenica scorsa il Signore Gesù ha fermato la nostra attenzione sulla parabola dei due fratelli, che, alla richiesta del  padre di andare a lavorare nella sua vigna, agiscono in contraddizione alla risposta prima data (Mt 21,28-32). Questo a  ricordarci che talvolta “l’azione” può rinnegare la “parola”. Non basta quindi fermarsi a quanto detto, ma vedere cosa  uno fa realmente. Messaggio chiaro rivolto a coloro che si riempiono la bocca di parole, di precetti o citazioni… ma poi  la loro condotta di vita è completamente in dissonanza. 

Oggi ci viene presentata un’altra parabola, con la stessa finalità: smascherare l’ipocrisia, la doppiezza. Il testo evangelico viene preceduto e direi preparato dalla prima lettura tratta dal libro del profeta Isaia. Un uomo aveva una vigna,  fertile, dissodata, sgombrata dai sassi e con tanto di torre. Una cura quasi meticolosa per la vigna dalla quale poteva  attendersi solo un’uva prelibata; invece produsse acini acerbi. Narrata questa prima parte, il profeta si rivolge agli uditori: «Che cosa dovevo fare ancora alla mia vigna che io non abbia fatto?». E aggiunge: «Toglierò la sua siepe e si trasformerà in pascolo… la renderò un deserto, non sarà potata…».

Probabilmente gli uditori, ascoltando, annuivano, concordavano ed è proprio in questo frangente che il profeta sferra il colpo: «Ebbene, la vigna del Signore degli eserciti è la  casa d’Israele: gli abitanti di Giuda sono la sua piantagione preferita. Egli si aspettava giustizia ed ecco spargimento di  sangue, attendeva rettitudine ed ecco grida di oppressi». Il salmo responsoriale, che fa da risposta orante a questo testo,  è un prolungamento di memoria e di lamento, ma nello stesso tempo una supplica: «Dio degli eserciti, ritorna! Guarda  dal cielo e vedi e visita questa vigna, proteggi quello che la tua destra ha piantato…».  

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v. 33: In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: «Ascoltate un’altra parabola: c’era  un uomo, che possedeva un terreno e vi piantò una vigna. La circondò con una siepe, vi scavò una buca per il torchio  e costruì una torre. La diede in affitto a dei contadini e se ne andò lontano. 

Da segnalare l’invito di Gesù: «Ascoltate». Non solo sentire con le orecchie, ma imparare ad ascoltare con attenzione  la parola, accoglierla nel cuore e viverla nella vita (cfr Mt 7,21). Questo è ascoltare. E i primi che dovrebbero farlo, sono  proprio i sacerdoti e gli anziani, le persone più qualificate e rinomate dal popolo. Coloro che dovrebbero prendersi cura  e con cuore del popolo di Dio, vigna del Signore. Tema e linguaggio ricalcano in pieno il testo di Isaia e quindi gli  interlocutori fin da subito comprendono di che si tratta, data la loro dimestichezza con la Scrittura.  

vv. 34-39 Quando arrivò il tempo di raccogliere i frutti, mandò i suoi servi dai contadini a ritirare il raccolto. Ma i  contadini presero i servi e uno lo bastonarono, un altro lo uccisero, un altro lo lapidarono. Mandò di nuovo altri  servi, più numerosi dei primi, ma li trattarono allo stesso modo. Da ultimo mandò loro il proprio figlio dicendo:  Avranno rispetto per mio figlio! Ma i contadini, visto il figlio, dissero tra loro: Costui è l’erede. Su, uccidiamolo e  avremo noi la sua eredità. Lo presero, lo cacciarono fuori dalla vigna e lo uccisero. 

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La prima osservazione: Dio, come il padrone della vigna, dopo essersi tanto preso cura della vigna stessa, si aspetta di  ricevere il frutto di quanto Lui ha donato. Potremmo dire che Dio/il padrone dona, ma chiede anche di essere ricambiato. Ama, e si attende/spera/desidera di essere amato/ricambiato. Attende gesti che rivelino quanto è custodito nel  cuore. Non obbliga, ma esprime un desiderio. Un auspicio. Un modo, questo, per spronare, per ricordare che quanto  uno ha ricevuto e gestisce è «in prestito». Non sono/siamo padroni della vigna: un rischio di ieri ma anche di oggi.

Illudersi di credere che per il semplice fatto di ricoprire un incarico, un ruolo… siamo «padroni» di tutto e di tutti! Il Padrone,  dunque, manda prima alcuni servi – i profeti – e in ultimo manda il suo stesso figlio. Una decisione che nasce dalla  speranza che almeno di fronte al figlio i contadini consegnino il raccolto. Questi invece, vedendo il figlio, decidono di  ucciderlo per impossessarsi della vigna! Pura illusione, visto che la vigna resta del padrone! Si noti che la descrizione di  questo momento ricalca quanto avverrà a Gesù al termine della sua vita: lo rifiuteranno, lo porteranno fuori della città  e lo crocifiggeranno. E la cosa paradossale è che alla fine sarà proprio il sacrificio in croce del Figlio Gesù a restituire al  Padre del cielo i frutti sperati. Questo Figlio, infatti, amerà talmente tanto la vigna da dare per essa la sua stessa vita,  frutto maturo d’Amore. 

vv. 40-43. «Quando verrà dunque il padrone della vigna, che cosa farà a quei contadini?». Gli risposero: «Quei  malvagi, li farà morire miseramente e darà in affitto la vigna ad altri contadini, che gli consegneranno i frutti a suo  tempo». E Gesù disse loro: «Non avete mai letto nelle Scritture: “La pietra che i costruttori hanno scartato è diventata la pietra d’angolo; questo è stato fatto dal Signore ed è una meraviglia ai nostri occhi”? Perciò io vi dico: a  voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti». 

La parabola si conclude con una domanda da parte di Gesù: «Il Padrone…che cosa farà a quei contadini?». E nella  risposta dei suoi interlocutori si trova già la loro condanna: «Quei malvagi li farà morire miseramente… e darà ad altri la  vigna…». Gesù fa capire che non basta sapere bene, rispondere bene se poi non si vive bene: «Perciò io vi dico: a voi sarà  tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca frutti». A questi verrà dunque tolta la vigna, perché hanno  deluso le attese del Padrone, perché non hanno prodotto i frutti voluti. 

Ma questi «sacerdoti e anziani del popolo» siamo anche ciascuno di noi: anche noi in una certa misura esercitiamo  autorità nei riguardi di chi ci sta vicino. Infatti, come dicevamo tre domeniche fa, Dio ci ha posti quali sentinelle, custodi  dei fratelli che incontriamo lungo il cammino della vita (cfr Mt 18,15-20, 10 settembre). Siamo invitati a domandarci se  ci stiamo prendendo cura, con verità, di chi il Signore ha voluto metterci accanto; se stiamo coltivando rapporti sinceri  capaci di portare frutti di giustizia e di pace, di pazienza e di misericordia. Noi siamo oggi la vigna del Signore chiamata  a portare frutto anche attraverso la custodia e la cura di quanti ci stanno accanto e del creato stesso, che ci è stato  consegnato. Siamo vigna chiamata a portare frutti buoni, e siamo servi chiamati a prenderci cura della vigna in cui siamo  immersi (il nostro tempo, la nostra gente, il creato..). 

Nella sua conclusione Gesù è molto duro, sembra quasi che non sia una pagina di vangelo. Ma il Signore sta mettendo  i suoi interlocutori di fronte alle loro responsabilità, e lo fa con chiarezza e schiettezza. Non si può pensare di restare  seduti su più sedie perché l’ambiguità non è gradita al Signore: «Non sei né caldo né freddo» (cfr Ap 3,16); e in un altro  passo Gesù ricorda che «Non si può servire a due padroni» (Lc 16,9-15). Gesù ci sta così aiutando a comprendere che  l’amore è una decisione esigente; detto in altre parole, Gesù ci sta aiutando a comprendere che ogni grande «si» nella  vita, nell’amore… è accompagnato da impegnativi «no».

La vigna del Signore, il popolo di Dio, appartiene a Dio. Noi  siamo custodi: a noi è semplicemente affidata questa terra e siamo chiamati a «custodirla e coltivarla» (Gen 2,15). La  vera autorità, quindi, è servizio non sfruttamento! Solitamente la seconda lettura non è collegata al tema del vangelo,  ma oggi si offre a noi come un vero dono: siamo chiamati a coltivare quello è vero, nobile, giusto, puro, amabile,  onorato: ciò che è virtù e merita lode, questo sia oggetto del nostro impegno, ricorda san Paolo (Fil 4,8).  

A noi dunque restare saldi nella fede alla pietra angolare che è Cristo stesso: rimanere in Lui, come il tralcio che non può  portare frutto da se stesso se non rimane nella vite (Gv 15,1-8).

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Mt 21, 33-43 | don Andrea Vena 60 kb 10 downloads

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