«Per me vivere è Cristo!»
Gli operai della prima ora non ci stanno: «Questi ultimi hanno lavorato un’ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo!». Il ragionamento non fa una piega. Questa cosa sembra ingiusta, da “denuncia ai sindacati”.
Ma non dimentichiamo che le parabole hanno lo scopo di mettere in crisi alcune nostre idee incompatibili con i “pensieri di Dio”. «I miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie», dice il Signore nella Prima Lettura.
L’idea che questa parabola mette in crisi è quella che noi serviamo il Signore in vista di un “salario”; perciò, tanto più fatichiamo per Lui, quanto maggiormente abbiamo diritto a un lauto stipendio. Questo modo di ragionare è secondo il mondo, ma non secondo Dio; perché Dio è Amore e agisce sempre e soltanto per amore e così dovremmo fare noi. Ai suoi occhi noi siamo figli, non salariati, e i figli si amano tutti allo stesso modo. L’unico “salario” è la Vita di Gesù, un dono infinito che non può essere né diminuito né accresciuto. Questo simboleggia l’unico denaro della parabola. Inoltre, chi ha davvero scoperto di essere amato da Dio, non lo serve in vista di una ricompensa, perché la ricompensa più grande è Lui, è poterlo servire, poter vivere piacendo a Lui, come esclama san Paolo nella Seconda Lettura: «Per me vivere è Cristo!» e come recita il Salmo 119: «Ho piegato il mio cuore ai tuoi comandamenti, in essi è la miaricompensa».
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Gli operai della prima ora, perciò, invece di recriminare dovrebbero ringraziare per aver avuto l’opportunità di lavorare nella vigna tutta la giornata. Per chi ama veramente, anche la fatica e le sofferenze divengono un “diletto”, com’era solito dire san Francesco d’Assisi: «Tant’è il bene che m’aspetto ch’ogni pena m’è diletto!».