Questione di sguardi
Sappiamo quanto sia vitale l’esperienza umana di essere “visti”, accolti, riconosciuti nella propria unicità dallo sguardo degli altri. I racconti di vocazione descritti dai vangeli condensano l’attenzione sullo sguardo di Gesù che “passa e vede”: uno sguardo che mostra una simpatia a priori, un amore incondizionato nei confronti del chiamato («Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò», Mc 10,21).
Proprio l’apostolo Matteo, di cui oggi facciamo memoria, ha sentito rivolto su di sé lo sguardo penetrante di Gesù. Nei suoi confronti non ha il dito puntato, come vorrebbero molti farisei del tempo che consideravano i pubblicani dei peccatori pubblici, da evitare in nome di un’ossequiosa pratica religiosa. No, Gesù vede Matteo in profondità, “scommette” su di lui e sulle sue potenzialità più celate.
L’amore genera l’amore. Tutto può cambiare in colui che si sente visto, chiamato per nome, riconosciuto nel proprio desiderio, oggetto di un’attenzione che esprime una fiducia incondizionata. Non si rimane indifferenti a uno sguardo e a una parola che trasmettono accoglienza e toccano il cuore. Si risponde, ci si mette in cammino. Come Matteo, che si alza e segue il suo Signore.
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Questa pagina del vangelo mette in luce un altro modo di vedere, quello di chi giudica l’altro e lo etichetta nel suo peccato “manifesto”, senza riconoscere le possibilità di cambiamento e di rinascita racchiuse nell’umano: «Come mai il vostro maestro mangia insieme ai pubblicani e peccatori?».
Gesù altrove è descritto come «un mangione e un beone, amico dei pubblicani e dei peccatori» (Mt 11,19). Egli amava sedersi a tavola con coloro che la società religiosa del tempo metteva in un angolo. Ha narrato in modo speciale il volto di Dio, andando alla ricerca delle “pecore perdute della casa di Israele” (Mt 15,24), facendosi medico per i malati, prossimo a coloro che si riconoscevano peccatori e bisognosi di salvezza.
«Voglio misericordia, non sacrifici!». Per Gesù la misericordia è il criterio primo delle sue scelte, talmente libere da creare sorpresa e perfino scandalo. Non sorprende perciò che Gesù abbia accolto l’invito di Matteo e si sia seduto alla sua tavola, luogo di comunione e convivialità, in contrasto con le prescrizioni delle leggi di purità: c’era da fare festa per un’esistenza rinata.
Anchea ciascuno di noi è offerta quotidianamente questa possibilità di riscatto e di salvezza, nella misura in cui sappiamo “vedere” il nostro peccato, senza gettarlo sugli altri. Come il pubblicano seduto al tempio «che non osava nemmeno rivolgere gli occhi al cielo» (Lc 18, 9-14), ma che scorgendo lucidamente in sé le proprie mancanze, si è scoperto amato e perciò salvato da colui «che è più grande del nostro cuore e conosce ogni cosa» (1Gv 3,20).
Questa èla viaper camminare nello spazio esteso della misericordia del Signore che trasforma la nostra vita dischiudendola, allargandola, rinnovandola: «Se uno è in Cristo, è una nuova creatura» (2Cor 5,17).
fratel Salvatore
Per gentile concessione del Monastero di Bose
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