Perdono perché perdonato.
Dopo i discorsi sulla correzione fraterna Pietro fa una domanda specifica: «Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?».
Lui, uomo concreto, ex-pescatore di Cafarnao, vuole una regola precisa sul perdono, un limite. Pietro parte da una misura alta: più del doppio di quanto imponeva la legislazione rabbinica che bloccava a tre il numero massimo del perdono fraterno. Sono certo che Pietro si aspettasse i complimenti e invece… «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette». I numeri alludono a Gn 4,24 Cos’era successo? Caino aveva ucciso il fratello Abele: si aspettava quindi la vendetta di qualcuno. Lamech, uno dei discendenti di Caino, aveva ucciso per cose da poco: un ragazzo per un pugno ricevuto e un uomo per un graffio. Anche lui, quindi, avrebbe meritato la stessa sorte ma «sette volte sarà vendicato Caino, ma Lamec settantasette» (Gn 4,24).
Siamo oltre il buon senso. La regola di Gesù è paradossale, ispirata al perdono stesso di Dio. Insomma il discepolo è chiamato a perdonare senza misura perché Dio ha perdonato senza misura. L’unica misura del perdono è perdonare senza misura, perché il vangelo è la bella notizia che l’amore di Dio non ha misura. Perché devo perdonare? Perché così fa Dio.
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Talenti
Gesù non risponde a Pietro ma in fondo gli pone una domanda: per quali ragioni perdoni?
Allora Gesù racconta una parabola. La parabola non è mai una risposta ma porta alle ragioni vere e profonde di ogni azione.
«Il regno dei cieli è simile a un re che volle regolare i conti con i suoi servi. Aveva cominciato a regolare i conti, quando gli fu presentato un tale che gli doveva diecimila talenti». L’ammontare del debito (diecimila talenti) è volutamente esagerato: il valore di un talento variava tra ventisei e trentasei chilogrammi d’oro, cioè la paga di un operaio per seimila giornate di lavoro, pari a diciassette anni di retribuzione. La somma equivale a sessanta milioni di giornate lavorative, circa 164.384 anni! Un debito più grande della sua stessa vita.
In risposta alla supplica del servo di avere pazienza, il padrone non solo gli condona il debito, ma mostra sensibilità e generosità chiamandolo eufemisticamente “prestito”. «Il padrone ebbe compassione di quel servo», letteralmente è “l’amore viscerale”. E’ il verbo del buon samaritano, del padre misericordioso, di Gesù che si commuove di fronte al figlio unico della vedova di Nain.
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L’uomo perdonato avrebbe dovuto far festa, essere felice, saltare dalla gioia. E, invece, «appena uscito quel servo trovò uno dei suoi compagni, che gli doveva cento denari. Lo prese per il collo e lo soffocava, dicendo: “Restituisci quello che devi!». Non un’ora dopo, non il giorno dopo, «appena uscito» non prova nessun sentimento. Incontra uno che gli è debitore di cento denari: una sciocchezza! Amico lettore, chi non prova sentimenti è capace di tutto; chi non ha cuore non può percepire la sofferenza dell’altro.
Il suo compagno dice le stesse parole che lui aveva detto al re, ma il servo spietato non riserva al compagno lo stesso trattamento da lui ricevuto.
Lasciare
Il servo malvagio non ha imparato niente dalla lezione di misericordia ricevuta. Il servo è condannato perché la sua vita non è stata trasformata da quell’amore ricevuto gratuitamente.
Questo è il motivo del perdonare: fare ciò che Dio fa. Acquisire il cuore di Dio. Perdonare significa, secondo l’etimologia del verbo greco “aphíemi “, lasciare andare.
Il perdono nasce dalla memoria che i primi a essere perdonati siamo stati proprio noi, e che senza la memoria di questa grazia che abbiamo ricevuto, non riusciremo mai a farlo anche noi di conseguenza. La domanda nasce spontanea: abbiamo memoria di quanto siamo stati perdonati? Si perdona solo se si domanda al Signore la grazia di vedere quanto noi stessi abbiamo bisogno di perdono.
Perdonare non significa smettere di provare dolore e sofferenza. Noi possiamo decidere che cosa farne di quella rabbia, di quel dolore. Il dolore spesso può chiedere vendetta: il perdono invece disobbedisce a questa richiesta del dolore.
Il finale non è la punizione di Dio, ma è ciò che succede a tutti quelli che si staccano dalle proprie emozioni: vivono nell’inferno. L’insegnamento della parabola è chiaro: mentre l’uomo pensa per equivalenza, Dio pensa per eccedenza. Perdonare comporta un atto di fede e di speranza nell’uomo. Significa dare fiducia all’altro, guardando non al passato, ma al futuro. Amico lettore, così fa Dio con te: ti perdona non dimenticando il tuo passato, ma sospingendoti oltre.
Perdono
La misericordia è il cuore della fede cristiana. Noi siamo ancora legati alla logica: peccato, castigo, pentimento, perdono. Ancora una volta abbiamo annacquato la portata rivoluzionaria del vangelo che, non a caso, costerà la vita al rabbi di Nazareth. Sì, la misericordia scandalizza, è per questo che Gesù sarà messo in croce. Amico lettore, nel vangelo, il perdono precede sempre la conversione.
Ci si converte, ci si pente perché si è stati perdonati. Nessun personaggio evangelico sarà perdonato dopo essersi pentito, ma tutti si pentiranno dopo essere stati perdonati. Solo l’amore di Dio rende possibile la conversione perché non è meritocratico, è amore solo da accogliere. Non è la conversione dell’uomo che produce la misericordia di Dio, ma il contrario: la misericordia di Dio provoca la conversione dell’uomo. Questa verità è motivo di scandalo ancora oggi. Avere misericordia, smettere di giudicare, amare i nemici: il cristianesimo è tutto qui. Il resto sono amabili conversazioni.
Il perdono di Dio è gratuito: non si merita e non si conquista. E’ un dono. Gesù non invita mai gli uomini a chiedere perdono a Dio, né a fare penitenze. Il perdono di Dio è sempre certo e sicuro: Gesù non lo chiede all’adultera; non lo chiede alla peccatrice; non lo chiede neppure a Zaccheo. Gesù chiede, invece sempre, ottenuto il perdono di Dio, di perdonare i propri fratelli. Perché chi ha ricevuto perdono, perdona. Gesù lo aveva detto, e lo diciamo anche noi, nel “Padre Nostro”: «Rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori» (Mt 6,12). Ricevere perdono, infatti, è fare l’esperienza di essere amati, di essere accolti, è percepire che non perdiamo valore per Dio, ma per ricevere perdono bisogna aprirsi: cioè bisogna lasciare che l’amore di Dio ci entri dentro. Bisogna cioè avere l’umiltà di ricevere e di accettare che Dio ci ami nonostante tutto.
La bella notizia di questa domenica? Dio perdona come un liberatore, ti lancia avanti, ti perdona come atto di fede in te.
Fonte: il blog di Paolo de Martino | CANALE YOUTUBE | PAGINA FACEBOOK