don Andrea Vena – Commento al Vangelo di domenica 17 Settembre 2023

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I testi del vangelo di queste ultime domeniche stanno tratteggiando alcuni elementi importanti delle comunità cristiane. Il primo, è riconoscere Gesù come Cristo e Signore (cfr XXI domenica – 27 agosto), consapevoli che questo non  ci esime dall’essere sempre tentati di scegliere scorciatoie pur di non affrontare fatica e sofferenza (cfr XXII domenica,  3 settembre). Proprio perché deboli siamo e restiamo peccatori, e questo chiede a tutti consapevolezza del fatto che  tutti sbagliamo e che serve una buona dose di pazienza per saperci aiutare anche correggendoci vicendevolmente, con  rispetto e discrezione (cfr XXIII domenica, 10 settembre).  

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Oggi veniamo invitati a fare un passo ulteriore: nel perdonare, non possiamo usare i nostri calcoli umani, il bilancino,  ma come Dio ha perdonato a noi (e continua a perdonarci), così anche noi siamo chiamati a perdonare chiunque. Sempre e comunque. Se ci fermiamo alle logiche umane di sentimento o temperamento, useremo metri di misura molto  limitati. Ma se l’orizzonte è Dio, allora le cose cambiano, scrive il Siracide, nel testo proposto come prima lettura: «Perdona l’offesa al tuo prossimo e per la tua preghiera ti saranno rimessi i peccati… Ricordati della fine e smetti di odiare… Ricorda i precetti e non odiare il prossimo, l’alleanza dell’Altissimo e dimentica gli errori altrui».

Dio, canteremo nel salmo,  «è buono e grande nell’amore; perdona tutte le tue colpe… Non è in lite per sempre, non rimane adirato in eterno. Non ci  tratta secondo i nostri peccati… quanto dista l’oriente dall’occidente, così egli allontana da noi le nostre colpe». Ecco la  chiave con la quale accostarsi al testo evangelico per cogliere tutta la bellezza del suo messaggio. Il testo inizia esattamente da dove lo avevamo lasciato domenica scorsa.  

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vv. 21-22: In quel tempo, Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: «Signore, se il mio fratello commette colpe contro di  me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?». E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino  a settanta volte sette». 

Il tema è lo stesso di domenica scorsa: relazione con i fratelli, correzione fraterna e questione del perdono. La domanda  di Pietro fa capire che siamo di fronte a un’offesa a cui non è seguito il pentimento né la richiesta di perdono, come  emerge dal testo parallelo di Luca, dove si presenta la stessa parabola: «Se tuo fratello peccherà sette volte al giorno  contro di te e sette volte ritornerà da te dicendo: “Mi pento”, tu gli perdonerai» (Lc 17,4). Pietro interroga Gesù non solo  sul perdono, ma anche sul limite: «Quante volte… fino a sette volte?». Pietro è generoso nell’indicare questo limite. Di  fatto è il contrario della vendetta, così come presentata in Genesi: «Sette volte sarà vendicato Caino» (Gen 4,24). Mentre  il «perdono» apre al futuro, a nuove relazioni, la «vendetta» rimane prigioniera del passato, è chiusura, fissazione, in capacità di cogliere i fatti nuovi: «Ecco, faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?» (Is 43,19). Chi  è animato dal rancore è accecato, incapace di cogliere il bello che c’è attorno a lui. Ed è la novità più grande che Gesù è  venuto a portare con il suo Amore senza limiti.  

vv. 23-27: «Per questo, il regno dei cieli è simile a un re che volle regolare i conti con i suoi servi. Aveva cominciato a  regolare i conti, quando gli fu presentato un tale che gli doveva diecimila talenti. Poiché́costui non era in grado di  restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, i figli e quanto possedeva, e così saldasse il debito.  Allora il servo, prostrato a terra, lo supplicava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò̀ogni cosa”. Il padrone  ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito».  

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Per aiutare i discepoli, e oggi ciascuno di noi, ad uscire dalla mentalità del contrappeso, Gesù narra una parabola. In  questa prima scena troviamo il condono del debito ad un servo che gli doveva una somma immensa, che non avrebbe  mai potuto restituirgli in vita. Una cifra spropositata. Ebbene, il padrone, dice Gesù, ha compassione di lui e gli condona  tutto: è un servo libero, non è più debitore. Potremmo dire che il debito non è più questione di denaro, ma di «gratitudine», di amore. Alla fine si tratta di perdonare l’imperdonabile: questo è amare senza misura. 

vv. 28-30: Appena uscito, quel servo trovò uno dei suoi compagni, che gli doveva cento denari. Lo prese per il collo e  lo soffocava, dicendo: “Restituisci quello che devi!”. Il suo compagno, prostrato a terra, lo pregava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò”. Ma egli non volle, andò e lo fece gettare in prigione, fino a che non avesse pagato il  debito» 

Segue una seconda scena che ricalca la stessa dinamica incontrata nella prima con due differenze: la prima, che il debito  era molto minore, potremmo dire questione di spiccioli; e la seconda che il servo appena graziato non è stato capace di  compatire il suo compagno, non gli ha condonato il debito! Possiamo dire che il servo graziato non ha capito proprio  nulla di quanto il padrone ha fatto per lui.  

vv. 31-35: «Visto quello che accadeva, i suoi compagni furono molto dispiaciuti e andarono a riferire al loro padrone  tutto l’accaduto. Allora il padrone fece chiamare quell’uomo e gli disse: “Servo malvagio, io ti ho condonato tutto  quel debito perché tu mi hai pregato. Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?”. Sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non avesse restituito tutto il dovuto. Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello».

Segue così un terzo e ultimo elemento. I servi che hanno assistito alle due scene, sono i primi a segnalare al padrone  l’accaduto e il padrone, richiamando il «servo graziato», gli fa capire che non ha compreso nulla, che è rimasto prigioniero del suo egoismo e della sua superbia. Non si è lasciato cambiare dalla grande generosità del padrone che, a questo  punto, lo manda in prigione. Gli toglie cioè la libertà, la grazia ricevuta: non per la durezza del cuore del padrone, ma  per la sua stessa durezza di cuore!  

In questo modo Gesù fa capire che ciò che ci salva è avere coscienza che siamo tutti «graziati»: se solo prendessimo sul  serio questa realtà, le nostre relazioni umane cambierebbero radicalmente. Solo l’amore salva. Importante è sentirsi amati.  

Gesù spiega questo concetto anche nella stessa preghiera del Padre nostro, lì dove dice: «Rimetti a noi i nostri debiti  come noi li rimettiamo ai nostri debitori» (Mt 6,12). Non basta dire le parole se poi queste parole non si trasformano in  azioni di vita, perché – dice Gesù in un altro passo – «Con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi in cambio»  (Mt 7,2). La richiesta di perdono a Dio è credibile se accompagnata dalla disponibilità concreta del perdono fraterno.  

Nella vita possiamo coltivare due atteggiamenti di fondo: partire dalla gratitudine per il bene ricevuto, o partire dal  rancore, dal sentirci eternamente insoddisfatti. Se solo imparassimo a prendere coscienza che siamo immensamente  debitori verso Dio per tutto: per il dono della vita, per gli affetti che riceviamo, per il creato che ci circonda, per il sorriso  di chi incontriamo… se solo imparassimo a sorridere per ogni dono che riceviamo, allora anche le nostre relazioni cambierebbero. In meglio.  

In entrambe le scene meditate troviamo la stessa invocazione: «Abbi pazienza con me e ti restituirò» (vv. 26.29). Eppure due sono le reazioni: nella prima scena il padrone si lascia prendere da compassione, mentre nella seconda non c’è  coscienza di se stessi, di quanto si è vissuto e ricevuto, e ci si appella alla legge più stringente. Ma non è questa la  soluzione: la misericordia supera la legge! Come ricorda il testo del Siracide, «Ricorda la fine e smetti di odiare»: tieni  conto dell’orizzonte. Pensiamo al perdono di Dio nella vita di tutti i giorni e pensiamo alla fine, al nostro fine e lasciamoci  da esso cambiare. Facciamo in modo che il rancore ceda il passo alla misericordia, che la voglia di vendetta ceda il passo  alla pazienza, che l’odio ceda il passo alla pietà. 

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Mt 18, 21-35 | don Andrea Vena 67 kb 8 downloads

XXIV domenica del tempo ordinario, anno A (17 settembre 2023) Sir 27,33-28,9 Sal…

Per gentile concessione di don Andrea Vena. Canale YouTube.