Il messaggio è forte e chiaro: se non metti a frutto i tuoi talenti sei perduto! Se vivi una vita che non valorizza le tue qualità, qualsiasi cosa possano rappresentare per te, la tua vita non vale nulla. Neppure agli occhi di Dio. Sei perso veramente. Che tradotto nel linguaggio di oggi suona come: se non ti dai da fare, sei un fallito. Il che può essere anche vero, ma che ansia! Il Vangelo non era una “buona notizia”? Dove sta la buona notizia in questo racconto? Di un Dio che svaluta, mortifica e miete dove non ha seminato ne possiamo fare anche a meno. La vita è già complicata di per sé che non sentiamo di certo il bisogno di uno sguardo giudicante dall’alto sulla nostra fatica di stare al mondo!
Ma allora, perché Gesù racconta questa parabola? In quanto esseri umani, a livello ancestrale, talvolta inconsciamente, viviamo la nostra vita sottomettendola a una entità che riteniamo superiore. La chiamiamo “dio” o la nominiamo in qualsiasi altro modo, identificandola in qualche ideale, ma il risultato non cambia: a seconda di come elaboriamo interiormente il rapporto con questa entità, tendiamo a vivere di conseguenza.
È il meccanismo relazionale insito nella natura della creatura. Nel momento in cui nasciamo, la nostra vita (psichica, spirituale e sociale) è comunque dipendente dai nostri simili adulti. E questa relazione originaria accompagna e plasma l’intera esistenza. In quanto strutturale, non possiamo scrollarcela di dosso semplicemente negandone l’esistenza. Dal punto di vista spirituale, diventare adulti significa elaborare questa relazione costitutiva continuamente, ogni volta che se ne presenta l’occasione.
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È quello il momento in cui cresciamo in autonomia e libertà, in un movimento che è sempre possibile ripercorrere durante l’intero ciclo della vita. E sì, in modo provocatorio, potremmo quasi dire che Gesù ci aiuta a elaborare questa relazione originaria direttamente con le proiezioni su Dio che ci tengono in catene e ci impediscono di prendere in mano la nostra vita e diventarne pienamente responsabili!
La parabola ci provoca a prendere posizione. Intercetta una nostra particolare immagine distorta di Dio e la proietta alla fine dei tempi, e ci chiede di confrontarla con l’immagine di un Dio che invece muore sulla croce per te: il Dio di Gesù Cristo. Gesù ti chiede di osservare attentamente la differenza: quanto l’immagine del Dio che muore in croce corrisponde all’immagine che viene presentata nella parabola? A partire da questa osservazione puoi prendere una posizione.
Chi vuoi servire? Un dio che incute timore o un Dio che muore per te? Non c’è una terza viva. Non servire nessuno è l’illusione di chi non riconosce che l’essere umano è relazionale sin dall’inizio. Gesù non elimina il riferimento ancestrale, ce lo fa elaborare. Perché noi esseri umani non sperimentiamo la libertà in senso assoluto, come già data, ma sempre dentro la dinamica dell’essere liberati.
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Fonte: Get up and Walk – il vangelo quotidiano commentato