Domenica scorsa – XIX domenica – ci siamo soffermati sulla poca fede degli Apostoli, impauriti dalle onde del lago (cfr Mt 14,22-33); martedì invece, il nostro sguardo e il nostro cuore si sono posati sulla fede di Maria, la madre di Gesù. E’ interessante questo contrasto perché dimostra ancora una volta che la fede non dipende dal ruolo che rivesti, ma dal cuore che coltivi, come emerge chiaramente anche dall’episodio descritto nel vangelo odierno.
vv. 21-24: «In quel tempo, partito di là, Gesù si ritirò verso la zona di Tiro e di Sidòne. Ed ecco una donna Cananèa, che veniva da quella regione, si mise a gridare: “Pietà di me, Signore, figlio di Davide! Mia figlia è molto tormentata da un demonio“. Ma egli non le rivolse neppure una parola. Allora i suoi discepoli gli si avvicinarono e lo implorarono: «Esaudiscila, perché ci viene dietro gridando!». Egli rispose: «Non sono stato mandato se non alle pecore perdute della casa d’Israele».
La scena avviene fuori dai confini d’Israele e l’evangelista lo fa capire ripetendo più di una volta questo dato: «zona di Tiro e Sidone», «donna cananea» – quindi nemica del popolo -, «da quella regione»… quasi a rimarcarne la distanza. Ebbene, questa donna si mise a gridare: «Pietà di me, Signore, figlio di Davide!…». Questa straniera entra in dialogo con Gesù in modo diretto, senza minimamente lasciarsi intimorire dalla sua condizione di «straniera». Ciò che colpisce è che Gesù non le dà retta. Sembra quasi che innalzi un muro, che rimarchi quel confine che la donna non ha rispettato: «Non sono stato mandato se non alle pecore perdute della casa d’Israele».
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Gesù si pone in linea con l’atteggiamento dei rabbì del suo tempo, che ritenevano sconveniente l’incontro con una donna, ancor più con una straniera. Ma lei non rinuncia: grida, urla finché i discepoli, per fastidio e non per convinzione, chiedono a Gesù di esaudirla. Lo fanno per farla tacere, non per compassione nei riguardi della figlia per la quale chiede la guarigione. Intanto la donna continua a implorare: è un grido che esprime tutto il suo dolore, la sua disperazione, una vita segnata dalla sofferenza di una madre che vede la figlia tormentata (cfr Mc 5,25: «Una donna, che da dodici anni era affetta da emorragia e aveva molto sofferto per opera di molti medici…»).
vv. 25-28: «Ma quella si avvicinò e si prostrò dinanzi a lui, dicendo: «Signore, aiutami!». Ed egli rispose: «Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini». “È vero, Signore”, disse la donna, “eppure i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni”. Allora Gesù le replicò: «Donna, grande è la tua fede! Avvenga per te come desideri». E da quell’istante sua figlia fu guarita».
Di fronte l’insistenza, Gesù risponde in modo duro, ricordando che prima si devono saziare i figli – cioè i figli d’Israele – poi i cagnolini, cioè i pagani! (“cani” era un termine dispregiativo con cui gli ebrei indicavano le genti, coloro che non appartenevano al loro popolo: cf. Mt 7,6; Fili 3,2; Ap 22,15). La donna non si lascia scalfire dalla sua convinzione, cioè dalla certezza che Gesù può guarire sua figlia: «Signore, anche i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni». Di fronte a queste parole, Gesù accorda quanto richiesto: «Donna… avvenga per te come desideri».
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La donna ottiene l’attenzione di Gesù, ma ancor più la guarigione di sua figlia. Con il suo insistere ha fatto emergere che la salvezza che Gesù è venuto a portare è per tutti, non solo per i figli d’Israele (cfr Mc 5,20), spezzando una volta per tutte quel confine creatosi dalle regole degli uomini (cfr Mt 15,4-9: «…Invano mi rendono culto insegnando dottrine che sono precetti di uomini»). Il grido accorato di questa donna è animato dalle promesse stesse dei profeti, lo stesso che la liturgia ci propone oggi nel testo di Isaia scelto come I^ lettura: «Gli stranieri… li condurrò sul mio santo monte e li colmerò di gioia nella mia casa di preghiera. I loro olocausti e i loro sacrifici saranno graditi sul mio altare…casa di preghiera per tutti i popoli». E il salmo si farà risposta cantando: «Popoli tutti, lodate il Signore… gioiscano le nazioni… Ci benedica Dio e lo temano tutti i confini della terra».
Ma c’è un altro dato che merita attenzione. Gesù accondiscende alla richiesta della donna motivando la sua scelta: «Donna, grande è la tua fede!». Grande è la fede di questa donna straniera, a differenza di quella di Pietro descritta domenica scorsa: «Uomo di poca fede!» (Mt 14,31).
Come la storia di questa donna, anche la mia e nostra storia non sempre è pulita, coerente, lineare: spesso è come la barca descritta domenica scorsa: sballottata dalle onde di difficoltà, di fatiche, di incomprensioni che la segnano pesantemente. Sono i nostri peccati. Questa donna c’insegna a non lasciarci vincere, a reagire e gridare la nostra fiducia in Dio. In fondo questo grido nasce dalla certezza che Gesù è il Salvatore, che in Lui c’è Misericordia. Saper portare davanti al Signore il nostro dolore, le nostre lacrime è quanto questa donna insegna oggi a ciascuno di noi: il Signore ci ascolta… se solo imparassimo a invocarlo! Domenica scorsa è stato Pietro a implorare: «Signore, salvami!»; oggi la donna: «Pietà di me, Signore… aiutami!».
In questa preghiera c’è tutta la fede di queste due persone seppur così diverse: Signore, Kyrie. Questa donna riconosce in Gesù il Signore Dio, quel Signore che i discepoli domenica scorsa hanno riconosciuto solo dopo che Gesù ha placato la tempesta: «Davvero questi è il Figlio di Dio» (cfr Mt 14,33). La donna chiede, implora senza neppure aspettare un segno: lei sa. E nel rivolgersi al Signore, si presenta per quello che è: «Pietà di me». Come a dire, sono peccatrice, ma non per questo non credo in Te. Ha messo davanti a Gesù tutta la sua storia di fragilità e di peccato con una semplicissima espressione: Pietà di me, Signore… aiutami.
Una preghiera che richiama e ricalca quella dell’uomo nato cieco, Bartimeo, che prenderà il nome di “preghiera del cuore”: «Gesù, figlio di Davide, abbi pietà di me» (Mc 10,47). È la fede che porta a dire, anche nel peccato, «Kyrie eleison», Signore pietà! Senza fede, non saremo capaci di dire «Tu», non saremo capaci di dire «Signore»: non è il peccato che ci spinge a chiedere perdono, ma è la fede in Gesù Misericordioso che ci spinge a gridare il nostro bisogno di perdono, di salvezza.
A partire dall’esperienza di questa donna siamo oggi invitati a ricordare che la fede non è un’esperienza di alcuni eletti e che non basta occupare determinati posti o ruoli per sentirsi a posto: questa donna rompe i confini, rompe le certezze umane obbligandoci a metterci di fronte agli altri con rispetto e in atteggiamento di ascolto perché in Cristo «Non c’è Giudeo né Greco; non c’è schiavo né libero… tutti voi siete uno in Cristo Gesù» (Gal 3,27). Se è facile dirlo, è altrettanto vero che non è facile viverlo, come ricorda Gesù stesso, tanto da farne oggetto di preghiera nell’Ultima Cena: «…Tutti siano una sola cosa; come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi, perché il mondo creda che tu mi hai mandato (Gv 17,20)».
Alla vigilia della sua passione e morte, Gesù prega il Padre affinché diventiamo una cosa sola: come se Lui non avesse altro a cui pensare! Pensa a noi, prega per noi il Padre e chiede unità. Unità di cuore, di vita; unità familiare e comunitaria; unità di popoli. Unità. Una preghiera che rimane sospesa nel tempo, perché il peccato ha squilibrato ogni equilibrio e questa preghiera di Gesù si rende necessaria sempre. È sempre dietro l’angolo la tentazione di escludere, di stabilire chi è con noi e chi contro di noi; chi è dei nostri e chi non lo è.
La donna cananea ci mette in guardia e ci ricorda in ogni istante quanto importante sia essere vigilanti, a cominciare dal nostro cuore, perché capita che confiniamo proprio nel cuore i propositi di bene magari perché non ci sentiamo degni; zittiamo quel bisogno di salvezza che il cuore vorrebbe gridare a Gesù, ma c’è sempre qualcuno che tenta di soffocare questo grido interiore. Anche su questo dobbiamo vigilare. Ancora una volta Gesù insegna che la fede non è questione di dottrina, di ruoli o chissà cos’altro, ma è questione di amore. Un amore capace di mendicare salvezza, a costo di apparire un grido sguaiato.
Mt 15, 21-28 | don Andrea Vena 62 kb 2 downloads
XX domenica del tempo ordinario, anno A (20 agosto 2023) Is 56,1.6-7 Sal 67 Rm…Il commento al Vangelo di domenica 20 agosto 2023 curato da don Andrea Vena. Canale YouTube.