don Andrea Vena – Commento al Vangelo di domenica 13 Agosto 2023

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Domenica scorsa abbiamo celebrato la Festa della Trasfigurazione di Gesù che ci ha permesso di gustare la gioia dei tre  Apostoli nel contemplare la gloria del Signore, tanto da poter dire anche noi: «Signore, è bello per noi essere qui!» (cfr  Mt 17,1-9). Un’esperienza, dicevamo, che getta un raggio di luce e di speranza di fronte alle croci/fatiche/sofferenze che  incontriamo nella vita e che trovano tutte la loro chiave di lettura nella Croce di Gesù, tanto che i cristiani celebrano, il  14 settembre, la Festa dell’Esaltazione della Santa Croce (cfr 40 giorni dopo il 6 agosto). Per noi, scrive san Paolo, se  «Cristo crocifisso è scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani…per noi Cristo è potenza di Dio e sapienza di Dio»  (1Cor 1,23-34). Ecco perché ci vantiamo di Gesù Crocifisso e in Lui troviamo la ragione della nostra fede, perché nella  sua Croce ogni nostra croce trova uno spiraglio di speranza. Ogni nostra croce trova… trasfigurazione. 

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Oggi riprendiamo il cammino lasciato quindici giorni fa. Due domeniche or sono, nella XVII domenica del T.O., abbiamo  meditato la parabola del tesoro nel campo e della perla preziosa (cap 13,44-50); nella XVIII domenica (liturgia che noi  abbiamo omesso per la coincidenza della festa della Trasfigurazione) il vangelo proponeva il brano della moltiplicazione  dei pani, dove Gesù sfama più di cinquemila uomini con soli «cinque pani e due pesci» (cfr Mt 14,13-21).

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Il miracolo richiama l’esperienza dell’Esodo (cfr Es 16): in entrambi c’è il deserto, dove il popolo cammina, dove sperimenta la fame  e la mancanza di cibo, ma anche la provvidenza di Dio che nutre i suoi figli. Come un tempo, oggi Gesù è capace a  saziare la nostra fame sapendo prendere il «nostro poco» che siamo e che abbiamo e trasformarlo in quanto serve.  Come si può notare dalle prime parole del testo, il vangelo prosegue proprio da questo punto.  

vv. 22-23: «Dopo che la folla ebbe mangiato, subito Gesù costrinse i discepoli a salire sulla barca e a precederlo sull’al tra riva, finché non avesse congedato la folla. Congedata la folla, salì sul monte, in disparte, a pregare. Venuta la  sera, egli se ne stava lassù, da solo. 

Rimasto solo, Gesù sale sul monte, in disparte, a pregare, e venuta la sera è ancora là in preghiera solitaria. Montagna,  solitudine e preghiera: sembra quasi un trittico. L’evangelista desidera creare il contesto per aiutarci ad entrare in que sta esperienza di Gesù. Un luogo lontano, in alto – la montagna è sempre luogo d’incontro con Dio per il suo innalzarsi  verso l’alto -; solitario, dove poter trovare silenzio e quiete e dialogare unicamente col Padre del cielo. L’evangelista  Giovanni, nel proporre nel suo vangelo la medesima esperienza, spiega il perché della fuga sul monte: «Gesù, sapendo  che venivano a prenderlo per farlo re, si ritirò sul monte, lui da solo» (Gv 6,15).

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Gesù non si lascia prendere dall’entusiasmo,  dal successo, dalle cose esaltanti del mondo, ma si rifugia nel Padre suo, per non perdere di vista la missione che è  venuto ad assolvere: la salvezza di tutti gli uomini. Questo incontro, questo dialogo chiede un suo spazio – la montagna  -; un suo contesto – il silenzio -; e un cuore ardente, come quello di Gesù verso il Padre suo e padre nostro. Elementi che  ritroviamo anche nell’esperienza di Elia, descritta nella prima lettura: «…ci fu un vento impetuoso… ma il Signore non era  nel vento… un terremoto, ma il Signore non era nel terremoto… Il sussurro di una brezza leggera. Come l’udì, Elia si coprì il  volto con il mantello…». Nel vento leggero Dio parla a chi sa ascoltare.  

Questa chiarezza, questa confidenza aiuterà Gesù a ritirarsi in preghiera per chiedere al Padre l’aiuto necessario per  affrontare la Croce. In un tempo in cui valiamo in base agli applausi, ai link, ai successi ottenuti, Gesù insegna a tornare  nel Padre, a fare memoria degli inizi, a ritrovare e ravvivare sempre la ragione che ha portato a scegliere e seguire il  Signore: non il successo, ma semplicemente lo stare con Lui. 

vv. 24-27: «La barca intanto distava già molte miglia da terra ed era agitata dalle onde: il vento infatti era contrario.  Sul finire della notte egli andò verso di loro camminando sul mare. Vedendolo camminare sul mare, i discepoli furono  sconvolti e dissero: «È un fantasma!» e gridarono dalla paura. Ma subito Gesù parlò loro dicendo: «Coraggio, sono  io, non abbiate paura!». 

Dopo gli elementi del deserto e della mancanza di cibo, questo testo ci presenta un altro tassello che richiama l’Esodo: il mare (Es 14); se nel testo dell’Esodo Dio aprì il mare per mezzo di Mosè, qui Gesù, il Figlio di Dio, cammina sopra il  mare, cioè lo domina, dimostrando di essere il Signore (cfr Gen 1-2: Dio creò…). Ma lo stupore è accompagnato anche  da una osservazione superficiale, che porta a ritenere Gesù «un fantasma».

Dettaglio che fa ricordare le riflessioni che abbiamo maturato nelle domeniche precedenti, quella del tesoro nascosto (due domeniche fa) e quella dei pochi pani  apparentemente insufficienti per tanta gente, ma in realtà sufficienti (XVIII domenica): l’invito ancora una volta è quello  di andare oltre, in profondità. Di non fermarsi alla prima sensazione o emozione, e imparare ad ascoltare la Parola,  custodirla nel cuore, meditarla, per lasciarsi da essa rinnovare, come abbiamo ascoltato domenica scorsa nella festa  della Trasfigurazione: «Questi è il mio Figlio… Ascoltatelo». È l’ascolto, è il credere nelle sue parole che fa sì che la paura  cessi e lasci spazio allo stupore, alla fiducia: “Sono Io”! 

vv. 28-32: «Pietro allora gli rispose: «Signore, se sei tu, comandami di venire verso di te sulle acque». Ed egli disse:  «Vieni!». Pietro scese dalla barca, si mise a camminare sulle acque e andò verso Gesù. Ma, vedendo che il vento era  forte, s’impaurì e, cominciando ad affondare, gridò: «Signore, salvami!». E subito Gesù tese la mano, lo afferrò e gli  disse: «Uomo di poca fede, perché hai dubitato?». Appena saliti sulla barca, il vento cessò. Quelli che erano sulla  barca si prostrarono davanti a lui, dicendo: «Davvero tu sei Figlio di Dio!». 

Pietro, meravigliato nel vedere Gesù camminare sulle acque, chiede di poter fare altrettanto. E’ sempre lui a prendere  l’iniziativa: domenica scorsa chiese di poter fare tre tende, ora di camminare lì dove umanamente non è possibile … Questo suo prendere iniziativa svela il suo carattere. Gesù comunque invita Pietro a camminare, cioè a partecipare del  suo stesso potere. Ma se all’inizio Pietro «obbedisce» e quindi riesce nel suo intento, non appena ritiene che tutto di penda dalla sua bravura…rischia di affogare. L’iniziale forza di Pietro sta nell’obbedienza alla Parola di Gesù, nel dialogo  con Lui, nel suo tenere fisso lo sguardo in Lui, il Signore. È la fede. Il mare richiama l’esperienza della vita, fatta talvolta  di momenti tranquilli e di altri burrascosi. Non si può pensare di eliminare la burrasca, come non si può eliminare la  zizzania (cfr, XVI domenica, Mt 13,24ss).

Tutto diventa possibile se l’orecchio si fa attento: «Signore… ogni mattina fa  attento il mio orecchio, perché io ascolti come i discepoli» (Is 50,4). Nel momento che non ascolto, sarà inevitabile cadere, affogare tra le onde dei mille problemi che la vita presenta. Non dobbiamo però dimenticare che la fede non è assenza  di problemi e paure, ma capacità sempre nuova di reagire. Pietro, di fronte alla sua paura, grida verso Gesù: «Signore, salvami». E Gesù stende la mano. Lo afferra, rimproverandolo per il venir meno della sua fede.  

La barca dei discepoli, così come la barca della nostra vita – come la barca delle nostre famiglie, della Chiesa, della  società – è spesso sbattuta dalle onde del male, delle fragilità, delle fatiche, delle lotte, delle crisi, delle contrarietà e  delle contraddizioni… Venti contrari e tempeste che incrociano spesso la nostra traiettoria. E talvolta, anche per noi, la  barca della vita si riempie d’acqua quasi fino a capovolgersi, tanto carica è di problemi e fatiche, ancor più in questo  tempo di incertezza e conflittualità.  

Il vero problema però non sta nella tempesta, ma nella paura dovuta al fatto di essersi creduti autosufficienti, di credere  di poterci salvare da soli; di credere che il Signore è lontano quando invece Lui è e rimane il Signore del cielo, della terra,  del mare. Gesù è il Signore, è «Io sono», cioè il Nome di Dio rivelato a Mosè (cfr Es 3,14). Colui che sembra assente è  invece presente: Gesù è l’Emmanuele, il Dio con noi che mai ci abbandona, anche quando dorme sulla barca (cfr Mc  4,37, Mt 8,24). Nella vita resteremo a galla nella misura in cui terremo gli occhi su Gesù; nella misura in cui comprenderemo che senza di Lui nulla è possibile. Tanto che san Bernardo, pur di sentirsi afferrato dal Signore, dirà: O desiderabile,  beata debolezza! (Discorsi sul Cantico dei cantici 25,7).

Perché proprio nella debolezza ci sentiamo ancor più afferrati dal  Signore, il quale ci prende e non ci molla! E anche la debolezza ci aiuterà a crescere, a maturare.  Gesù, il Signore, è veramente il Figlio di Dio, esclameranno tutti i discepoli una volta che Gesù sale sulla barca. Ecco la  grazia da chiedere oggi: non avere paura della nostra fragilità e debolezza, ma in questa, aggrapparci al Signore invocandoLo con fiducia: «Signore, salvami!». Se ripensiamo all’esperienza di Elia, prima che io possa gridare al Signore la  mia paura, Lui è già in cerca di me, ma spetta a me riconoscerLo, sapendo che Lui non è nelle cose eclatanti, Lui è nel  «vento leggero», perché Gesù non si impone con la forza dell’uragano, ma si propone nel vento leggero che per essere  riconosciuto chiede solitudine, silenzio, ascolto.  

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Lc 1, 39-56 | don Andrea Vena 70 kb 39 downloads

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Il commento al Vangelo di domenica 15 agosto 2023 curato da don Andrea Vena. Canale YouTube.