Carlo Miglietta – Commento alle letture di domenica 30 Luglio 2023

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Il Vangelo odierno ci presenta tre parabole sul Regno di Dio ed un’esortazione finale.

Le prime due parabole rimodulano lo stesso concetto: il Regno di Dio è una meraviglia, è stupore assoluto, è bellezza incommensurabile, è quanto di più prezioso esista, e merita davvero abbandonare tutto per poterlo conquistare. Nella prima parabola l’uomo che trova il tesoro nel campo e poi lo nasconde, e si dà da fare per comprare quel campo, inganna sicuramente il venditore, comportandosi da vero furbacchione. Ma qui siamo di fronte a uno di quei paradossi evangelici dove si deve guardare non tanto ai singoli aspetti del brano ma al suo contenuto globale, che è lo stesso di quello enunciato nella seconda parabola: quanto sia inestimabile il Regno di Dio.

Siamo in una società spesso attanagliata dalla mancanza di senso, dall’ansia, dall’angoscia, dalle paure per le nostre situazioni personali di malattia, di invecchiamento, di morte, o per lo scenario sociale segnato sempre più dalla guerra, dalla fame, dai sovvertimenti climatici. Il Vangelo di oggi ci invita ad alzare gli occhi (Rm 8,14) verso il cielo, a credere con forza che in realtà siamo chiamati ad una realtà stupenda, e che tutte le cose negative passeranno perché ci saranno “cieli nuovi e terra nuova” (Ap 21,1).

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E questo non solo in un’escatologia che si realizzerà, ma già nel presente, perché dice Gesù: “Il Regno di Dio è in mezzo a voi” (Lc 17,21), e se “cercate il Regno di Dio e la sua giustizia, tutto il resto vi sarà dato in aggiunta” (Lc 12,31). Perché i cristiani avranno “il centuplo già in questa vita e in sorte la vita eterna” (Mt 19,29).

La terza parabola è una di quelle sul giudizio finale, in cui ci viene ricordato che seguire la via di Dio porta alla felicità e alla nostra piena realizzazione, mentre allontanarci dai suoi comandamenti non può che condurci verso l’autodistruzione e l’annientamento. Ma nulla viene detto sull’immensa misericordia di Dio, capace di purificare il peccatore. Spesso nei testi biblici che parlano del giudizio ricorre il tema del fuoco. Ma a ben vedere il significato scritturistico del fuoco non è quello di un terribile supplizio, ma fa riferimento a Dio stesso, “fuoco divorante” (Es 24,17), che alla fine dei tempi avvolgerà il peccatore per purificarlo, per salvarlo, per renderlo una cosa sola con lui.

Il suo amore è travolgente, tutto assorbe e consuma: “Poiché il Signore tuo Dio è fuoco divoratore, un Dio geloso” (Dt 3,4); “Chi di noi può abitare presso un fuoco divorante? Chi di noi può abitare tra fiamme perenni?” (Is 33,14). Isaia vede il giorno del giudizio come il fuoco di Dio che tutto purifica: “Quando il Signore avrà lavato le brutture delle figlie di Sion e avrà pulito l’interno di Gerusalemme dal sangue che vi è stato versato…, allora verrà il Signore come una nube e come fumo di giorno, come bagliore di fuoco e fiamma di notte” (Is 4,4-5).

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Il fuoco divino non è per la distruzione, bensì per la salvezza. Come dice il profeta Malachia, parlando del Messia divino: “Egli è come il fuoco del fonditore e come la lisciva dei lavandai. Siederà per fondere e purificare; purificherà i figli di Levi, li affinerà come oro e argento, perché possano offrire al Signore un’oblazione secondo giustizia” (Ml 3,1-4). Zaccaria parla del “resto di Israele” che sarà purificato con il fuoco: “Lo farò passare per il fuoco e lo purificherò come si purifica l’argento; lo proverò come si prova l’oro” (Zc 13,9).

Anche Paolo vede nel fuoco del giorno del giudizio un mezzo di salvezza: “L’opera di ciascuno sarà ben visibile: la farà conoscere quel giorno che si manifesterà col fuoco, e il fuoco proverà la qualità dell’opera di ciascuno. Se l’opera che uno costruì sul fondamento resisterà, costui ne riceverà una ricompensa; ma se l’opera finirà bruciata, sarà punito: tuttavia egli si salverà, però come attraverso il fuoco” (1 Cor 3,13-15).

L’esortazione finale è quanto mai necessaria soprattutto ora, durante il cammino sinodale della Chiesa cattolica. Si contrappongono infatti coloro che vorrebbero assolutamente innovare tutti gli aspetti dottrinali, pastorali, liturgici della Chiesa stessa, e i conservatori che invece si arroccano sul passato. Nel solco della grande tradizione, la Chiesa ha il compito di declinare l’insegnamento del Signore nella storia concreta degli uomini, modulandola per la vita dei suoi figli.

La Chiesa deve perciò restare aperta all’azione dello Spirito: Gesù infatti ha detto: “In verità, in verità vi dico: anche chi crede in me, compirà le opere che io compio e ne farà di più grandi, perché io vado al Padre” (Gv 14,12); “Il Consolatore, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, egli v’insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto” (Gv 14,26); “Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando verrà lui, lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera, perché non parlerà da sé, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annunzierà le cose future” (Gv 16,13).

È quindi lo Spirito che porta la Chiesa alla “verità tutta intera”, in una dinamica continua di crescita. La Chiesa quindi non deve mai essere arrogante, come se possedesse già ora tutta la verità, ma restare in umile ascolto dello Spirito che la guida e conduce. “Per questo ogni scriba divenuto discepolo del regno dei cieli è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche” (Mt 13,52).

Carlo Miglietta

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Mt 13, 44-52 | Carlo Miglietta 36 kB 1 downloads

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Il commento alle letture di domenica 30 luglio 2023 a cura di Carlo Miglietta, biblista; il suo sito è “Buona Bibbia a tutti“.