Quante volte ci viene chiesto dal mondo circostante di lasciare un segno evidente e visibile a tutti?
A lavoro, nello studio ci viene chiesto di dobbiamo dare il nostro massimo per eccellere e conquistare l’etichetta di miglior studente, miglior dipendente del mese, con straordinari che tolgono tempo al benessere mentale e agli affetti, rendendo la nostra vita un affanno continuo, una corsa a ostacoli con annesso un pesante zaino sulle spalle stracolmo di aspettative e di obiettivi da raggiungere.
Talvolta ci viene richiesto di dimostrare il massimo anche nelle relazioni, con la pretesa di gesti eclatanti – da condividere magari poi con un storia o un post sui social, giusto per far parte di una società dell’apparenza in cui è davvero difficile capire dove inizi il volto e finisca la maschera.
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E alla fine di tutta questa giostra che fare? Come dare importanza al presente e non a segni che si disgregano in 24 ore, labili come stories sui social? Riappropriandoci delle nostre vite reali, comprendendo come sia più importante essere che apparire.
Il Cristo ci invita a farlo. Perché è nella quotidianità che vien fuori l’essenza di una persona, nella quotidianità che si capisce quanto sia disposta a farsi Altro, a mettersi in gioco perché in ballo c’è la pienezza di quel tempo di vita che possiamo rendere privo di rimpianti e pieno invece di tanti attimi vissuti a fondo.
Ester Antonia Cozzolino
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Fonte: Get up and Walk – il vangelo quotidiano commentato