mons. Vincenzo Paglia – Commento al Vangelo del 23 Luglio 2023

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Il Vangelo che abbiamo ascoltato domenica scorsa ci ha mostrato Gesù che invia i dodici apostoli, due a due, nei villaggi della Galilea per annunciare l’avvento del Regno di Dio, per guarire i malati e aiutare i deboli e i poveri.

L’evangelista parla esplicitamente di un “potere” conferito agli inviati perché possano operare tali cose.

Ovviamente non si tratta di un potere politico o economico; ma è un potere reale, una forza che opera guarigioni nel corpo e nel cuore. Il brano evangelico di questa sedicesima domenica ci narra il ritorno dalla missione delle sei coppie di apostoli.

L’evangelista fa arguire la soddisfazione dei discepoli e di Gesù il quale, pur conoscendo la scarsa preparazione di quel gruppetto di discepoli, aveva egualmente affidato loro questo compito; era sufficiente che obbedissero alla lettera alle sue parole per avere effetto: predicare che era giunto un tempo nuovo e ripetere i gesti di misericordia che lui stesso faceva. In effetti, l’obbedienza aveva dato i suoi frutti. E possiamo immaginare lo sguardo affettuoso di Gesù mentre essi raccontavano quello che avevano operato. Erano felici quei dodici; e anche un poco stanchi, come accade ad ogni vero “missionario” che dimentica se stesso per servire il Vangelo.

Al termine dei racconti Gesù dice loro: “Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po’!”. È una esortazione che suona vicina in questo tempo nel quale in molti ci si prepara al riposo o, forse ancor più, alla necessità di un silenzio per nutrire la propria vita interiore. Queste parole di Gesù si possono applicare certamente alla salutare pratica di momenti di ritiro spirituale, ma è opportuno pensarle legate anche al “riposo” che la Messa della domenica deve rappresentare per tutti i cristiani. Non so se viviamo con questa sensibilità la santa liturgia della domenica. Ma se dovessimo però trovare un testo evangelico per esprimere la spiritualità della domenica, direi che queste parole di Gesù sono adattissime. Nella Messa domenicale davvero siamo condotti “in disparte”, ossia in un luogo diverso dalle nostre ordinarie occupazioni, fossero anche quelle delle vacanze, per poter dialogare con il Signore, ascoltare una parola vera sulla nostra vita, nutrirci di un’amicizia che resta comunque salda, ricevere una forza capace di sostenerci, una medicina che guarisce. Non si tratta di evadere dalla vita o di dimenticare i propri guai. L’incontro con il Signore nella santa liturgia domenicale non ci separa dal tempo ordinario della vita, semmai fa come da cerniera tra la settimana che è passata e quella che sta per iniziare; è come una luce che illumina il tempo di ieri, per comprenderlo, e quello di domani, per tracciarne il percorso.

È quello che accade nel racconto evangelico, quando Gesù e i discepoli salgono sulla barca per passare all’altra riva. Il momento della traversata sulla barca, tra una riva e l’altra, si può paragonare alla Messa della domenica, la quale appunto ci lega alle due sponde del mare, sempre affollate di gente bisognosa. Le folle, quelle di allora e quelle di oggi, sono senza dubbio l’oggetto primario della missione del Signore e dei suoi discepoli. È su di loro che si dirige la compassione di Gesù. Per questo il Vangelo può notare: “Erano infatti molti quelli che andavano e venivano e non avevano neanche il tempo di mangiare”. Lo stare “in disparte” la Messa domenicale, appunto non significava perciò una fuga, semmai un momento per irrobustire e affinare la compassione. Si tratta di ascoltare anzitutto il Signore, di far scendere nel proprio cuore le parole della Scrittura; esse sono come un respiro più grande dentro il quale far riposare la mente; o, se si vuole, rappresentano una boccata d’aria pura, di cui tutti abbiamo bisogno per pensare meglio, per sentire in modo più generoso, per recuperare le forze. L’inizio della settimana successiva deve trovarci rinfrancati nello spirito e più vicini al sentire del Signore.

Giunti infatti all’altra sponda del mare di nuovo c’è la folla ad attenderli. Forse la gente ha visto il percorso della barca e intuito il luogo dell’approdo. Sono quindi corsi avanti e sono arrivati prima. Appena Gesù scende dalla barca si trova di nuovo circondato dalla folla. Scrive Marco: “Gesù vide molta folla e si commosse per loro, perché erano come pecore sbandate senza pastore”. Giovanni Battista era stato ucciso da non molto tempo; e non c’era più nessun profeta. La Parola di Dio era rara. È vero, il Tempio era pieno di gente e le sinagoghe affollate; tanto da far dire a molti che la religione aveva vinto. Eppure la gente, i poveri e i deboli soprattutto, non sapevano su chi confidare, su chi riporre la loro speranza, a quale porta bussare. Nelle ultime parole evangeliche riecheggia tutta la tradizione vetero-testamentaria sull’abbandono della gente da parte dei responsabili del popolo di Israele.

Il profeta Geremia lo grida a chiare lettere: “Guai ai pastori che fanno perire e disperdono il gregge del mio pascolo”. Sarà il Signore stesso a prendersi cura del suo popolo: “Radunerò io stesso il resto delle mie pecore da tutte le regioni dove le ho scacciate e le farò tornare ai loro pascoli”. Il segreto di tutto ciò è nascosto nella compassione del Signore per il suo popolo. Questa compassione che portò Gesù a inviare i Dodici ad annunciare il Vangelo e a servire i poveri, continua a spingerlo, appena sceso dalla barca, a riprendere immediatamente il suo “lavoro”. È quello che continua a chiedere ai discepoli di ogni tempo.

Per gentile concessione di mons. Paglia – Fonte

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