don Andrea Vena – Commento al Vangelo di domenica 23 Luglio 2022

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Continuiamo il nostro cammino alla Scuola della Liturgia. Potrò sembrare ripetitivo, ma richiamare i temi delle domeniche precedenti mi e ci aiuta a tener presente che stiamo percorrendo un cammino lungo e che, di domenica in domenica, di tappa in tappa, il Signore sostiene il nostro impegno, raddrizza i nostri passi, rincuora i nostri cuori. Nell’XI domenica/tappa del cammino (18 giugno) siamo stati coinvolti nella missione di coltivare compassione per le folle affamate; nella XII domenica (25 giugno) abbiamo compreso che Gesù sa della nostra fatica e della nostra paura nell’assumere la missione e c’invita a non temere; questa fiducia in Lui ci porta così ad accogliere il Signore – e chi per Lui – come  Ospite gradito, disposti a mettere a soqquadro la casa della nostra vita (XIII domenica, 2 luglio); custodendo il Signore e la Sua Parola nel nostro cuore impareremo a vedere il bello che c’è in ogni attimo della vita (XIV domenica, 9 luglio).

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A partire dalla XV domenica stiamo ascoltando gli insegnamenti in parabole di Gesù (tutto il capitolo 13 di Matteo): il  seminatore che getta il seme – la Parola – su ogni terreno (XV domenica, 16 luglio), oggi il grano e la zizzania (XVI domenica), domenica prossima la parabola del tesoro nascosto (XVII domenica). E’ il modo scelto dal Signore per educarci  a scoprire i messaggi nascosti dentro gli avvenimenti della vita.  

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Come ormai sappiamo, il testo del vangelo viene preparato dall’ascolto della I lettura, oggi tratta dal libro della Sapienza: «Non c’è nulla fuori di te, che abbia cura di tutte le cose… il fatto che sei padrone di tutti, ti rende indulgente con  tutti…Padrone della forza, tu giudichi con mitezza… ci governi con molta indulgenza…Con tale modo di agire hai insegnato  al tuo popolo che il modo giusto deve amare gli uomini e hai dato ai tuoi figli la buona speranza che, dopo i peccati, tu  concedi il pentimento». Il testo della Sapienza mira a sintonizzarci con l’agire di Dio, col suo cuore mite, paziente e misericordioso, per imitarLo nel nostro agire e, con le parole del salmista, renderGli grazie nella preghiera: «Tu sei buono,  

Signore, e perdoni, sei pieno di misericordia… Sei lento all’ira e ricco di amore» (dal salmo).  Il testo del vangelo che ascolteremo è composto da tre parabole unite tra loro da una parola: tempo. Ci vuole «tempo»  per distinguere il grano dalla zizzania (24-30); ci vuole tempo per vedere il granello di senape diventare la pianta più  grande di tutte (31-32); ci vuole tempo per far lievitare la pasta (33). Potremmo dire che «ci vuole tempo» per diventare  ciò che si è, perché si sveli fino in fondo ciò per cui siamo stati chiamati e mandati. Se ora ripensiamo alle domeniche  precedenti, il Signore ci ha chiamati e mandati (XV domenica) ma per capirne fino in fondo il perché, «ci vuole tempo».  Ed è un tempo, ci ricorda il testo della Sapienza, che chiede di essere impastato di pazienza, di fiducia, di misericordia.  vv. 24-28: «Espose loro un’altra parabola, dicendo: “Il regno dei cieli è simile a un uomo che ha seminato del buon  seme nel suo campo. Ma, mentre tutti dormivano, venne il suo nemico, seminò della zizzania in mezzo al grano e se  ne andò. Quando poi lo stelo crebbe e fece frutto, spuntò anche la zizzania. Allora i servi andarono dal padrone di  casa e gli dissero: “Signore, non hai seminato del buon seme nel tuo campo? Da dove viene la zizzania?”. Ed egli  rispose loro: “Un nemico ha fatto questo!”». 

Il brano precedente ci ha presentato il Seminatore che gettava il seme anche in un terreno pieno di spine (Mt 13,7:  «Un’altra parte cadde sui rovi, e i rovi crebbero e la soffocarono. Nel testo odierno, il seme cade in un terreno buono, ed è  il nemico invece che, «mentre tutti dormivano», quindi di notte, vi semina la zizzania: un agire nascosto, che non vuole  svelarsi, che quasi si vergogna di se stesso: «opere delle tenebre» (cfr Rm 13,11-14). Di fatto è un’azione malvagia, con  l’unico obiettivo di danneggiare il padrone del campo. E’ interessante la reazione dei servi i quali, per prima cosa, so 

spettano del padrone stesso: «Signore, non hai seminato del buon seme nel tuo campo?»· Mettono in dubbio che il padrone non abbia acquistato seme buono. Il padrone, però, non si scandalizza, resta calmo e dichiara semplicemente  che «Un nemico ha fatto questo». 

vv. 28b-30: «E i servi gli dissero: “Vuoi che andiamo a raccoglierla?”. “No, rispose, perché non succeda che, raccogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano. Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura e al momento della mietitura dirò ai mietitori: Raccogliete prima la zizzania e legatela in fasci per bruciarla; il  grano invece riponetelo nel mio granaio”». 

L’istinto dei servi è quello di estirpare la zizzania, ma il padrone invita ad avere pazienza perché solo a maturazione si  saprà bene distinguere il grano dalla zizzania. Il padrone non si dimostra preoccupato di capire chi è all’origine di questo  gesto malvagio, ma di suggerire come comportarsi. Gesù sta parlando di come Dio agisce nella storia e le caratteristiche  che ora si riflettono nel suo agire, parlare e amare, Lui che è il grande narratore di Dio, chiedono ora di modellare anche  l’agire di ciascuno di noi. In questo modo Gesù invita noi oggi a non essere impazienti, come se fosse facile distinguere  subito ciò che è bene da ciò che è male, rischiando di estirpare tutto! Come suggerito dal testo della Sapienza, spetta  anche a noi coltivare l’agire paziente e misericordioso di Dio: se Lui, che può tutto perché tutto conosce e tutto a Lui  appartiene, sa attendere e pazientare, così siamo chiamati ad agire anche noi permettendo che ogni cosa maturi fino a  pienezza. Uno stile che siamo invitati a coltivare verso noi stessi, spesso così impazienti di vedere tutto e subito realizzato, e anche verso gli altri, perché non si può confondere un attimo della vita con l’intero arco dell’esistenza. 

vv. 31-35: «Espose loro un’altra parabola, dicendo: “Il regno dei cieli è simile a un granello di senape, che un uomo  prese e seminò nel suo campo. Esso è il più piccolo di tutti i semi ma, una volta cresciuto, è più grande delle altre  piante dell’orto e diventa un albero, tanto che gli uccelli del cielo vengono a fare il nido fra i suoi rami “. Disse loro un’altra parabola: “Il regno dei cieli è simile al lievito, che una donna prese e mescolò in tre misure di farina,  finché non fu tutta lievitata”. Tutte queste cose Gesù disse alle folle con parabole e non parlava ad esse se non con  parabole, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta: Aprirò la mia bocca con parabole, proclamerò cose nascoste fin dalla fondazione del mondo». 

Le parabole del chicco di senape e del lievito rinviano alla potenza della fede. Nel seme c’è già tutta la forza, basta saper  attendere. Così nel lievito. Si noti bene che non si tratta più della piccolezza del grano di senape, bensì della straordinaria quantità di farina che la massaia impasta. L’apparente piccolezza della fede è capace di sviluppare una splendida  storia d’amore.  

vv. 36-43: Poi congedò la folla ed entrò in casa; i suoi discepoli gli si avvicinarono per dirgli: “Spiegaci la parabola  della zizzania nel campo”. Ed egli rispose: “Colui che semina il buon seme è il Figlio dell’uomo. Il campo è il mondo e  il seme buono sono i figli del Regno. La zizzania sono i figli del Maligno e il nemico che l’ha seminata è il diavolo. La  mietitura è la fine del mondo e i mietitori sono gli angeli. Come dunque si raccoglie la zizzania e la si brucia nel fuoco,  così avverrà alla fine del mondo. Il Figlio dell’uomo manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno dal suo regno tutti  gli scandali e tutti quelli che commettono iniquità e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore  di denti. Allora i giusti splenderanno come il sole nel regno del Padre loro. Chi ha orecchi, ascolti!». 

Gesù, ritiratosi con i soli suoi discepoli, spiega loro la parabola, e aiuta anche noi oggi a comprendere che il giudizio va  dato solo alla fine e non spetta a noi. L’arte della pazienza, quindi, non è sottomissione o rinuncia, ma un atto di profonda fiducia, di fede in Dio e nel suo agire misericordioso: «Il Signore è paziente con voi, perché non vuole che alcuno  si perda, ma che tutti abbiano modo di convertirsi» (2Pt 3,15). La fretta di voler subito agire ed estirpare può essere  anche dettata da immaturità e invidia: «Sei tu invidioso perché io sono buono?» (Mt 20,15). Dio dà a tutti modo di convertirsi, di maturare, di portare frutto: «Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché io gli avrò zappato intorno e avrò  messo il concime. Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, tu lo taglierai» (Lc 13,8-9).  

Gesù invita a «Lasciare che crescano l’una e l’altro…», a prendere coscienza che nel terreno della vita ci saranno sempre  grano e zizzania e che si tratta d’imparare a dare più attenzione al grano che alla zizzania, al bene che al male, stando  ben attenti che il non-fare, non-agire, non-intervenire non esprimano disinteresse, ma un’autentica scelta di maturità,  perché questa azione-non azione chiede di vincere sull’istinto, sull’emotività, sulla fretta. È una grande azione educativa  verso se stessi. È una salutare lotta sulla tentazione dell’impazienza che punta ad anticipare ad oggi il giudizio di do 

mani, a decidere io ciò che spetta a Dio.  

Il commento al Vangelo di domenica 23 luglio 2023 curato da don Andrea Vena. Canale YouTube.