don Pasquale Giordano – Commento al Vangelo del 15 Luglio 2023

354

L’ultima parola

Sabato della XIV settimana del Tempo Ordinario (Anno dispari)

Dal libro della Gènesi Gen 49,29-33; 50,15-26

Dio verrà a visitarvi e vi farà uscire da questa terra.

In quei giorni, Giacobbe diede quest’ordine ai suoi figli: «Io sto per essere riunito ai miei antenati: seppellitemi presso i miei padri nella caverna che è nel campo di Efron l’Ittita, nella caverna che si trova nel campo di Macpela di fronte a Mamre, nella terra di Canaan, quella che Abramo acquistò con il campo di Efron l’Ittita come proprietà sepolcrale. Là seppellirono Abramo e Sara sua moglie, là seppellirono Isacco e Rebecca sua moglie e là seppellii Lia. La proprietà del campo e della caverna che si trova in esso è stata acquistata dagli Ittiti». Quando Giacobbe ebbe finito di dare questo ordine ai figli, ritrasse i piedi nel letto e spirò, e fu riunito ai suoi antenati.

Ma i fratelli di Giuseppe cominciarono ad aver paura, dato che il loro padre era morto, e dissero: «Chissà se Giuseppe non ci tratterà da nemici e non ci renderà tutto il male che noi gli abbiamo fatto?». Allora mandarono a dire a Giuseppe: «Tuo padre prima di morire ha dato quest’ordine: “Direte a Giuseppe: Perdona il delitto dei tuoi fratelli e il loro peccato, perché ti hanno fatto del male!”. Perdona dunque il delitto dei servi del Dio di tuo padre!». Giuseppe pianse quando gli si parlò così.

- Pubblicità -

E i suoi fratelli andarono e si gettarono a terra davanti a lui e dissero: «Eccoci tuoi schiavi!». Ma Giuseppe disse loro: «Non temete. Tengo io forse il posto di Dio? Se voi avevate tramato del male contro di me, Dio ha pensato di farlo servire a un bene, per compiere quello che oggi si avvera: far vivere un popolo numeroso. Dunque non temete, io provvederò al sostentamento per voi e per i vostri bambini». Così li consolò parlando al loro cuore.

Giuseppe con la famiglia di suo padre abitò in Egitto; egli visse centodieci anni. Così Giuseppe vide i figli di Èfraim fino alla terza generazione e anche i figli di Machir, figlio di Manasse, nacquero sulle ginocchia di Giuseppe. Poi Giuseppe disse ai fratelli: «Io sto per morire, ma Dio verrà certo a visitarvi e vi farà uscire da questa terra, verso la terra che egli ha promesso con giuramento ad Abramo, a Isacco e a Giacobbe». Giuseppe fece giurare ai figli d’Israele così: «Dio verrà certo a visitarvi e allora voi porterete via di qui le mie ossa».

Giuseppe morì all’età di centodieci anni.

- Pubblicità -

Verrà a visitarci dall’alto come sole che sorge… per dirigere i nostri passi sulla via della pace

L’epilogo della vicenda è affidato alla definitiva riconciliazione di Giuseppe con i suoi fratelli. Essi avevano fatto leva sull’affetto che l’univa al padre dietro al quale essi si sentivano al sicuro. Con la sua morte il timore della ritorsione si fa più forte e fanno un gesto che fino a quel momento era mancato: chiedere perdono confessando davanti a Giuseppe la loro colpa.

Così la giustizia è definitivamente ristabilita e confermata. La richiesta di perdono nasce anche dal riconoscimento della grandezza di Giuseppe. Non è una grandezza effimera ma quella che potremmo definire la “statura dell’amore”. Essi hanno sperimentato la misericordia di Giuseppe e ad essa fanno appello confessando pubblicamente il loro peccato. Essi erano già stati perdonati e accolti da Giuseppe; con la morte del padre il perdono viene confermato perché questa è l’eredità che ha lasciato Israele e che vuole lasciare anche Giuseppe.

La morte segna il momento della “riunione” con i propri antenati. Il perdono è la riconciliazione dei viventi. Grazie al perdono si vince la morte e si abbattono le barriere da lei erette. Con la sua morte Gesù ha vinto la morte e ci ha riconciliati con il Padre perché noi potessimo essere non più schiavi del peccato ma servi del Dio dei viventi. In Gesù si compie la profezia di Giuseppe. Dio viene a visitarci per liberarci dalla terra di schiavitù per introdurci nel regno dei Cieli.

+ Dal Vangelo secondo Matteo Mt 10,24-33

Non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo.

In quel tempo, disse Gesù ai suoi apostoli:

«Un discepolo non è più grande del maestro, né un servo è più grande del suo signore; è sufficiente per il discepolo diventare come il suo maestro e per il servo come il suo signore. Se hanno chiamato Beelzebùl il padrone di casa, quanto più quelli della sua famiglia!

Non abbiate dunque paura di loro, poiché nulla vi è di nascosto che non sarà svelato né di segreto che non sarà conosciuto. Quello che io vi dico nelle tenebre voi ditelo nella luce, e quello che ascoltate all’orecchio voi annunciatelo dalle terrazze.

E non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima; abbiate paura piuttosto di colui che ha il potere di far perire nella Geènna e l’anima e il corpo.

Due passeri non si vendono forse per un soldo? Eppure nemmeno uno di essi cadrà a terra senza il volere del Padre vostro. Perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati. Non abbiate dunque paura: voi valete più di molti passeri!

Perciò chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli; chi invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch’io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli».

L’ultima parola

Cuore della fede cristiana è la Pasqua nella quale Cristo, con la sua morte e risurrezione, vince il peccato e la morte. La prova è parte integrante del cammino esistenziale dell’uomo ma davanti agli attacchi ingiusti dei malvagi la fede del cristiano entra in crisi e la paura che l’ultima parola sia affidata alla morte rischia di prendere il sopravvento.

Per tre volte Gesù rassicura: non abbiate paura. La paura si combatte non guardandola in faccia e non prestando ascolto a ciò che grida. In questi frangenti il discepolo deve alzare gli occhi verso il suo maestro e il servo fissare lo sguardo sull’esempio del suo signore, per imparare a relativizzare i problemi e ad amplificare ciò che lo Spirito Santo suggerisce nel segreto del suo cuore. Gesù è l’inviato di Dio che non è riconosciuto tale dagli uomini accecati dalla superbia e dall’avidità. Non per questo si arrende e rinuncia a far sentire la sua voce e a far valere la ragione dell’amore.

Seguendo le orme del Maestro il discepolo di Cristo deve mettere in conto il rifiuto e il fallimento, e dall’altra parte, non deve tirarsi indietro nell’esercizio della carità per paura o perché insidiato dai sensi di colpa. Nel mondo secolarizzato, nel quale domina la legge dell’individualismo, la carità viene fraintesa e svalutata perché la verità sull’uomo viene manipolata. Gesù, che non ha mai discriminato nessuno, viene accusato ingiustamente di essere un accolito di satana o addirittura il capo dei demoni.

Anche se il disprezzo del bene fatto e il travisamento della realtà feriscono, Gesù insegna a non perdere di vista il fine della propria vita. Riconoscere Gesù significa scegliere di seguirlo sulla via della croce, strada sulla quale si semina il bene piangendo, nella certezza di ritornare nel tempo del frutto a raccoglierlo nella gioia. Credere vuol dire imitare Gesù fino alla fine, fino al momento nel quale, messa a tacere ogni accusa, il Padre pronuncerà l’ultima parola e, sulla scorta della presentazione di Gesù, ognuno riceverà la ricompensa in base alla fedeltà con la quale ha testimoniato la carità.

Commento a cura di don Pasquale Giordano
Vicario episcopale per l’evangelizzazione e la catechesi e direttore del Centro di Spiritualità biblica a Matera

Fonte – il blog di don Pasquale “Tu hai Parole di vita eterna