p. Giovanni Nicoli – Commento al Vangelo del 2 Luglio 2023

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Per tre volte Gesù afferma che “non è degno di lui” chi ama padre o madre, figlio o figlia, più di lui, chi non prende la propria croce per seguirlo, chi tiene per sé la propria vita. Il triplice “non è degno di me” non va inteso come valutazione morale, né significa che Gesù richieda prestazioni che rendano meritevoli chi le compie. Si tratta di una semplice constatazione: vive la sequela di Gesù chi antepone l’amore di Cristo ai legami familiari e si dispone a vivere questo amore fino alla croce, alla morte infamante. Questi è degno di Gesù, cioè, suo discepolo.

Gesù ha attuato lui stesso un distacco radicale rispetto alla propria famiglia. Porre le esigenze del Regno e la persona di Gesù, l’io di Gesù, al di sopra di ogni altro valore sociale e personale, civile e familiare, comporta un prezzo alto, molto concreto e quotidiano.

Il discepolo poi, è chiamato a una sequela che ha come limite estremo la croce, il perdere la propria vita a causa di Gesù. Gesù non ha avuto come fine l’auto annichilimento, il perdere la propria vita, ma il viverla pienamente e gioiosamente perseguendo la libertà e l’amore: amando liberamente fino alla fine.

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Gesù ha vissuto donando vita: ai malati, ai peccatori, agli emarginati, ai disprezzati, Gesù ha saputo, cioè ha scelto e voluto, dare vita. Il suo perdere la propria vita, è stato un donare tempo, forze fisiche e spirituali, energie psichiche e affettive: Gesù ha donato la sua vita dando vita agli altri. Non è stato un mero perdere, ma un donare, un generare, un trasmettere. Il perdere la vita che qui è richiesta è in realtà un invito ad amare come Cristo ha amato.

L’accostamento del discorso sull’accoglienza del discepolo a quello sulle esigenze del discepolato, strappa il discorso dell’accoglienza all’etica delle buone maniere.

La fecondità dell’accoglienza è espressa dal vangelo affermando che chi accoglie i discepoli di Gesù non resterà senza ricompensa. L’accoglienza, prima di essere materiale, è spirituale: è riconoscimento dell’identità dell’altro: profeta, giusto, discepolo.

È importante ricordare la dimensione umana dell’accoglienza di una persona, che richiede di mettere in atto gesti, attenzioni, premure, intelligenza dei bisogni dell’altro: l’accoglienza è sempre accoglienza di un corpo da parte di un altro corpo.

La realtà dell’amore non si misura su slanci affettivi, ma su questa effettività. E poiché noi non sappiamo mai chi incontriamo, chi ci è inviato, chi riceviamo, il lavoro di accoglienza richiede attenzione e discernimento, ascolto e osservazione per lasciarsi raggiungere e toccare dall’altro. Così l’incontro con l’altro diviene una visita che assomiglia a una rivelazione. Diviene una visitazione.

La missione è innanzitutto una questione di cuore e di interiorità: le scelte hanno senso e diventano testimonianza solo se da lì partono.

“I nemici dell’uomo saranno quelli della sua casa”, sono quelli di casa mia, sono quelli che abitano il mio cuore. Sono tanti gli abitanti del mio cuore e della mia vita. Sapere tutto ciò è innanzitutto cogliere ciò che di buono e di bello vi è in me e ciò che in me c’è di meno bello e di meno buono.

Sapere e conoscere i miei punti di forza e i miei punti deboli significa sapere con chi ho a che fare e sapere dove posso fare affidamento su di me. Quali sono le mie divisioni interiori che anziché favorire il mio desiderio di bene mi portano ad allontanarmi da questo non facendo il bene che desidero ma facendo invece il male che non desidero? Esperienze positive del passato creano in me un’area di libertà e di sufficiente fiducia in me stesso. Questo favorisce la mia capacità di bene e il mio realizzare tale bene. 

Esperienze che non sono state positive e gratificanti possono diventare degli impedimenti a perseguire il bene. Gesù è venuto a separarci da tutto non perché noi siamo gente senza storia e senza famiglia, ma per creare dentro di noi uno spazio di libertà dove ognuno prenda il suo vero posto.

Gesù che entra in noi crea divisione dal passato, ci porta ad una unità presente e futura. Crea unità in noi, ci dona la sua presenza positiva di fiducia, ci provoca ad avere fede in Lui e in noi stessi, ci invita a smettere di piangere sul nostro passato e a compiere un salto di libertà dove noi ridiventiamo protagonisti della nostra vita.

L’accoglienza di noi stessi diventa accoglienza vera dell’altro. L’altro troverà terreno buono perché anche lui cresca nella sua capacità di accoglienza della Parola.

Se la nostra azione è inficiata dal bisogno ossessivo di ricompensa, la nostra testimonianza e la nostra missionarietà, sarà orientata ad avere tale ricompensa. Se invece la nostra ricompensa è data dalla bellezza e soddisfazione del bicchiere di acqua dato con gratuità, ricompensa data dal non essere soli in questo ma accompagnati dal Cristo, allora il nostro agire avrà già in sé la ricompensa dovuta e non dovrà angariare l’altro per potere ricevere tale ricompensa.

La nostra ricompensa è già nel nostro cuore, tale ricompensa è Gesù in noi incarnato e da noi generato nella fraternità con Lui e nella figliolanza vera col Padre.

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