La pagina di Geremia riporta l’espressione di una confessione personale. La vicenda del profeta sorge dall’accoglienza generosa di una chiamata percepita quale appello ineludibile nella propria vita: Geremia propone l’immagine della parola proveniente da Dio posata sulle labbra deboli di un uomo per dire la forza di questa chiamata ed il coinvolgimento che essa ha generato in lui. Questa parola reca in se stessa la spinta ad annunciare e testimoniare. Ma da quel momento il profeta si è trovato a dover affrontare pericoli e ostilità.
In pagine dense di passione Geremia non nasconde i pensieri nascosti che si affacciano alla sua mente: il desiderio di abbandonare tutto, l’idea di ritirarsi e di non assecondare più quell’entusiasmo iniziale di testimonianza. Tuttavia avverte nel suo cuore come un fuoco ardente. Nonostante i pesi e l’ostilità continua a vivere in una consapevolezza della presenza di Dio stesso al suo fianco. Come qualcuno forte che lo sorregge e difende, come un prode valoroso.
I nemici non potranno prevalere. Questa pagina respira dei passaggi di recupero di una profonda fiducia e di un faticoso superamento del timore. Geremia confida che il Signore scruta il cuore e la mente. Si apre ad un volto di Dio che non lo risparmia dalle sofferenze ma che gli sta accanto e lo guida così come libera la vita dei poveri. A lui ha affidato la sua vita. Dalla paura e dal senso di impotenza passa alla fiducia e alla scoperta di un volto nuovo di Dio: “cantate inni al Signore, lodate il Signore perché ha liberato la vita del povero dalle mani dei malfattori”. La sua confessione è sincera, non nasconde la crisi, la rivolta e d’altra parte legge la sua vita in un rapporto unico con Dio quale presenza interiore e vicina.
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Le parole di Gesù riportate da Matteo sono un invito alla fiducia. In esse riprende la convinzione propria della tradizione: “Un uccello non cade a terra senza il volere del cielo, tanto meno l’uomo” (Talmud Shebit 9,38d). I passeri, uccelli piccoli e insignificanti erano venduti per uno spicciolo di rame. Guardando i passeri Gesù parla di Dio. Il suo sguardo alla natura e agli animali si fa spazio di stupore per la presenza stessa di Dio non al di fuori ma nel tessuto stesso della creazione. Parla così del Padre come Dio delle piccole cose. E gli elementi insignificanti della natura, del mondo animale sono letti come rinvio al Dio che non trascura le minuzie spesso invisibili. Gesù racconta così il Dio della cura e dell’attenzione. Il suo sguardo si lascia afferrare dalla vita e dalle quotidiane vicende dei suoi figli.
Gesù invita a non lasciarsi vincere dalla paura che blocca e rinchiude. Invita anche a a non coltivare attitudini di conservazione e di difesa, che rendono la vita asfittica e segnata dalla tristezza. Il timore è per chi può togliere il respiro della vita (l’anima), non per chi può uccidere … “voi valete più di molti passeri”
Gesù richiama ad fiducia serena, di abbandono senza riserve di accoglienza dello sguardo del Dio dei passeri. E’ una fiducia non sognante e disincarnata ma forza che alimenta la testimonianza e il coraggio nelle difficoltà. Nel momento della prova il discepolo dovrà ricordare la testimonianza stessa di Cristo e vivere una solidarietà con lui fino alla fine. Confessare il Signore Gesù davanti agli uomini è percorrere la strada di Gesù stesso e affrontare anche lo scandalo della morte. Gesù non propone ai suoi una via di successo mondano, arricchimenti o gratificazioni sociali: li chiama a condividere il cammino da lui percorso, la via del dono e dell’amore, la via del seme gettato che perdendosi si fa fecondo di vita per altri e di amore: è l’amore rimane per sempre ed è più forte della morte stessa.
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Fonte: il sito di don Alessandro Cortesi
p. Alessandro Cortesi op
Sono un frate domenicano. Docente di teologia presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose ‘santa Caterina da Siena’ a Firenze. Direttore del Centro Espaces ‘Giorgio La Pira’ a Pistoia.
Socio fondatore Fondazione La Pira – Firenze.