Arcidiocesi di Pisa – Commento al Vangelo del 24 Giugno 2023

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La storia di Elisabetta e Zaccaria è l’ultima delle manifestazioni dell’alleanza di Dio con Israele prima dell’arrivo di Gesù, ed è un esempio di quello che spesso è anche il nostro rapporto con lui.

Prima della gravidanza, Elisabetta e Zaccaria vivevano nella disperazione della mancanza di un figlio. La loro sterilità rappresentava un mancato realizzamento della promessa di Dio e, essendo vecchi, si erano rassegnati a una relazione con lui che non avrebbe più portato i suoi frutti. La loro vita, passata ad osservare i precetti del Signore, non era servita a niente.

Come loro anche noi spesso ci troviamo a non credere più alle promesse del Signore, rassegnati che la nostra vita non possa più andare avanti nella direzione che speravamo.

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La rassegnazione di Zaccaria era tale che persino all’annuncio della gravidanza da parte dell’angelo Gabriele lo scetticismo aveva preso il sopravvento, e Zaccaria non aveva creduto neanche alle parole di un messaggero di Dio, rifiutando il dono del Signore. Per questo motivo l’angelo gli aveva tolto la parola, ovvero ciò che permetteva a Zaccaria di celebrare i riti in quanto sacerdote. Zaccaria quindi aveva perso anche l’unico dono che gli era rimasto.

Anche noi spesso ci troviamo a non credere ai segni che il Signore ci manda, ignorando i doni che ci lascia sul cammino, per poi rimanere senza parole quando scopriamo in che modo si realizzano le sue vie. Ma il Signore è paziente.

Quindi Elisabetta aveva passato una gravidanza con il marito muto e al momento di dover dare il nome al bambino aveva usato il nome suggerito dall’angelo: Giovanni, che significa “Il Signore fa grazia”. Ma nonostante l’esistenza stessa di Giovanni fosse un segno del Signore ecco che di nuovo lo scetticismo si fa spazio, stavolta tra i concittadini di Elisabetta e Giovanni che non vogliono usare il nome suggerito dall’angelo.

Ed è qui che Zaccaria, nonostante il suo mutismo, testimonia con i mezzi a sua disposizione di aver finalmente e pienamente accolto il dono di Dio e rinuncia al nome da dare al figlio, in un certo senso rinunciando alla paternità formale, usando invece il nome donato dal Signore. E con questo riottiene la parola, con cui inizia a cantare la lode a Dio.

Signore, lasciaci più spesso senza parole, perché ammutoliti possiamo apprezzare i doni che ci hai fatto.

Per riflettere

Riusciamo a riconoscere i doni del Signore? Riusciamo a toglierci la parola per lasciare spazio ai segni e ai messaggi del Signore? Riusciamo ad avere fiducia che lui manterrà la sua promessa nei nostri confronti?

Lc 1,57-66.80

FONTE: Ascolta e Medita – Centro Pastorale per l’Evangelizzazione e la Catechesi