mons. Giuseppe Mani – Commento al Vangelo di domenica 18 Giugno 2023

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Gesù evangelizzatore

La liturgia di oggi ci presenta come in un meraviglioso affresco la figura di Gesù, evangelizzatore del Padre. Parte da lontano. Nella prima lettura ci viene presentato una immagine di Cristo in Mosè, che è direttamente incaricato da Dio di parlare al suo popolo. Paolo ci descrive Gesù che viene ed è disposto a far tutto, anche a dare la vita per noi, che annuncia il Vangelo del Regno quando eravamo peccatori.

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Il vangelo ci presenta Gesù in mezzo alla folla che annuncia il Vangelo. Contempliamo la figura di Gesù evangelizzatore.

Gesù è perfettamente consapevole di essere mandato dal Padre. È portatore della sua Verità che deve cambiare il mondo; è fuoco che arde dentro di Lui e non desidera altro che si accenda. La folla che lo circonda è “la messe” destinataria della sua venuta e suscita in Lui compassione perché mancano i pastori. Questa situazione di Gesù ci interroga sulla dinamica del Regno. Gesù è l’inviato dal Padre di cui è Figlio e a cui ha messo tutto nelle mani. Basterebbe Lui per evangelizzare tutto il mondo. Come Dio ha creato il mondo intero potrebbe anche ricrearlo, redimerlo con un suo solo atto. In un solo istante potrebbe redimere ciò che era perduto. Ma Dio che ha creato l’uomo senza di Lui, non intende salvarlo indipendentemente da lui.

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Ci dirà il Signore nelle prossime domeniche che l’umanità è salvata dalla sua Parola che è un seme. È Dio la vita di questo seme, è Lui che lo fa germogliare, ma il seme, se rimane nei granai del cielo, non produce i suoi frutti. Dio è la vita del seme, ma l’uomo deve gettarlo e coltivarlo perché fruttifichi. Dio condiziona la sua azione alla collaborazione dell’uomo. Colui che ha creato l’uomo senza di lui, non lo salva senza di lui.

Gesù, che è il seme vivo che deve essere gettato, arde dal desiderio di salvare. Ma da solo non intende farlo. Aspetta la collaborazione dell’uomo per coltivare il mondo: preparare il terreno, seminare il frumento, custodire la messe.

Gesù comincia subito, come ci racconta il vangelo, ad organizzare i suoi operai chiamando gli apostoli. Ma vede il mondo intero di allora e di oggi fino alla fine e la manodopera per la grande opera di evangelizzazione risulta sempre scarsa.

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Due sono i sentimenti che muovono Cristo: la passione per la messe e l’esperienza di povertà del personale che lavora.

Propone una soluzione: pregare il Padrone della messe che mandi operai nella sua messe.

Ovviamente gli operai che vengono devono avere gli stessi sentimenti di Cristo, perché non è questione di numero, ma di qualità. La qualità, in termini tecnici, si chiama Carità pastorale, che è il motore che ha mosso i grandi evangelizzatori della storia della chiesa e che è l’elemento che fa la differenza tra il pastore e il mercenario.

Gesù nella sua preghiera chiede pastori veri, desiderosi di dare la vita per la propria messe. Cristo ci invita pressantemente a pregare il Padrone che mandi operai. La preghiera di Cristo appare sempre più urgente in un momento in cui il personale specializzato, chiamiamoli così, è in forte diminuzione, i noviziati e i seminari si stanno svuotando e la dinamica del Regno resta sempre la stessa: tutto si fonda sull’evangelizzazione e questa avviene soltanto attraverso apostoli che si incaricano di portare all’umanità la Parola di Dio.