La solennità odierna è come una eco di quanto abbiamo celebrato lo scorso Giovedi santo, quando nell’apertura del Triduo Pasquale, abbiamo contemplato l’istituzione del sacramento dell’amore, che Gesù ha voluto lasciarci per perpetuare il memoriale della sua Passione, morte e resurrezione in mezzo a noi. Mentre in quella celebrazione si è sottolineato il senso dell’istituzione, in questa solennità odierna, nata in Belgio e poi estesa a tutta la Chiesa nel XIII secolo, specialmente come risposta a grandi errori dottrinali che negavano la presenza reale del Signore, si vuole contemplare, adorare e testimoniare con forza la fede della Chiesa nella presenza reale di Cristo con il suo corpo, il suo sangue, la sua anima e la sua divinità, sotto i veli del pane e del vino consacrati.
Nella famosa sequenza che da secoli la Chiesa canta in questa festa, abbiamo poc’anzi ripetuto: “È certezza a noi cristiani: si trasforma il pane in carne, si fa sangue il vino. Tu non vedi, non comprendi, ma la fede ti conferma, oltre la natura” (Sequenza del Corpus Domini). È verità di fede, rivelata da Cristo nelle Scritture, custodita e accolta dalla Chiesa, che quando il sacerdote invoca lo Spirito su due semplici elementi, che sono il pane e il vino, attraverso le parole dell’istituzione consegnateci da Cristo, Lui stesso si dona a noi, facendosi nostro cibo e bevanda per la vita del mondo. Non vediamo con gli occhi della carne, non comprendiamo con la ragione, come il Dio vivo e vero, infinito ed eterno, possa nascondersi in un pezzo di pane ed in poche gocce di vino. Solo la fede ci conferma e ci permette di andare oltre le nostre umane comprensioni. Pane e vino, come si ripete nella liturgia alla loro presentazione sull’altare, sono “frutti della terra e del lavoro dell’uomo”.
Essi sono originati dalla natura, nei loro elementi essenziali che sono il grano e l’uva, ma non prenderebbero la forma di cibo e bevanda graditi e piacevoli, senza il lungo processo che vede l’uomo protagonista. Il pane è emblema del nutrimento per eccellenza, fonte di sostegno ed energia per l’uomo, per questo si dice che “sostiene il suo cuore”; il vino è bevanda per eccellenza, perché disseta, riscalda, distende, quindi “allieta il cuore dell’uomo”. Il profumo del pane e del vino attraversa tutta la Scrittura, dal momento che si tratta di elementi fondamentali per la vita dell’uomo.
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Il pane, da elemento di sofferenza per Adamo, costretto a produrlo con il sudore del suo volto (cfr. Gen 3,19), diventa oggetto di offerta gradita a Dio, fino a giungere all’identificazione di Cristo stesso con esso: “Io sono il pane vivo” (Gv 6,51) e alla sua scelta di renderlo segno sacramentale del suo Corpo. Così il vino, causa di peccato e di disordine quando abusato, diventa segno della festa, della condivisione e della gioia ritrovata dall’annuncio dell’ora di Cristo nelle nozze di Cana (cfr. Gv 2,1-12), fino alla scelta di esso come segno sacramentale del suo Sangue nell’Eucaristia. Per poter entrare nel vivo di questo mistero – come accennavamo – è necessaria la fede. E questa fede si nutre dell’ascolto della Parola di Cristo, consegnata a noi dagli Apostoli.
Questa parola è dura, causa incomprensioni e conflitti, come abbiamo ascoltato nella pagina evangelica di oggi, tratta dallo splendido capitolo VI del Vangelo di Giovanni. Dio, in Cristo, si interessa di noi, non vuole lasciarci affamati e assetati in questo cammino della vita. L’uomo non vive di solo pane materiale, ma ha bisogno di Dio, sempre! Fu questa la lezione data ad Israele nel deserto, mentre nella calura e nell’arsura, Dio inviò loro la manna e l’acqua. Mentre lì erano solo figure, in Cristo, tutto raggiunge il suo compimento e l’Eucaristia da Lui istituita è il pane vivo, che viene dal cielo, da Dio, per rispondere a questa fame di assoluto che l’uomo si porta dentro. Troppo spesso l’umanità tende a nascondere questa fame in molti modi, riempiendosi di cose che non sono di Dio e così precludendosi di avere in Lui la vera vita senza fine. Comprendere la centralità dell’Eucaristia nella nostra vita significa riscoprire che noi non possiamo vivere senza Cristo, perché entrando in comunione con Lui, veniamo trasformati in Lui.
Mentre per gli altri cibi, quando li consumiamo, accade che vengano trasformati in noi, in cellule, sangue e tessuti, al contrario, quando ci nutriamo di Cristo, con una coscienza pura e riconciliata, siamo noi ad essere trasformati in Lui. Nelle Confessioni, Sant’Agostino pone sulla bocca di Gesù queste parole meravigliose: “Sono il cibo dei grandi: cresci e mi mangerai. E non io sarò assimilato a te come cibo della tua carne, ma tu sarai assimilato a me” (VII, 10, 16). Benedetto XVI, riferendosi a queste parole del grande Agostino, così commentava: “Non è l’alimento eucaristico che si trasforma in noi, ma siamo noi che veniamo da esso misteriosamente cambiati. Cristo ci nutre unendoci a sé; «ci attira dentro di sé»” (Sacramentum Caritatis, n. 70).