1. Il brano evangelico della solennità del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo, nota come festa del “Corpus Domini”, ci porta a Cafarnao dove la folla chiede a Gesù “un segno” che permetta loro di vedere e credere. Eppure di miracoli ne avevano già visti abbastanza. Gesù aveva appena sfamato una moltitudine con cinque pani d’orzo e due pesci arrostiti, e aveva camminato sulle acque del lago di Tiberiade sfidando le leggi della fisica. Capisce che lo cercano non perché ci sia interesse per il suo insegnamento, bensì perché c’è fame di miracoli: “voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati” (Gv.6,26). Se gli abitanti di Cafarnao sono attratti dai suoi prodigi, i giudei mostrano preoccupazione per il suo insegnamento e cercano di capire chi è quest’uomo che così agisce e parla con autorità: “Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell’uomo vi darà”. Gli chiedono allora: “Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio”, e lui risponde che l’opera di Dio è credere “in colui che egli ha mandato”. Ma chi sei tu e che fai perché noi ti crediamo – insistono – perché “i nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto, come sta scritto: Diede loro da mangiare un pane dal cielo”, e Gesù rincalza: “In verità, in verità io vi dico: non è Mosè che vi ha dato il pane dal cielo, ma è il Padre mio che vi dà il pane dal cielo, quello vero. Infatti il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo”.
2. Il lungo discorso di Gesù, che troviamo nel capitolo sesto del vangelo di Giovanni, contiene l’annuncio di Gesù, pane di vita, che discende dal cielo per dare la vita agli uomini, mediante il dono totale di sé stesso sulla croce. Solo Gesù dà significato alla nostra vita perché è l’unico pane atto a soddisfare la fame del cuore umano: pane di vita, di pienezza, di felicità. Senza di lui la nostra esistenza e quella dell’intera umanità sono senza futuro. Solo per mezzo di lui possiamo salvarci: è Cristo infatti il fondamento e la sintesi d’ogni verità, la chiave, il centro e il fine dell’uomo e di tutta la storia universale. Tutto ciò è il pane eucaristico, dono per tutti, in ogni epoca, sino alla fine dei secoli: Gesù è il pane disceso dal cielo, pane che ci ristabilisce nella comunione con Dio. In effetti, l’espressione “pane disceso dal cielo” mette in luce Gesù stesso in relazione con il Padre e nella sua missione di recare la vita divina agli uomini. E il discorso passa allora dal pane -persona al pane eucaristico. E’ grazie all’eucaristia che possiamo entrare in una reale comunione con Gesù e riusciamo a meglio percepire il senso e il valore del legame misterioso che lo unisce col Padre suo. Per tutto questo, il mistero eucaristico è considerato giustamente il mistero della fede, come il sacerdote proclama a ogni santa messa dopo la consacrazione e la comunità risponde rinnovando la propria fede nella morte, risurrezione di Cristo nell’attesa della sua venuta.
3. Signore, “dacci sempre questo pane”: quest’invocazione che trova eco in numerose pagine di approfondimento spirituale nel corso dei secoli, quest’oggi ci guida nel comprendere che il pane mangiato dagli ebrei nel deserto era solo un segno del vero pane, il pane del cielo che il Padre celeste da all’umanità, pane di Dio “che discende dal cielo e dà la vita al mondo“. Per essere ancora più chiaro Gesù preciserà: Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!“. Che vuol dire “mangiare il pane, cioè Gesù” se non lasciarsi assimilare da lui a differenza di quanto avviene quando noi mangiando assimiliamo i vari alimenti del cibo quotidiano? Come, con la donna samaritana incontrata nel cuore del giorno accanto al pozzo di Giacobbe, e alla quale aveva promesso in cambio di un’acqua incapace di dissetare definitivamente se stesso acqua zampillante di vita eterna, così qui Gesù vuole condurre i suoi ascoltatori di ieri, di oggi e di ogni tempo, a lasciarsi attrarre dal suo amore e incontrarlo realmente presente nell’eucarestia. Questa è la nostra fede! Spesso siamo anche noi, come la gente di Cafarnao, in cerca di “segni” nuovi ed eclatanti e si è pronti a correre laddove c’è odore di qualche fenomeno sacro straordinario e miracoloso. Ma questa fame di sacro mostra la fragilità di una fede che poggia sull’emozione, sulla curiosità di vedere e toccare per credere. L’itinerario del vero credente va invece in un senso piuttosto. San Tommaso, autore dei cinque inni legati all’origine storica della festa del Corpus Domini, così scrive nell’”Adoro te devote”:
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” Visus, tactus, gustus in te fallitur, sed auditu solo tuto creditur. Credo quidquid dixit Dei Filius; il hoc verbo Veritátis verius. La vista, il tatto, il gusto, in Te si ingannano, ma solo con l’udito si crede con sicurezza: Credo tutto ciò che disse il Figlio di Dio, nulla è più vero di questa parola di verità”. E si narra che prima di presentarsi da papa Urbano IV per proporre i suoi inni san Tommaso si recò nella cappella del Crocifisso del convento di Orvieto per chiedere al Signore di fargli conoscere il suo “parere” su quanto aveva scritto. Il Crocifisso rispose, in semplicità: “Hai scritto bene di me. O Tommaso, e qual mercede desideri?”. E lui: “Non altro desidero fuorché Voi stesso, o Signore”.
4. Lasciamoci attrarre anche noi da questo mistero e, invitati dall’odierna liturgia entriamo nel cenacolo dove la viglia della sua passione il Signore ha lasciato se stesso nel sacramento del suo corpo “offerto in sacrificio per noi” e del suo sangue “versato per noi e per tutti in remissione dei peccati”, e ha affidato questo sommo tesoro di grazia e di misericordia alla Chiesa, agli apostoli e ai loro successori: “fate questo in memoria di me”. Siamo davanti al dono più grande che però rischia di essere banalizzato dall’abitudine e dall’indifferenza. Possa questo giorno ridestare in noi lo stupore per l’eucaristia e sconfiggere la tentazione dell’abitudine nel celebrarla. Nelle sacrestie di molte chiese un tempo si trovava questa scritta: “Sacerdote che ti appresti a celebrare la santa messa: celebra come se fosse la prima, come se fosse l’unica e come se fosse l’ultima”. Questo vale non solo per i sacerdoti, ma per tutti: guai se la messa viene ridotta a semplice e ripetitiva devozione!
Nel 304 d.C., durante la persecuzione dell’imperatore Diocleziano, alcuni cristiani nella regione del Magreb si radunarono di domenica nonostante il divieto imperiale di celebrare l’eucaristia. Arrestati e tradotti dai militari di Abitene a Cartagine, furono messi a processo dal proconsole Anulino e, nonostante la tortura e ogni genere di minacce, non vennero meno alla loro professione di fede proclamando con vigore l’impossibilità di rinunciare alla Messa domenicale: “Senza la domenica non possiamo vivere”. Questa fu la risposta che uno dei martiri, di nome Emerito, dette al Proconsole romano a nome di tutti.
L’assenza di riti liturgici negli anni del covid e la pratica delle messe virtuali attraverso i social hanno certamente destabilizzato non poco le nostre consuetudini ed oggi occorre un forte impegno pastorale per riscoprire il valore incommensurabile della partecipazione personale di ogni battezzato alla celebrazione domenicale. Quando infatti si raccoglie attorno alla mensa eucaristica, la comunità cresce come corpo mistico di Cristo, pronta a spendersi perché nel mondo regni la giustizia e la pace. L’eucaristia così vissuta diviene fermento di nuova umanità, fonte di perdono e di riconciliazione, sostegno per chi soffre e chi attraversa le dure prove della vita. Lo Spirito Santo agisca con potenza nel cuore di noi cristiani di questo tempo, segnato da mille sfide e spesso tentati dal demone dello scoraggiamento, della paura e dell’indifferenza. Una cosa è certa: se rimane saldo il nostro attaccamento alla celebrazione domenicale, nessun ostacolo potrà impedirci di annunciare e testimoniare Cristo anche nelle situazioni più complesse nelle quali ci si possa trovare.
5. Nella vita dei santi, canonizzati o non, tanti sono gli esempi di legame profondo con il mistero eucaristico, secondo le molteplici tonalità rispondenti alla storia e alla sensibilità spirituale e mistica di ogni esperienza personale. Nel deserto del sahara ho avuto modo di ripercorrere le tracce di san Charles de Foucauld e sono rimasto colpito nello scoprire che, accanto alla vangelo, l’altro pilastro della sua spiritualità è l’eucaristia. Per lui celebrare e adorare il mistero eucaristico non erano aspetti di un semplice culto, quanto piuttosto una forma di vita, uno vero stile di vita e dalla sua esperienza emerge con potenza il riferimento costante all’eucaristia. La celebrazione e l’adorazione eucaristica costituiscono per lui due facce della stessa medaglia, due espressioni dell’unico mistero eucaristico. E anche se nei suoi scritti non approfondisce questi elementi e neppure li tematizza in profondità, con tutta la sua esistenza, trascorrendo lunghe ore in silenziosa adorazione davanti all’ostia consacrata, mostra la ricchezza del mistero di Dio che lo nutriva e che lo spingeva ad “essere per” gli altri, cioè a donarsi al prossimo dichiarandosi con la vita “piccolo fratello” per tutti. Trascorse in solitudine gli ultimi suoi anni, dal 1905 al 1916 a Tamanrasset: “sono rimasto qui, solo europeo: solo con Gesù”, pregando dinanzi al Santissimo Sacramento e condividendo il resto del suo tempo con i touaregs che finirono per considerarlo uno di loro. Morì, ucciso probabilmente per sbaglio, il primo dicembre 1916 mentre era in adorazione dinanzi al Santissimo Sacramento. L’icona della sua morte mentre adora Gesù, pane di vita, costituisce la sintesi di tutta la sua esistenza diventata eucaristia cioè pane spezzato per gli altri: “non sono qui per convertire i touaregs,- diceva .- ma per cercare di comprenderli”. Questa è la via dell’amore e i touaregs lo hanno compreso e considerato uno di loro: “Carlo, non è morto solo per voi, – diranno il giorno del funerale – ma anche per noi tutti. Dio gli doni misericordia e faccia sì che un giorno possiamo incontrarci insieme in paradiso”
6. Un ultimo sguardo a Cristo, pane vivo disceso dal cielo. “Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo”. Nella festa del Corpus Domini, la liturgia c’invita a concentrare lo sguardo del cuore al segno del pane. Come per gli ebrei che attraversavano il deserto, L’Ostia è oggi per noi la “manna”. E mentre, in tante parrocchie si snoda la tradizionale processione, possiamo ripetere a Gesù: “Guidaci tu sulle strade della nostra vita; continua ad indicare alla Chiesa il cammino della verità e dell’amore; guarda con tenera premura a quanti soffrono e a coloro che hanno perso la fiducia. C’è bisogno di riprendere il cammino e tu solo, Gesù, sei vera sorgente di speranza; c’è sete di vita e solo in te possiamo trovare il senso più autentico del nostro esistere. Il mondo aspira alla pace, ma inutile sarà ogni umano sforzo se non sei tu a entrare nel nostro cuore e a pacificarlo”.
In ogni angolo della terra, nella molteplicità delle lingue e delle culture, l’unica Chiesa di Cristo, che si nutre del suo corpo e del suo sangue, oggi prega così nella sequenza che precede il vangelo: “Buon Pastore, vero pane, o Gesù pietà di noi: nutrici e difendici, portaci ai beni eterni nella terra dei viventi”. Questo canto di adorazione e di gioia si chiude con una corale invocazione: “Tu che tutto sai e puoi, che ci nutri sulla terra, conduci i tuoi fratelli alla tavola del cielo nella gioia dei tuoi santi”. Adoriamo con fede salda l’eucaristia, unica ricchezza indistruttibile della Chiesa. Raccolte con gioia attorno all’Ostia consacrata, cuore vivo di ogni Chiesa viva, le comunità parrocchiali manifestano la loro fede. E’ tradizione infatti concludere i riti solenni della festa del Corpus Domini con la processione eucaristica. Mettendo in chiara evidenza il rapporto tra l’Ultima Cena e il mistero della morte di Gesù in croce, con la processione e l’adorazione dell’Eucaristia noi cristiani proclamiamo e annunciamo che Gesù si è immolato per l’intera umanità ed ora risorto cammina con noi. Il suo passaggio fra le case e per le strade delle nostre città, borghi e paesi, diventa stimolo a una fede più convinta e convincente; e può essere, per chi non crede, un’offerta di speranza, di vita nuova, di pace e di amore divino.
AUTORE: Mons. Giovanni D’Ercole, Vescovo emerito – Pagina Facebook – Sito Web
✝️ Commento al brano del Vangelo di: ✝ Gv 6,51-58 – Corpus Domini