Sale a Gerusalemme per la prima volta, il Signore, secondo l‘evangelista Marco. Per tre anni ha portato l’annuncio del Regno in Galilea, nelle città pagane della Decapoli, ed è finanche uscito dai confini di Israele per raggiungere chiunque. Ma ora è il tempo della resa dei conti e Marco racconta l’ultima tragica settimana di vita del Maestro, nella Gerusalemme che uccide i profeti.
Sale dopo avere preso con sé il mendicante cieco Bartimeo e va ad alloggiare a Betania, la casa del povero, non nella caotica capitale. Subito, al calare della sera, Gesù entra nel tempio. Con un solo, lungo e profondo sguardo capisce. Capisce che quella religiosità, quel culto, quella ritualità, sono come un bell’albero di fichi che non porta frutto. Tante foglie, tanta apparenza e niente di più. Una religiosità sterile rappresentata da quel fico che, drammaticamente, secca.
Non per la maledizione del Signore, ma per l’inutilità della sua funzione. Ed è il rischio di ogni tempio, di ogni liturgia, di ogni manifestazione di fede: quella di diventare alberi sterili, fatti di tante belle foglie ma che non nutrono. Gli apostoli stessi sono spiazzati da quel drammatico segno ma il Nazareno tira dritto sulla sua strada: se un luogo, un culto, un’organizzazione non portano a Dio, se non assolvono alla funzione per cui sono stati creati, sono destinati all‘oblio, finiscono col seccare, col diventare inutili.
Quale terribile monito anche per la nostra Chiesa e per la nostra pastorale spesso più preoccupata di mantenere l’esistente che di condurre a Dio! Lasciamo che il Signore entri nella nostra vita di fede e ribalti i tavoli del mercanteggiare con Dio, lasciamo che butti per aria ciò che non fa del nostro rapporto con Dio un evento di bellezza e di verità se questo ci scuote e ci riporta a verità!
Facciamo in modo che la nostra preghiera, il nostro culto, portino frutti di benedizione e di vita, facciamo in modo che i templi, i culti, tornino ad essere luoghi dell’incontro col divino!
✝️ Commento al brano del Vangelo di: ✝ Mc 11,11-26
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