Lo Spirito e il corpo
✝️ Commento al brano del Vangelo della Messa del giorno: ✝ Gv 20,19-23
La solennità della Pentecoste dispone il credente a contemplare l’ultimo dono del Signore Gesù, il suo ulteriore atto di amore dopo i tanti che hanno costellato la sua vita e dopo quell’atto estremo di amore che per Gesù è stata la sua morte. Il Risorto, così come il Crocifisso e come l’uomo Gesù di Nazaret, sempre dona, sempre ama. Cosa fa il Risorto? Dona. Dona lo Spirito. Trasmette la sua vita. Alita sui discepoli il respiro che lo ha fatto vivere, trasmette loro la forza e la dolcezza del suo vivere affinché anch’essi siano capaci di tale forza e di tale dolcezza. E il vangelo (Gv 20,19-23) sottolinea che lo Spirito proviene dal corpo del Risorto. È dal corpo di Cristo, luogo del suo vivere e del suo amare, che il Risorto dona lo Spirito.
Il Risorto “mostrò ai discepoli le mani e il fianco” (cf. Gv 20,20): è dal corpo che ha vissuto e amato che procede lo Spirito. Lo Spirito effuso procede dal corpo che porta le ferite dell’amore, provocate dall’amare, perché amare è sempre rischioso, è esporsi, è mostrarsi nella vulnerabilità che è la condizione più radicalmente e autenticamente umana. Perché amare è anche perdere. Fino a perdere la vita. Il Risorto glorioso che si presenta con il corpo ferito visibilizza il corpo come atto di amore, come trasfigurato dall’amare, come risignificato dall’amore vissuto e sofferto. Più che mai nel Risorto la passione della sofferenza e della morte è integrata e assunta nella passione dell’amare. Lo Spirito donato dal Risorto non fa che ricordare Cristo ai discepoli, non è che memoria dell’amore di Cristo, memoria che istruisce, che insegna ad amare come Cristo ha amato. Ha detto Gesù: “Lo Spirito santo vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto” (Gv 14,26). Ecco lo Spirito magister amoris o magister charitatis. Lo Spirito, ricordando Cristo, insegna l’amore.
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Lo Spirito, come dono che proviene dal corpo del Crocifisso Risorto passa in altri corpi, i corpi dei discepoli, che così conoscono la gioia (“i discepoli gioirono al vedere il Signore”: Gv 20,20), e plasma un corpo di corpi che è la comunità cristiana. Se il corpo dona lo Spirito, lo Spirito del Risorto è memoria del corpo di Gesù, che trapassa nel corpo dei discepoli per divenire alito e respiro dei discepoli stessi. E come il Risorto dona il suo Spirito attraverso il suo corpo amante, così non vi è altra via per donare lo Spirito nel cristianesimo che non sia il corpo, il corpo che ama, il corpo che si fa atto di amore e di donazione. La comunicazione di vita che avviene mediante lo Spirito non è intellettuale o intimistica, cerebrale o spiritualistica, ma avviene da corpo a corpo: dal corpo del Risorto al corpo del discepolo. Accogliere lo Spirito è dunque esperienza del corpo, avviene nel corpo, impegna la relazionalità corporea delle persone. La seconda lettura (1Cor 12,3b-7.12-13) afferma che l’azione dello Spirito, che compagina individuo e comunità, che fa convivere in unità i diversi, i differenti modi di sentire e di pensare, si fonda sull’esperienza del corpo come comunità.
Paolo parla della comunità come di un corpo, ma questa immagine si fonda sulla realtà del corpo umano come comunità formata di organi diversi e di diversa importanza, in cui è essenziale che vi sia il rispetto dei ruoli reciproci, e soprattutto che vi sia armonia ed equilibrio. La proporzione e l’armonia che devono regnare nel corpo comunitario trovano la propria immagine fondante nell’esperienza della proporzione, dell’equilibrio e dell’armonia degli organi del corpo umano. Infine, la pagina degli Atti (At 2,1-11) parla dello Spirito evocando le immagini del vento, del fuoco, del tuono. Quasi a dire che l’esperienza del corpo della terra, del corpo della natura, del corpo del creato, del vento, delle fiamme e del tuono, come delle tante altre realtà fisiche che la Bibbia utilizza come simbolo dello Spirito (p. es., l’acqua), sia la premessa per accedere anche all’esperienza dello Spirito. Del resto, per la Bibbia lo Spirito è diffuso su tutta la terra (cf. Sap 1,7), attraversa e anima il creato, abita il creato e lo porta a gemere e a levare a Dio preghiere e aneliti di redenzione (Rm 8,19-22). Queste esperienze diventano, sotto il soffio dello Spirito, esperienze di amore: del creato, degli altri, di sé, del Signore. Questa l’opera di unificazione che lo Spirito attua. Fare di noi e dei nostri corpi degli atti di amore.
Nel giorno in cui al cuore della festa c’è lo Spirito santo, siamo dunque condotti a considerare la centralità del corpo: il corpo di Gesù, il corpo dei discepoli, il corpo che è la chiesa. L’unità delle tre letture si fa attorno al tema del corpo. Il vangelo presenta il Risorto che compie un’ostensione del proprio corpo mostrando mani e fianco e trasmette lo Spirito alitando sui discepoli. Nella pagina degli Atti lo Spirito che riempie i discepoli, è espresso dal vento, dal fuoco e dal tuono, si manifesta con un’azione talmente sconcertante che molti la interpretano erroneamente come ebbrezza, come alterazione del corpo umano. In realtà, l’azione dello Spirito diviene nei discepoli finezza di discernimento dell’altro. Diviene capacità di parlare a tutti, e non solo con diverse lingue, ma comunicando al cuore di ciascuno degli astanti con la parola, ma anche con l’ascolto. Coloro che sentono i Galilei parlare le loro lingue native, si sentono ascoltati e compresi in ciò che sono, nella loro provenienza e nella loro storia. Infine, nella seconda lettura, lo Spirito è l’invisibile unità che regge e compagina la visibile diversità della comunità cristiana e la tiene connessa come un corpo. È ciò che dà unità e coesione al corpo comunitario.
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Un ulteriore elemento di unità tra le letture concerne la dimensione comunitaria dell’azione dello Spirito. Nel vangelo lo Spirito del Risorto porta pace alla comunità: “Pace a voi” (Gv 20,19.21). E lo Spirito abilita al perdono, che è ciò che consente lo svolgersi della vita ecclesiale, è la conditio sine qua non della vita comunitaria. Secondo gli Atti degli Apostoli lo Spirito scende sui discepoli quando questi sono radunati tutti insieme, in uno stesso luogo (At 2,1), ma soprattutto, nell’unanimità. Lo Spirito non è privilegio di qualcuno o prerogativa personale, ma dono comunitario che si personalizza certamente in ciascuno, ma è dato a tutti, è dato alla comunità. E la sua azione è apertura e discernimento di altri, di stranieri, è capacità di far sentire accolte e riconosciute le persone più disparate. Nella prima lettera ai cristiani di Corinto, lo Spirito fa sì che la comunità sia veramente tale, sia cioè un corpo (1Cor 12,12). Esso regola i rapporti tra i membri della comunità, crea l’armonia di cui la comunità ha bisogno e cerca di tenere in equilibrio i rapporti fra individuo e comunità, fra ciascuno e tutti, che nel vivere quotidiano sono spesso causa di tensioni, incomprensioni, lamenti, recriminazioni, durezze, diffidenze, indifferenze reciproche. Sono causa di conflitti.
Il testo che esplicitamente tratta della Pentecoste è il brano degli Atti degli Apostoli. Esso ci situa al compiersi del “cinquantesimo giorno” dalla Pasqua (At 2,1), nel corso di quella festa che in Israele era divenuta, dalle sue origini agricole, memoria dell’alleanza sinaitica e del dono della legge. Un testo di Filone di Alessandria parla dell’evento sinaitico con le stesse espressioni e immagini che troviamo in Atti 2: “Un rombo invisibile si era prodotto nell’aria. Un vento si era articolato in parole e aveva trasformato l’aria in fuoco fiammeggiante. Una voce era scesa dal cielo e si era divisa nel dialetto proprio di ciascun spettatore che era presente al Sinai”. Sempre, quando è pronunciata, la Parola si divide su ciascuno degli uditori e diviene molteplice nelle comprensioni, negli ascolti, nelle interpretazioni, nelle recezioni dei destinatari.
Il testo di Atti dice che lo Spirito santo rende capaci di parlare, suscita la potenza comunicativa di coloro che erano riuniti nello stesso luogo e che cominciarono a parlare le lingue degli altri. La comunità cristiana nata dallo Spirito vive l’amore anzitutto come capacità di ascoltare l’ascolto dell’altro, di percepire la capacità di ascolto di ciascuno e di rivolgersi a lui con il linguaggio che lui può comprendere. Certo, che quei semplici Galilei inizino ad annunciare le grandi opere di Dio nelle lingue dei presenti, non può che suscitare stupore, sbigottimento, turbamento, meraviglia. Sorgono domande: “Che cosa significa questo?” (At 2,12).
Come mai questi poveri uomini riescono a comunicare con persone così diverse? Lo Spirito appare forza comunicativa e relazionale, che si oppone all’isolamento, alla chiusura in sé. Lo Spirito crea relazione e spinge la chiesa a farsi dialogo. Lo Spirito genera in chi lo accoglie la capacità di fine penetrazione del cuore dell’altro, di discernimento delle sue capacità di ascolto e di adattamento ad esse, e diviene capacità di trasmettere con delicatezza e forza, con dolcezza ed efficacia l’amore di Dio, quell’amore che sta dietro a tutte le grandi azioni di Dio nella storia. Come appare molto bene dal Salmo 136 dove a ogni azione di Dio elencata fa seguito il ritornello “perché l’amore del Signore è per sempre” o anche “è per il mondo”. L’azione dello Spirito si esprime come capacità comunicativa, di ascolto e di parola, e rende i cristiani uomini e donne di ascolto e di dialogo.
A cura di: Luciano Manicardi
Per gentile concessione del Monastero di Bose