Il concetto di missione è forse oggi più che mai in crisi: perché evangelizzare? Forse che Dio non salva tutti? E allora non è meglio limitarsi a un dialogo interreligioso? E non è più urgente la promozione umana, in un mondo in cui miliardi di persone soffrono la fame e vedono calpestati i loro diritti fondamentali?
La missione della Chiesa
Eppure il Concilio Ecumenico Vaticano II ha ribadito: “La Chiesa peregrinante è per sua natura missionaria” (Ad gentes, n. 2); ed ha invitato “ciascuna comunità… ad allargare la vasta trama della sua carità fino ai confini della terra, dimostrando per quelli che sono lontani la stessa sollecitudine che ha per coloro che sono i suoi propri membri” (id., n. 37).
Già durante la sua vita Gesù aveva mandato i suoi innanzi a sé (Lc 10,1) a predicare il Vangelo e a guarire (Lc 9,1): “Come il Padre ha mandato me, così io mando voi” (Gv 20,21). I discepoli sono gli operai mandati dal padrone alla sua messe (Mt 9,38; Gv 4,38), i servi inviati dal re a condurre gli invitati alle nozze del Figlio (Mt 22,3).
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Finito il tempo di Gesù inizia il tempo della Chiesa. Il progetto missionario di Luca esprime la graduale espansione del Vangelo: “Voi mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della terra” (At 1,8). Paolo, il grande missionario, è chiamato ad annunciare il Vangelo ai pagani (Gal 1,16), ad estenderlo da Israele alle nazioni (Rm 9-11).
A fine secolo Giovanni fa una sintesi poderosa, nel suo Vangelo, del tema della missione. Nel Prologo (Gv 1), egli presenta il Figlio come il Verbo (dabar – logos) del Padre: “In principio era la Parola”: se il Figlio è Parola, sono a lui connaturati la trasmissione e l’inculturazione! E questa Parola è per tutte le genti: “Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo”. Simbolo dell’universalità della salvezza sono la donna samaritana di Sicar, figura di tutti coloro che cercano Dio (Gv 4), il funzionario regio esempio di fede (Gv 4,46-54), l’iscrizione sulla croce in ebraico, latino e greco (Gv 19,20), la preghiera “sacerdotale” di Gv 17, che meglio sarebbe definire “missionaria” (“Conoscano te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo”: Gv 17,3).
“Andate e fate discepole tutte le nazioni”
La missione dei cristiani è esplicitata dalla Parola di Gesù: “Andate e fate discepole tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato” (Mt 28,18-20).
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Alcune osservazioni su questo mandato: mentre la missione di Gesù era essenzialmente limitata alle pecore perdute della casa di Israele (Mt 15,24), la missione della Chiesa è universale.
C’è un comando: “Fate discepole (Matheùsate) tutte le genti”. “Fate discepoli” secondo il senso ebraico equivale a: “Fate membri della famiglia del Maestro”. Si noti bene: “Matheùsate” è aoristo, che esprime dinamismo operativo, ed equivale quindi a: “Non cessate mai di fare membri della famiglia di Dio”.
Si esprimono quindi le modalità di questa chiamata con tre participi (tradotti come gerundi in italiano): “Andando”, l’aspetto propriamente missionario, l’uscita in cammino per raggiungere quelle che Papa Francesco chiama “le periferie”; “Immergendole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo”, cioè innanzitutto facendo fare a tutti gli uomini l’esperienza della Tenerezza di Dio; “Insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato”, l’aspetto catechetico.
Lo scopo è quindi fare discepoli, cioè amici, familiari di Cristo, fare aderire alla sua persona. Gesù non è uno dei tanti maestri spirituali, è il Rivelatore del Padre, è il Figlio, il Signore! Gesù non è l’annunciatore di una dottrina, è il “Dio con noi” fino alla fine del mondo (Mt 28,20)!
Un’evangelizzazione per contagio
L’esperienza del Risorto non è qualcosa di personale, di intimistico: è gioia da traboccare agli altri, è entusiasmo che diventa contagioso. Il primo, vero, insostituibile compito del cristiano è la trasmissione della fede. La fede normalmente nasce dalla “tradizione”, cioè dal racconto che viene trasferito a tutti: afferma Paolo: “Come potranno credere, senza averne sentito parlare? E come potranno sentirne parlare, senza uno che lo annunzi?” (Rm 10,14).
Perché siamo così tiepidi e timorosi nell’essere missionari? Perché forse non abbiamo incontrato personalmente il Risorto, non ci siamo fatti cambiare la vita da lui, per poter dire come Paolo: “È apparso anche a me!” (1 Cor 15,8). Il profeta è l’uomo afferrato dalla Parola di Dio, invaso, posseduto da essa: Geremia parlerà addirittura di seduzione (Ger 20,7); la Parola diventa in lui un fuoco ardente, che brucia nelle ossa, incontenibile (Ger 20,9). Saremo trasmettitori della Parola nella misura in cui ne saremo conquistati, innamorati. Il vero problema dell’annuncio di Gesù è il nostro amore per lui!
Tutti missionari
Ha scritto Papa Francesco nella “Evangelii gaudium”: “L’intimità della Chiesa con Gesù è un’intimità itinerante… Fedele al modello del Maestro, è vitale che oggi la Chiesa esca ad annunciare il Vangelo a tutti, in tutti i luoghi, in tutte le occasioni, senza indugio, senza repulsioni e senza paura. La gioia del Vangelo è per tutto il popolo, non può escludere nessuno” (n. 24).
Tutti abbiamo questa vocazione: preti, suore e laici. Per tutti vale l’ammonimento di Paolo: “E’ un dovere per me predicare il vangelo: guai a me se non predicassi il vangelo!” (1 Cor 9,16); tutti dobbiamo annunziare la Parola “in ogni occasione, opportuna e non opportuna” (2 Tm 4,2). E se preti e consacrati lo fanno “istituzionalmente”, ai laici dice il Concilio: “Ogni laico deve essere un testimone della resurrezione e della vita del Signore Gesù e un segno del Dio vivo al cospetto del mondo” (LG 38); “I laici sono soprattutto chiamati a rendere presente e operosa la Chiesa in quei luoghi e in quelle circostanze in cui essa non può diventare sale della terra se non per mezzo loro… Grava quindi su tutti i laici il glorioso peso di lavorare affinché il divino disegno di salvezza raggiunga ogni giorno più tutti gli uomini di tutti i tempi e di tutta la terra. Sia perciò loro aperta qualunque via (ndr: !!!) affinché… anch’essi attivamente partecipino all’opera salvifica della Chiesa” (LG 33); “In questo ufficio appare di grande valore quello stato di vita che è santificato da uno speciale sacramento, cioè la vita matrimoniale a familiare. Là si ha l’esercizio ed una eccellente scuola di apostolato dei laici… La famiglia cristiana proclama ad alta voce e le virtù presenti del Regno di Dio e la speranza della vita beata… I laici quindi, anche quando sono occupati in cure temporali, possono e devono esercitare una preziosa azione per l’evangelizzazione del mondo….; bisogna che tutti cooperino alla dilatazione e all’incremento del Regno di Cristo nel mondo” (LG 35).
Una Chiesa sempre in uscita Ha detto Papa Francesco: “La Chiesa deve essere come Dio, sempre in uscita; e quando la Chiesa non è in uscita, si ammala di tanti mali che abbiamo nella Chiesa. E perché queste malattie nella Chiesa? Perché non è in uscita. È vero che quando uno esce c’è il pericolo di un incidente. Ma è meglio una Chiesa incidentata, per uscire, per annunziare il Vangelo, che una Chiesa ammalata da chiusura. Dio esce sempre, perché è Padre, perché ama. La Chiesa deve fare lo stesso: sempre in uscita”.
Carlo Miglietta
Il commento alle letture di domenica 21 maggio 2023 a cura di Carlo Miglietta, biblista; il suo sito è “Buona Bibbia a tutti“.