«Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo?»
Domanda tosta e diretta, rivolta a quegli undici apostoli ancora troppo divisi tra terra e cielo, tra gli eventi ancora vivi della crocifissione e morte e quello straordinario stare di Gesù con loro. Quasi una seconda vita, una nuova possibilità per ridare senso a quelle sue parole e gesti che ora possono essere guardati con occhi e cuore nuovo.
Ma la stessa domanda è rivolta anche noi, donne e uomini che abbiamo scelto di avere in Gesù la via verso la pienezza, il senso stesso della nostra vita, la verità che può donare nuove lenti con cui scoprire e vivere il mondo: «Donne e uomini di Gesù Cristo, perché state a guardare il cielo?».
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Il messaggio è chiaro: non siamo fatti per stare con gli occhi all’insù, per attendere che i miracoli accadano da soli, per legare la nostra fede e la fede delle nostre sorelle e fratelli a cose che non hanno nulla a che fare con la terra. Ma d’altra parte non siamo neppure donne e uomini di sola terra. Non può bastarci misurare, governare, gestire, calcolare. La sola terra o il solo cielo sono infondo le due tentazioni con cui gli apostoli si misurano: prima cercano di allontanare Gesù da tutte le possibili situazioni rischiose, poi tentano di depistarlo da quelle sue strane premonizioni che sanno di incomprensione, sofferenza, rifiuto e morte. Quindi, quando finalmente sembrerebbe tutto chiaro, quando, dopo la Passione e risurrezione, Gesù sta con loro e li apre a una nuova presenza e a una nuova relazione, gli undici non mollano e cercano ancora una volta di tenere tutto sotto controllo: «Signore, è questo il tempo nel quale ricostruirai il regno per Israele?».
Niente da fare: ancora una volta la terra vince, e vince il tentativo di rimettere ordine nelle cose, nella storia e nella propria vita. Vince il bisogno di certezze… la risurrezione è troppo destabilizzante e l’ascensione non ne parliamo…
Eppure ancora una volta la risposta di Gesù non si fa attendere: di fatto non dà risposte, non impone certezze. Offre e promette un dono, anzi il dono: lo Spirito Santo, colui che solo può aprire al diverso, colui che solo rende capaci di sostenere l’incerto, colui che solo può rendere forti al punto tale da guardare il cielo, da reggere le sue logiche e da trasformare la propria vita in un cantiere. Proprio così, un cantiere, per costruire quotidianamente ponti tra la terra e il cielo, tra la porzione di terra e di vite che abitiamo e quel cielo che costantemente ci chiama.
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Noi, donne e uomini che hanno messo Gesù di Nazaret al centro delle proprie scelte, non dobbiamo fare altro: invocare il Dono, lasciarci invadere dal Dono – lo Spirito di Dio – per rendere discepole le genti, dove in quel «discepole» c’è tutta la pienezza di un incontro e di una relazione che rende autentica e piena la vita, capace di bene, capace di futuro, capace di umanità.
Avanti. Nessuna nostalgia ci rallenti. L’amaro in bocca per ciò che non ci saremmo aspettati non ci paralizzi. Possa il dono che attendiamo dal Risorto renderci capaci di costruire vie, ponti, anche nel deserto, anche dove è rischioso, anche quando è difficile se non impossibile… È di questo che ci rende capaci colui che un giorno da quel cielo tornerà.
FONTE – Sr. Mariangela, sul sito cantalavita.com