“Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me.” (Gv 14,6)
L’immagine pastorale che ci offre il vangelo di Giovanni, è un altro faro acceso sull’identità di Gesù. Quell’ “Io sono” che risuona in mezzo al brano è la voce di Gesù che si rivela al mondo.
Attraverso l’immagine dell’ovile e della porta, delle pecore e del Pastore, Gesù rivela ancora una volta chi è e il suo modo di prendersi cura di coloro che il Padre gli ha affidato. Lui è la porta che conduce al Padre e lui è il Pastore che si prende cura dell’umanità intera fino al dono della vita per la salvezza di tutti.
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Non ci sono altri pastori e il brano lo sottolinea fin dall’inizio, mettendo in evidenza il contrasto tra il vero Pastore e tutti gli altri. Questi, come ladri e briganti, non entrano dalla porta, ma da un’altra parte. Solo il vero Pastore delle pecore entra dalla porta e il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce.
La similitudine che utilizza Gesù non è nuova ai suoi uditori. Israele, fin dalle sue origini nomadi, ha spesso descritto il suo rapporto con Dio come quello fra un pastore e il suo gregge. Sembra che questo titolo riferito a Dio possa essere fatto risalire alle parole del patriarca Giacobbe pronunciate sul letto di morte: “Dio è colui che mi pasce fin dalla mia giovinezza.” (Gn 48,15; 49,24).
Nella letteratura profetica, l’immagine di Dio come “Pastore d’Israele” (Sl 80,1) e del popolo come gregge (Sl 77,21; Sl 78,52; Sl 23) la ritroviamo con frequenza per esprimere e descrivere la cura e l’amore di Dio per il suo popolo e per i singoli membri (Is 40,11). Il legame fra il pastore e le pecore è un legame molto particolare. Questi animali hanno bisogno di attenzioni continue, di una guida per trovare pascoli e acqua, di essere difese dalle belve selvatiche; chi si prende cura di loro alla fine le conosce bene una per una e le chiama per nome. Anche Gesù descrive così il legame fra il pastore e le pecore.
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Le pecore ascoltano la voce del pastore, la riconoscono e lo seguono. È tracciato in poche parole l’itinerario del discepolo. Ascoltare è il primo passo per entrare in relazione con Gesù. Un ascolto che se approfondito e custodito diventa comunione e fonte di vita. L’ascolto e la sequela sono una conseguenza dell’amore che il Pastore ha per le sue pecore. L’ascolto profondo della sua Parola e il sentirsi conosciuti e chiamati per nome (chiamata che indica appartenenza), spinge il discepolo a seguirlo.
Non faranno così con un estraneo, anzi fuggiranno via perché non lo riconoscono. Chiunque entri nell’ovile da una via diversa dalla porta è un estraneo e non troverà ascolto da parte delle pecore. Queste conoscono la voce di chi le ama, ma non la voce di chi le vuole “derubare, uccidere, distruggere”, privarle della vita.
Pur se la similitudine è chiara, la reazione degli uditori è di incomprensione. Non possono capire, non riescono a riconoscere la voce di Colui che parla.
I farisei non comprendono questa similitudine e Gesù ricorre a un’altra immagine: “Io sono la porta delle pecore”. Ancora una volta Gesù rivela qualcosa di sé. Gesù è la porta attraverso cui liberamente entrare ed uscire per trovare pascolo. Non c’è altra via. È lui l’unico mediatore fra Dio e l’umanità, l’unica via che conduce al Padre e alla vita sovrabbondante. Tutti devono passare attraverso la porta che è Gesù per essere salvati. Egli è strumento di mediazione per entrare in comunione col Padre e fare esperienza dell’amore di Dio. Un amore che non si impone, ma che viene offerto liberamente. Questo amore non viene compreso, anzi alla fine del capitolo, dopo che si sarà rivelato come il Bel Pastore, l’unico che offre la vita per le sue pecore, i farisei cercheranno di lapidarlo.
Il rischio di essere dispersi da chi tenta di rubare il dono fattoci da Dio è sempre possibile, ma se si affida la propria vita al vero Pastore delle pecore nulla potrà portarci via dalla sua mano.
A cura di Giustina per la Comunità Kairos.
Immagine di Dimitris Vetsikas da Pixabay