In cammino per un villaggio di nome Emmaus
Dinamica della fede infedele. Col volto triste e con occhi incapaci di vedere si fugge verso il passato. Abbandonando Gerusalemme, il luogo della sconfitta secondo il mondo, si fugge verso la “sicurezza” dei propri ricordi giovanili: come si stava meglio! A Gerusalemme Gesù il Nazareno, quell’uomo che precedentemente aveva mostrato potenza in parole opere, è stato sconfitto, annientato, distrutto, addirittura scomparso anche il suo cadavere.
Non ci resta che piangere! Sconfitto Gesù, sconfitti noi ad avergli creduto. Dov’è finito il suo potere? La sera avanza, la tristezza aumenta, lo sconcerto acceca la vista non lo hanno visto, lo sconvolgimento mette paura: si fugge.
Anche le “dicerie” delle donne (incapacità a credere oltre la consuetudine maschile, eppure Gesù aveva manifestato piena accoglienza, dialogo, amore, fiducia, cura verso le donne -verso ogni escluso-, finanche a lasciarsi convertire da una donna pagana che in una casa a Tiro lo strapazza e lo fa convertire all’agire secondo misericordia: Gesù è convertito da una donna) contribuiscono ad aumentare lo scoramento. Si fugge a Emmaus. Da Gesusalemme a Emmaus l’intervallo tra la fede e l’infedeltà, tra l’amore e l’infedeltà, tra le promesse realizzate e l’infedeltà.
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Non capiscono proprio nulla Clèopa e l’altro discepolo, noi speravamo che Dio in Gesù fosse potente, onnipotente di un potere distruttivo, potere che annienta il “mio” nemico e libera Israele. Non capiscono la sofferenza di Dio. Non capiscono, smettono di sperare e credono alle logiche del mondo. Il successo come benedizione di un dio-talismano che gratifica il potente di turno, il furbetto del quartiere, il governatore tutore dell’identità nazionalistica e religiosa. La “sostituzione etnica” vale anche per gli dei.
L’insuccesso allora risulta come un’epifania d’essere nell’errore e, quindi, non benedetto: noi speravamo. Si molla e si fugge. E non si crede.
Non si crede alle donne che invece, come delle sentinelle del mattino, sanno credere, danno credito, banchiere della bellezza, ad una visione differente del reale. Non si crede a delle donne banchiere della fede che invece credono ad una visione di angeli che annuncia novità, una visione che annuncia la notizia nuova, il vangelo: egli è vivo.
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Stolti e lenti nel credere, nella fatica del credere invece Dio, strapazzandomi, si fa prossimo Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro e cammina con me verso il buio del mio fallimento, verso il fallimento dei miei ideali, il fallimento delle mie certezze; viene con me mentre si fa sera, mentre si fa buio, mentre cioè la mia speranza affievolisce sempre più. E qui lo riconosco.
Mi racconta di sé, la sua Parola di salvezza spezzata nella logica della universale misericordia. Mi dona sé stesso, in un pane da sbriciolare e mangiare, nella logica che la vita donata deve essere necessariamente spezzata: non bisognava (s. Girolamo traduce nonne heac oportuit – una necessaria obbligatorietà) che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria? La gloria della libertà d’amare.
Allora, perché io sia libero d’amare, sparisce. E sparendo mi lascia questa consegna: spezzati michele, spezzati Tu amica, Tu amico e vedrai Dio. Lo vedrai innanzitutto a Gerusalemme nella chiesa riunita nel Cenacolo timorosa ed imperfetta (rimasero in Undici) mai completa e mai completata, lo vedrai in Simone dubitante, lo vedrai quindi per il mondo ovunque e a chiunque spezzerai “senza ritegno” parola e pane.
Allora cammineremo, attraverso le nostre fragilità, verso Dio, la Verità che è stata uccisa perché si credesse il lei: dinamica della fedeltà all’uomo. La speranza vive.
FONTE | Telegram
Foto di Steve Haselden da Pixabay