don Pasquale Giordano – Commento al Vangelo del 9 Aprile 2023

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VEGLIA PASQUALE NELLA NOTTE SANTA (ANNO A)

+ Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 28,1-10)

È risorto e vi precede in Galilea.

Dopo il sabato, all’alba del primo giorno della settimana, Maria di Màgdala e l’altra Maria andarono a visitare la tomba.

Ed ecco, vi fu un gran terremoto. Un angelo del Signore, infatti, sceso dal cielo, si avvicinò, rotolò la pietra e si pose a sedere su di essa. Il suo aspetto era come folgore e il suo vestito bianco come neve. Per lo spavento che ebbero di lui, le guardie furono scosse e rimasero come morte.

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L’angelo disse alle donne: «Voi non abbiate paura! So che cercate Gesù, il crocifisso. Non è qui. È risorto, infatti, come aveva detto; venite, guardate il luogo dove era stato deposto. Presto, andate a dire ai suoi discepoli: “È risorto dai morti, ed ecco, vi precede in Galilea; là lo vedrete”. Ecco, io ve l’ho detto».

Abbandonato in fretta il sepolcro con timore e gioia grande, le donne corsero a dare l’annuncio ai suoi discepoli.

Ed ecco, Gesù venne loro incontro e disse: «Salute a voi!». Ed esse si avvicinarono, gli abbracciarono i piedi e lo adorarono. Allora Gesù disse loro: «Non temete; andate ad annunciare ai miei fratelli che vadano in Galilea: là mi vedranno».

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Passato il giorno di sabato due discepole di Gesù fanno visita alla tomba. Esse lo avevano seguito sin dall’inizio della sua missione e si erano messe a disposizione per servirlo. Al contrario dei Dodici Apostoli, esse non lo avevano abbandonato durante la Passione, anche se erano state costrette ad osservare da lontano, loro malgrado. Non era stata una osservazione curiosa e distaccata. Le donne hanno continuato a essere discepole di Gesù e a seguirlo condividendo a distanza la sua passione, soffrendo con lui, vedendolo patire. Non c’è nulla di più doloroso che soffrire passivamente, cioè senza poter fare nulla. Quella sofferenza è resa ancora più atroce dal senso di impotenza e dal dubbio che il proprio servizio sia stato inutile. Le donne seguono Gesù fino alla tomba e, quando questa viene chiusa, esse rimangono sedute difronte a guardarla. Giuseppe d’Arimatea, un ricco discepolo di Gesù, riesce a ottenere il corpo del crocifisso e a seppellirlo, non nella fossa comune a cui era destinato, ma nella tomba scavata nella roccia che aveva preparato per sé. È certamente un servizio che rende onore al suo affetto per Gesù. Ha cercato di salvarlo facendo udire la sua voce nel Sinedrio, ma non è riuscito nel suo intento. Con quel gesto di pietà avrebbe voluto restituire a Gesù la dignità che gli era stata rubata da una ingiusta condanna e dalla morte ignominiosa. La pietra che rotola all’imbocco del sepolcro mette la parola fine alle sue speranze e al suo discepolato. Anche lui si allontana dal sepolcro, mentre rimangono sedute di fronte la tomba solamente le donne. Nel volto di questi discepoli possiamo intravedere quello di tante persone che prestano il loro servizio agli ammalati, alle persone fragili, alle famiglie in difficoltà. Medici, infermieri, forze dell’ordine, volontari in prima linea nelle tante emergenze umane. Tra coloro che seguono Gesù sulla via del dolore e lo servono ci sono le lavoratrici e i lavoratori che rimangono al loro posto per garantire i servizi essenziali. Sono loro, con il loro servizio e la solidarietà, a mantenere accesa la luce della speranza e ad animare la fiducia. Essi sono i profeti di un giorno nuovo, come le donne che alle prime luci del giorno, il primo di una nuova settimana, vanno al sepolcro per continuare ad essere prossimi a chi è nella prova.

Quando ci si prende cura di una persona, a volte con tanti sacrifici, e arriva il momento del distacco, si avverte forte il vuoto interiore, ci si sente come disabitati. La mancanza e la distanza ci pesa come la pietra che chiude il sepolcro. Tuttavia, non ci si deve chiudere in sé, morire con chi muore. Al contrario, visitare la tomba significa non rassegnarsi all’idea che tutto sia finito, che non c’è più nulla da fare e che si sia stati abbandonati. Visitare la tomba vuol dire mantenere vivo il ricordo, alimentare l’attesa e il desiderio dell’incontro. Forse ci attardiamo a lamentarci di quello che ci manca. Visitare la tomba è il pellegrinaggio del cuore di chi nella mancanza riconosce il valore essenziale di ciò o di chi non c’è più ma, strada facendo, ci si accorge che quello che si crede perduto in realtà è presente ma in altra forma. Ci manca la comunione? Creiamola lì dove abitiamo. Ci manca la familiarità? Cerchiamola nelle persone che ci sono attorno. Ci manca la libertà? Doniamola a coloro i quali sono legati a noi.   

«Ed ecco avvenne un terremoto». L’evangelista Matteo, fedele alla tradizione narrativa ebraica, usa questa immagine per la seconda volta nel giro di pochi versetti. Infatti, anche nel momento in cui Gesù muore avviene un grande terremoto che non porta distruzione ma segna una rottura col passato e l’inaugurazione di una nuova realtà. Il terremoto per i santi che erano morti segna l’inizio di una nuova vita, liberati dai sepolcri che li teneva stretti. Essi sono tutti i giusti perseguitati della storia la cui voce è raccolta nella preghiera dei salmi di lamentazione. Nel silenzio della sua Passione, Gesù dà voce a tutti i giusti ingiustamente perseguitati e condannati. La morte di Gesù non segna la vittoria dell’ingiustizia e non decreta il trionfo della morte stessa ma, al contrario, il terremoto vuole indicare l’intervento di Dio che, rispondendo alla supplica dei santi, interviene per liberarli dalla morte. Il primo terremoto vuole indicare che Dio, attraverso la morte di Gesù, vince la morte e il peccato e apre la via del ritorno alla città, alle relazioni.

Il terremoto indica un sovvertimento: Dio onnipotente e glorioso si è fatto impotente e sofferente come ogni uomo. Ha sofferto in giustamente come i santi perseguitati, ma la sua sofferenza non è solo solidarietà con i giusti perseguitati, ma è atto di amore e di salvezza verso tutti. Il secondo terremoto richiama il primo, ma aggiunge altro significato. L’intervento dell’angelo sta ad indicare l’azione di Dio. Giuseppe d’Arimatea aveva rotolato la pietra chiudendo il sepolcro mettendo la parola fine al suo cammino di discepolato, i capi avevano sigillato la pietra per chiudere la bocca ai discepoli e al loro probabile annunzio del Risorto. Dio risponde alla supplica di coloro che, nel buio della prova e nella profondità del dolore, rimangono in attesa e cercano l’amato. La pietra è rotolata via, i sigilli vengono distrutti e l’angelo si siede per indicare che la morte è definitivamente sconfitta.

Il vangelo è proclamato dalla pietra sepolcrale che non è più segno di separazione e distanza, rassegnazione e sconforto, ma è il simbolo del riscatto, è la mano tesa da Dio per risollevarci. Gesù è morto, ma Dio lo ha risuscitato. Con la resurrezione, Gesù non è stato solamente riscattato dal potere della morte, ma Dio ha aperto una via nuova sulla quale il Maestro dà appuntamento ai suoi discepoli che erano dispersi. La risurrezione innesca un nuovo dinamismo che richiede di non rimanere attaccati ai ricordi, soprattutto a quelli più dolorosi che fanno emergere rabbia e risentimento. Dobbiamo metterci in cammino verso i nostri fratelli che la comune prova ha reso distanti.

Come le donne dobbiamo essere portatori di speranza a quelle persone con le quali condividiamo il peso del dolore ma con le quali siamo chiamati anche a condividere la buona notizia che Dio non ci abbandona e che ci aspetta, ci precede. La via verso i fratelli dispersi va nella direzione opposta a quella che conduce alla tomba. Lamentarsi, contagiare di polemiche e pessimismo, significa fare il gioco di chi esercita il suo potere al fine di trattenere per sé le persone, falsificando la realtà. Non dobbiamo essere custodi di tombe che, davanti ai segni della vita che trionfa, cadono a terra come morti o come quelli che, esperti nel deformare la verità, corrompono per disinformare e screditare.

Gesù andò loro incontro. Sulla via della vita, nella quale andiamo verso i fratelli, Gesù ci viene incontro. Lui si fa vicino, si fa vedere, toccare, adorare per confermare la nostra missione quotidiana di portare la gioia dove c’è tristezza, vita dove regna morte, pace dove dilaga il conflitto, conforto dove serpeggia scoraggiamento.

Oggi, come le donne, non siamo semplici spettatori di uno spettacolo le cui scene scorrono sotto i nostri occhi ma protagonisti di questo cambiamento. Siamo chiamati a seguire Gesù che ci precede sulla via del dolore che, con Lui, diventa via della vita. Non portiamo al mondo la nostra parola, ma la luce della Parola di Dio, l’unica che veramente ci riunisce in unica rete di fraternità e amicizia.

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Commento a cura di don Pasquale Giordano
Vicario episcopale per l’evangelizzazione e la catechesi e direttore del Centro di Spiritualità biblica a Matera

Fonte – il blog di don Pasquale “Tu hai Parole di vita eterna