DOV’È IL TUO DIO? – VENERDI SANTO (PASSIONE DEL SIGNORE)
Lectio
L’ultimo respiro del Crocifisso è il primo vagito dell’Uomo nuovo
Il racconto della Passione secondo Giovanni è un dramma ma non è drammatico. Il quarto evangelista elimina dal suo racconto ogni riferimento a umiliazioni, oltraggi, offese rivolte a Gesù la cui fronte rimane sempre alta, fino alla fine. Ne esce fuori il ritratto di Gesù dal chiaro profilo regale, le cui caratteristiche principali sono la libertà e la consapevolezza. Gesù, proprio perché libero e consapevole, affronta la passione con dignità. Non è orgoglioso e sprezzante del pericolo, né tanto meno è talmente esaltato dal galvanizzarsi all’idea di diventare martire.
- Pubblicità -
L’evangelista Giovanni non ha mancato di segnalare l’umano turbamento di Gesù davanti alla consapevolezza che era giunto il momento della resa dei conti. La paura, mettendoci in guardia da un pericolo che corriamo, ci permette di compiere le scelte opportune per evitarlo e salvarci. Fin quando non giunge la «sua ora» Gesù fugge o trova il modo di non cadere nelle trappole che gli vengono tese. C’è dunque un tempo nel quale bisogna fare un passo indietro, in cui è necessario riformulare i programmi, un tempo in cui aspettare. Gesù nei pericoli non si fa prendere dalla paura, ma la prende per mano con delicatezza, perché il vero pericolo, da cui viene la paura più drammatica, è quella di non piacere a Dio. Ci si può far prendere dalla paura e bloccarsi nel fare il bene e nel portare avanti la propria missione. La paura è alimentata dalle accuse ingiuste, dall’essere strumentalizzati, beffeggiati, osteggiati, irrisi, perseguitati. Di tutto questo non si fa cenno nel racconto della Passione in quanto tale ma è riportato in tutta la narrazione evangelica ad indicare il fatto che la passione attraversa tutta la vita di Gesù.
Quando giunge la sua ora Gesù è consapevole del fatto che è arrivato al vertice della missione per la quale è venuto nel mondo. Nell’ora finale Gesù guarda in faccia la morte. Davanti ad essa il timore è vinto dalla fiducia amorevole verso il Padre. La morte non è la fine di tutto, ma il fine di tutta la sua vita. Egli stesso impiega l’immagine del seme che deve cadere nella terra e morire in vista del fine per il quale esiste ed è stato seminato: portare frutto. Lasciarsi dominare dalla paura comporta la perdita di lucidità e capacità di ragionevolezza. Per cui istintivamente o ci si ritira o si aggredisce. La paura può portarci anche a mettere la testa nella sabbia, come gli struzzi, per non vedere e rifugiarci nelle utopie e staccarci dalla realtà. Gesù invece affronta a viso scoperto la morte, senza maschere per mimetizzarsi e conformarsi alla massa e senza protezioni per salvare le apparenze. Gesù non guarda altrove, ma attraverso la morte perché guarda avanti, verso il compimento della promessa del Padre e guarda in alto verso di Lui per non perdere il contatto visivo con Dio, unica fonte di speranza.
Quando vediamo avanzare i nemici, le forze delle tenebre, con lanterne, fiaccole e bastoni, ricordiamo le parole di Gesù: «se cercate me, lasciate andare loro». Egli è veramente il nostro re, perché per salvarci, attraversa da solo la passione e la morte, ma non per rimanere da solo, ma per farci entrare con sé a far parte del suo regno. Traducendo il testo greco in maniera diversa rispetto alla traduzione ufficiale, vediamo Gesù, non Pilato, sedere nel litostroto. È il vero re, anche se con una corona di spine sul capo e un mantello di porpora sulle spalle. A questo re dobbiamo guardare per lasciarci attirare dalla sua dolente e potente regalità. Egli non ha nulla a che fare con i potenti di questo mondo, pieni di titoli, onori, ricchezze, potere, ma spesso vuoti interiormente e talmente leggeri che una folata di vento della prima avversità li porta via. Gesù, inchiodato alla croce, è saldamente seduto sul suo trono di gloria. C’è una differenza tra i troni mondani e quello di Cristo: dagli scranni più alti delle gerarchie di potere facilmente si può cadere perché c’è sempre chi insidia per prenderne il posto. Dall’alto della croce non si cade ma si chiamano gli altri rialzandoli dalle loro cadute. Così Gesù, come il serpente issato da Mosè nel deserto, è innalzato affinché chiunque, morso dal serpente del peccato e alzando gli occhi verso di Lui, possa essere salvato.
- Pubblicità -
Nella nostra passione non lasciamoci prendere dalla paura, ma guardiamo sempre avanti, certi che l’approdo della vita non è la morte ma la salvezza, la vita eterna. Quando ci sentiamo smarriti e confusi guardiamo in alto dove, come la vetta della montagna che emerge dalle nuvole, possiamo contemplare il volto del Crocifisso dalle cui labbra fioriscono parole di conforto e dal cui costato aperto sgorga, come da una sorgente zampillante, il dono dello Spirito Santo. Quando ci sentiamo soli perché distanti, diamoci appuntamento sotto la croce, nel grande abbraccio di Gesù, sotto la cui guida siamo ricondotti nell’originale unica famiglia. Quando ci assale il dubbio di essere inutili, sterili, inconcludenti, falliti apriamo il nostro spirito di figli ad accogliere devotamente e con tenerezza quella Madre che ci viene donata dall’alto. Chi più di Lei, stando ferma in piedi sotto la croce, ha avvertito il dolore lancinante della perdita del figlio? Ella ci insegna che anche nel travaglio più doloroso della prova si deve rimanere in piedi come le sentinelle nella notte, sorrette dalla speranza dell’arrivo annunciato del nuovo giorno. Nel buio del lutto e della perdita di ciò che ci sta a cuore impariamo da Lei a vedere in ciò che ci manca la presenza dell’essenziale, anche se in un’altra forma. Anche Maria è morta col Figlio sulla croce, anche per lei giunse l’ora. Sì, nel momento in cui Gesù ha reso lo Spirito Maria è morta come madre di suo figlio, ma, per il fatto di essere stata fecondata dalla sua parola dall’alto della croce, è nata come Madre di tutta la Sua discendenza, Madre della Chiesa. Alzando gli occhi verso il Crocifisso, e lasciandoci accompagnare da Maria, sperimenteremo con loro la morte non come vuoto nel quale precipitare ma quale grembo in cui rinasciamo come figli di Dio.
Meditatio
DOV’È IL TUO DIO?
«Dov’è il tuo Dio?» (Sal 41, 4. 11); mentre l’uomo soffre, una domanda trafigge il suo cuore come una freccia dalla punta acuminata e mette in crisi la fede. Anche Gesù è stato perseguitato da questa domanda provocatoria. La sua risposta è il silenzio perché nella sua pazienza si mostra un Dio compassionevole che ai ragionamenti e alle arringhe di difesa o di accusa preferisce caricarsi delle nostre sofferenze, della nostra rabbia per le ingiustizie, della nostra tristezza e delle nostre paure. «Dalle sue piaghe siamo stati guariti» (Is 53,5). Le ferite del peccato infettano, quelle dell’amore sanano. Gesù si è lasciato infettare dalla morte perché fossimo guariti dal peccato.
Oratio
Signore Gesù, uomo della croce, i tuoi occhi brillano di speranza nella notte oscura della fede messa in crisi dalle sofferenze di cui non vediamo la fine ma che in te trovano il loro senso. Guarda i tuoi fratelli che, spaventati e tristi nell’ora della prova, si chiudono in sé stessi incapaci di sperare e chiedere aiuto. Insegnaci a pregare nell’ora del dolore e in quella della solitudine a farci prossimi agli altri fratelli. Aiutaci ad affidarci fiduciosi nelle mani del Padre affinché possiamo essere docili e obbedienti alla sua volontà.
Commento a cura di don Pasquale Giordano
Vicario episcopale per l’evangelizzazione e la catechesi e direttore del Centro di Spiritualità biblica a Matera
Fonte – il blog di don Pasquale “Tu hai Parole di vita eterna“