Giovanni Battista, le opere compiute, il Padre, la Scrittura, le parole di Mosè: tutti danno testimonianza su Gesù, tutto converge nell’aiutarci a comprendere la sua profonda identità, la sua reale missione. Oggi diremmo: i profeti, la testimonianza degli apostoli e dei discepoli nel Vangelo, la Creazione che ci conduce a Dio, la Parola meditata, la testimonianza del cammino cristiano di questi secoli… tutto ci conduce ad interrogarci su chi sia veramente il Signore.
Eppure niente, gran parte dei giudei che lo ascoltano, che, pure, hanno visto il prodigio del paralitico guarito, non aprono gli occhi, non sciolgono il cuore, sono induriti ca
nella loro intelligenza. Eppure niente, gran parte dei nostri contemporanei credono di credere, si accontentano di un’appartenenza solo esteriore, culturale, sociale, al cristianesimo. Non vedono e non odono perché non vogliono vedere e ascoltare.
La ragione è semplice, dice il Signore: sono pieni di loro stessi, delle loro convinzioni, ricevono gloria gli uni dagli altri, se la cantano e se la ballano inamovibili nelle loro certezze. E così si perdono Dio. Solo un cuore aperto alle continue sorprese di Dio è in grado di aprirsi all’accoglienza di quanto oggi ha da dire.
Solo una mente curiosa e capace di mettersi in discussione può riconoscere le tracce della presenza di Cristo nella propria vita, allora come oggi. La fede è un dono, certo, ma raggiunge e viene accolta solo da chi, sul serio, accetta di mettersi in gioco, di scrutare, di indagare. Senza dare per scontato quello che conosciamo, senza pensare di tenere in tasca la verità.
Se davvero desideriamo Dio, se davvero cerchiamo di vedere la sua gloria, la sua bellezza, se davvero reputiamo la gloria degli uomini (il consenso, i like, il giudizio delle persone) inferiore (subalterno, penultimo, consequenziale) alla conoscenza di Dio e del suo amore, allora possiamo avere un cuore libero per scrutare, conoscere, accogliere.
Fonte: Il mensile “Amen – la Parola che salva“
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