FARE LUCE – IV DOMENICA DI QUARESIMA – LAETARE (ANNO A)
O Dio, Padre della luce,
che conosci le profondità dei cuori,
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apri i nostri occhi con la grazia del tuo Spirito,
perché vediamo colui che hai mandato
a illuminare il mondo e crediamo in lui solo:
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Gesù Cristo, tuo Figlio, nostro salvatore.
Egli è Dio, e vive e regna con te,
nell’unità dello Spirito Santo,
per tutti i secoli dei secoli.
Dal primo libro di Samuele 1Sam 16,1.4.6-7.10-13
Davide è consacrato con l’unzione re d’Israele.
In quei giorni, il Signore disse a Samuele: «Riempi d’olio il tuo corno e parti. Ti mando da Iesse il Betlemmita, perché mi sono scelto tra i suoi figli un re». Samuele fece quello che il Signore gli aveva comandato.
Quando fu entrato, egli vide Eliàb e disse: «Certo, davanti al Signore sta il suo consacrato!». Il Signore replicò a Samuele: «Non guardare al suo aspetto né alla sua alta statura. Io l’ho scartato, perché non conta quel che vede l’uomo: infatti l’uomo vede l’apparenza, ma il Signore vede il cuore».
Iesse fece passare davanti a Samuele i suoi sette figli e Samuele ripeté a Iesse: «Il Signore non ha scelto nessuno di questi». Samuele chiese a Iesse: «Sono qui tutti i giovani?». Rispose Iesse: «Rimane ancora il più piccolo, che ora sta a pascolare il gregge». Samuele disse a Iesse: «Manda a prenderlo, perché non ci metteremo a tavola prima che egli sia venuto qui». Lo mandò a chiamare e lo fece venire. Era fulvo, con begli occhi e bello di aspetto.
Disse il Signore: «Àlzati e ungilo: è lui!». Samuele prese il corno dell’olio e lo unse in mezzo ai suoi fratelli, e lo spirito del Signore irruppe su Davide da quel giorno in poi.
Il racconto narra la elezione e la consacrazione di Davide quale re d’Israele. Samuele è inviato da Dio da Iesse, un uomo che abitava a Betlemme. Il Signore rivela al suo profeta che ha scelto tra i figli di Iesse il re, senza indicare quale fosse. Samuele in un primo momento passa in rassegna tutti i giovani ma nessuno di essi è il prescelto, nonostante la loro prestanza fisica e le doti per guidare il popolo. La scelta cade sull’ultimo e il più piccolo dei figli, Davide, pastore del gregge di famiglia. Dio stupisce sempre con le sue scelte perché ha un occhio di predilezione per i più piccoli e umili. Infatti, essi non possono fare affidamento sulle proprie forze ma solamente sull’aiuto che viene da Dio. Con loro e in loro il Signore fa grandi cose. Dio sa guardare lontano consapevole del fatto che quanto più una persona rimane umile tanto più è fedele e la sua opera duratura. Dio, che ama il suo popolo e si prende cura di esso, provvede al re che sia secondo il suo cuore, il quale, consapevole della sua insufficienza, si lascia guidare nelle sue scelte dalla parola del Signore e conforma la sua vita alla volontà del vero e unico sovrano.
Salmo responsoriale Sal 22
Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla.
Il Signore è il mio pastore:
non manco di nulla.
Su pascoli erbosi mi fa riposare,
ad acque tranquille mi conduce.
Rinfranca l’anima mia.
Mi guida per il giusto cammino
a motivo del suo nome.
Anche se vado per una valle oscura,
non temo alcun male, perché tu sei con me.
Il tuo bastone e il tuo vincastro
mi danno sicurezza.
Davanti a me tu prepari una mensa
sotto gli occhi dei miei nemici.
Ungi di olio il mio capo;
il mio calice trabocca.
Sì, bontà e fedeltà mi saranno compagne
tutti i giorni della mia vita,
abiterò ancora nella casa del Signore
per lunghi giorni.
Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesìni Ef 5,8-14
Risorgi dai morti e Cristo ti illuminerà.
Fratelli, un tempo eravate tenebra, ora siete luce nel Signore. Comportatevi perciò come figli della luce; ora il frutto della luce consiste in ogni bontà, giustizia e verità.
Cercate di capire ciò che è gradito al Signore. Non partecipate alle opere delle tenebre, che non danno frutto, ma piuttosto condannatele apertamente. Di quanto viene fatto in segreto da [coloro che disobbediscono a Dio] è vergognoso perfino parlare, mentre tutte le cose apertamente condannate sono rivelate dalla luce: tutto quello che si manifesta è luce. Per questo è detto:
«Svégliati, tu che dormi,
risorgi dai morti
e Cristo ti illuminerà».
La luce della Pasqua segna l’inizio di una nuova creazione. Col battesimo Cristo, crocifisso e risorto, sveglia l’uomo dal sonno del peccato, che porta alla morte, per illuminarlo affinché sia nel mondo un segno che aiuti a distinguere il male dal bene. Il cristiano illumina le coscienze dei propri fratelli non con le parole ma con le opere di bontà, giustizia e verità. La sua diventa una testimonianza che da una parte smaschera le macchinazioni del maligno e ne limita il potere, e dall’altra indica l’itinerario di fede inaugurato da Gesù le cui orme vanno seguite per conseguire definitivamente la vita eterna.
+ Dal Vangelo secondo Giovanni Gv 9,1-41
Andò, si lavò e tornò che ci vedeva.
Il segno
1Passando, vide un uomo cieco dalla nascita 2e i suoi discepoli lo interrogarono: “Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?”. 3Rispose Gesù: “Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio. 4Bisogna che noi compiamo le opere di colui che mi ha mandato finché è giorno; poi viene la notte, quando nessuno può agire. 5Finché io sono nel mondo, sono la luce del mondo”. 6Detto questo, sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco 7e gli disse: “Va’ a lavarti nella piscina di Sìloe” – che significa Inviato. Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva.
La testimonianza
8Allora i vicini e quelli che lo avevano visto prima, perché era un mendicante, dicevano: “Non è lui quello che stava seduto a chiedere l’elemosina?”. 9Alcuni dicevano: “È lui”; altri dicevano: “No, ma è uno che gli assomiglia”. Ed egli diceva: “Sono io!”. 10Allora gli domandarono: “In che modo ti sono stati aperti gli occhi?”. 11Egli rispose: “L’uomo che si chiama Gesù ha fatto del fango, mi ha spalmato gli occhi e mi ha detto: “Va’ a Sìloe e làvati!”. Io sono andato, mi sono lavato e ho acquistato la vista”. 12Gli dissero: “Dov’è costui?”. Rispose: “Non lo so”.
13Condussero dai farisei quello che era stato cieco: 14era un sabato, il giorno in cui Gesù aveva fatto del fango e gli aveva aperto gli occhi. 15Anche i farisei dunque gli chiesero di nuovo come aveva acquistato la vista. Ed egli disse loro: “Mi ha messo del fango sugli occhi, mi sono lavato e ci vedo”. 16Allora alcuni dei farisei dicevano: “Quest’uomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato”. Altri invece dicevano: “Come può un peccatore compiere segni di questo genere?”. E c’era dissenso tra loro. 17Allora dissero di nuovo al cieco: “Tu, che cosa dici di lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi?”. Egli rispose: “È un profeta!”.
18Ma i Giudei non credettero di lui che fosse stato cieco e che avesse acquistato la vista, finché non chiamarono i genitori di colui che aveva ricuperato la vista. 19E li interrogarono: “È questo il vostro figlio, che voi dite essere nato cieco? Come mai ora ci vede?”. 20I genitori di lui risposero: “Sappiamo che questo è nostro figlio e che è nato cieco; 21ma come ora ci veda non lo sappiamo, e chi gli abbia aperto gli occhi, noi non lo sappiamo. Chiedetelo a lui: ha l’età, parlerà lui di sé”. 22Questo dissero i suoi genitori, perché avevano paura dei Giudei; infatti i Giudei avevano già stabilito che, se uno lo avesse riconosciuto come il Cristo, venisse espulso dalla sinagoga. 23Per questo i suoi genitori dissero: “Ha l’età: chiedetelo a lui!”.
24Allora chiamarono di nuovo l’uomo che era stato cieco e gli dissero: “Da’ gloria a Dio! Noi sappiamo che quest’uomo è un peccatore”. 25Quello rispose: “Se sia un peccatore, non lo so. Una cosa io so: ero cieco e ora ci vedo”. 26Allora gli dissero: “Che cosa ti ha fatto? Come ti ha aperto gli occhi?”. 27Rispose loro: “Ve l’ho già detto e non avete ascoltato; perché volete udirlo di nuovo? Volete forse diventare anche voi suoi discepoli?”. 28Lo insultarono e dissero: “Suo discepolo sei tu! Noi siamo discepoli di Mosè! 29Noi sappiamo che a Mosè ha parlato Dio; ma costui non sappiamo di dove sia”. 30Rispose loro quell’uomo: “Proprio questo stupisce: che voi non sapete di dove sia, eppure mi ha aperto gli occhi. 31Sappiamo che Dio non ascolta i peccatori, ma che, se uno onora Dio e fa la sua volontà, egli lo ascolta. 32Da che mondo è mondo, non si è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato. 33Se costui non venisse da Dio, non avrebbe potuto far nulla”. 34Gli replicarono: “Sei nato tutto nei peccati e insegni a noi?”. E lo cacciarono fuori.
L’incontro
35Gesù seppe che l’avevano cacciato fuori; quando lo trovò, gli disse: “Tu, credi nel Figlio dell’uomo?”. 36Egli rispose: “E chi è, Signore, perché io creda in lui?”. 37Gli disse Gesù: “Lo hai visto: è colui che parla con te”. 38Ed egli disse: “Credo, Signore!”. E si prostrò dinanzi a lui.
39Gesù allora disse: “È per un giudizio che io sono venuto in questo mondo, perché coloro che non vedono, vedano e quelli che vedono, diventino ciechi”. 40Alcuni dei farisei che erano con lui udirono queste parole e gli dissero: “Siamo ciechi anche noi?”. 41Gesù rispose loro: “Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: “Noi vediamo”, il vostro peccato rimane”.
Lectio
Come ti ha aperto gli occhi? (
Il racconto è strutturato in tre parti. Nella prima l’evangelista narra il segno (vv. 1-7), nella seconda (vv. 8-34), divisa in quattro scene (8-12;13-17; 18-23;24-34), è descritto il processo che ne consegue, e l’ultima presenta l’incontro con Gesù (vv.35-41). La prima e l’ultima scena del racconto si richiamano perché, accostati l’una all’altra, formano una figura retorica chiamata chiasmo. Infatti, sia il primo pannello narrativo che il terzo sono divisi in tre parti: due dialoghi e una parola di rivelazione.
Il segno: Io sono la luce del mondo
Nei vv. 1-7 i discepoli di Gesù chiedono di chi sia stato il peccato che ha causato la cecità dell’uomo. Gesù replica che la condizione di cecità non è causata dal peccato ma il cieco è colui nel quale Dio manifesta le sue opere. Dove gli uomini vedono l’uomo colpevole, Gesù vede l’uomo sofferente. La domanda dei discepoli nasce dalla convinzione che la malattia sia conseguenza di una colpa.
Nel progetto di Dio c’è un tempo in cui bisogna agire e uno nel quale non si può agire. Si agisce durante il giorno nel quale c’è la luce e non si può agire quando non c’è ed è notte. Gesù rivela anche che lui è la luce che Dio ha inviato nel mondo. Il cieco, come il mondo, è immerso nel buio, incapace di distinguere il giorno dalla notte. La domanda dei discepoli è indice del fatto che essi pretendono di vedere la luce della verità nel buio della loro ignoranza. Essi domandano aiuto alla luce che però non fa luce sulla colpa ma è la luce della misericordia che guarisce dalla cecità. Gesù, luce del mondo, non è venuto a svelare il peccato dell’uomo per giudicarlo e condannarlo, ma a rivelare attraverso i segni l’operare di Dio. Gesù non analizza il problema del male e della sofferenza, ma lo tocca sanando la persona malata e sofferente.
Dopo aver impastato la terra con la saliva, pone il fango sugli occhi e gli comanda di andare alla piscina di Siloe per lavarsi. Traducendo il nome della piscina Giovanni collega quel luogo a Gesù che è l’inviato di Dio. Come il cieco va alla piscina di Siloe per lavarsi con la sua acqua, ricevendo il dono della vista, così chi va da Gesù e obbedisce alla sua parola, pur non vedendolo, inizia a vedere. L’azione sanante coinvolge tutti e quattro i soggetti: Dio, Gesù, il cieco e i discepoli. Così si comprende il fatto che Gesù usi il plurale: “Bisogna che noi compiamo le opere di colui che mi ha mandato” (v. 4). Il narratore non indugia sul momento del miracolo ma sulle conseguenze che esso comporta. Gesù con la sua parola è luce grazie alla quale si può agire. Solo Dio può agire nella notte. Gesù, agendo alla luce della volontà del Padre che lo ha inviato, opera nella notte in cui l’uomo è immerso. Il peccato è la condizione di cecità interiore che impedisce di distinguere il bene dal male, la verità dalla menzogna, l’opera di Dio e quella del maligno. L’opera di Gesù consiste nel fare del fango con la saliva per poi spalmarla sulle palpebre chiuse del cieco. Il gesto è accompagnato dal comando che attiva l’opera del cieco, la quale consiste nel compiere la parola di Gesù. Come Gesù nel mondo si lascia guidare dalla luce della volontà del Padre e la porta a chi è immerso nel buio del peccato, così il cieco, nella sua notte interiore si lascia guidare dalla luce della parola di Gesù: va alla piscina di Siloe, si lava e torna con gli occhi aperti e vedenti. Il cieco nato è rinato vedente.
La testimonianza: cosa dici di lui?
Nella seconda parte del racconto Gesù scompare dalla scena, ma la sua assenza sarà solamente fisica giacché la disputa che si accende riguarda la sua vera identità. S’istruisce un processo in quattro sedute che corrispondo a quattro situazioni in cui si è chiamati a dare testimonianza su Gesù. A Gesù spetta il giudizio finale (v.39) in cui avviene un capovolgimento della situazione: chi sa di essere cieco e di essere stato guarito viene alla luce, mentre chi crede di vedere ma rifiuta di credere e lasciarsi guarire, rimane imprigionato nel peccato.
Nella prima scena coloro che conoscevano il cieco come mendicante, lo vedono sano e non più a chiedere l’elemosina. Sollecitato dalla loro curiosità, l’ex cieco narra la vicenda parlando di “un uomo di nome Gesù” che lo ha guarito. Il testimone parla solo di ciò che ha sperimentato ma non conosce nulla di chi lo ha sanato se non il nome.
La seconda scena si svolge davanti ai farisei, conoscitori della legge, e per questo considerati capaci di fare discernimento. Il fatto che Gesù abbia operato in giorno di sabato accende la disputa. Discutono tra loro se Gesù, operando in quel modo e in quel giorno, abbia violato la legge o, al contrario, l’abbia compiuta. La soluzione è fornita dallo stesso uomo guarito che riconosce in Gesù un profeta perché non ha compiuto un lavoro, ma un segno. Il lavoro dell’uomo infatti è finalizzato a trarre vita per sé, l’opera di Dio ha come scopo quella di dare vita all’uomo. Il cieco sanato, che inizia a vedere più in profondità, riconosce Gesù come il vero interprete della legge.
Dopo i farisei entrano in scena Giudei che mettono in dubbio la credibilità del testimone e la veridicità della sua testimonianza. Chiamati in causa i suoi genitori confermano il fatto che il loro figlio sia nato cieco. Al contempo, essi, che già avevano portato il peso dell’accusa di aver causato con il loro peccato la malattia del figlio, avvertono il pericolo di essere ancora giudicati e condannati. Presi dalla paura non si sbilanciano sulla spiegazione del come egli ora ci veda. Il cieco risanato è privato del sostegno dei suoi genitori che preferiscono rimanere all’interno delle strutture religiose piuttosto che rischiare per aderire alla fede in Gesù. Il cammino di fede dell’uomo che era stato cieco trova un altro ostacolo nella scelta fatta dai suoi familiari di voltargli le spalle perché vinti dalla paura di perdere quelle sicurezze che l’appartenenza alla comunità garantiva. Essi non si lasciano stupire e coinvolgere dalla novità che ha investito il loro figlio. Scelgono di rimanere nell’ombra dell’ignoranza piuttosto che venire alla luce e schierarsi dalla parte della verità. Nel grande processo della vita non si può rimanere spettatori; chi si tira fuori dalla responsabilità di testimoniare la bellezza e la novità del vangelo con il proprio impegno, adducendo scuse infantili, rinnega la verità e viene meno al suo compito educativo. Fondamentale è il ruolo dei genitori e degli adulti nel cammino di fede delle giovani generazioni. Ora più che mai i genitori, prendendo consapevolezza del dono ricevuto nei figli, non si lascino contagiare dallo spirito mondano che ingolfa il cuore di ansie, paure e timori. La luce della fede che loro stessi hanno ricevuta dalla famiglia e dalla Chiesa, sia donata ai figli. Vale la pena ricordare quello che il sacerdote dice ai genitori consegnando loro la candela accesa al cero pasquale: «Ricevete la Luce di Cristo. A voi genitori è dato questo segno pasquale, fiamma che sempre dovete alimentare. Abbiate cura che vostro figlio, illuminato da Cristo, cresca come figlio della Luce» (Dal Rito del Battesimo dei bambini). Non si tratta di fare lezioni di teologia, ma basta condividere l’esperienza della grazia che perdona, che cura, che incoraggia, che nutre con tenerezza.
L’ultima sessione del processo vede comparire di nuovo l’ex cieco a cui viene chiesto di confermare una sentenza già scritta, per la quale Gesù è un peccatore! Si contrappongono il pregiudizio dei Giudei e l’esperienza dell’uomo guarito. I Giudei, appellandosi all’autorità di Mosè, al quale Dio aveva parlato e del quale pretendono di essere discepoli, emettono una sentenza di condanna contro Gesù e il suo discepolo. La persona guarita, partendo dalla considerazione che nessun uomo avrebbe potuto dare la vista ad un cieco come lui sin dalla nascita, riconosce che è stata un’opera di Dio giungendo alla verità che Gesù non ha violato la legge del sabato ma l’ha compiuta. È sabato ogni qualvolta Dio libera l’uomo dalle tenebre e gli dona la luce per riconoscerlo come Padre buono. L’ex cieco non ha ancora fatto la sua professione di fede, ma la lucidità dei suoi ragionamenti mette in luce la perversità dei pensieri dei sedicenti giudici che reagiscono con aggressività decretandone l’espulsione dalla comunità.
Il giudizio finale: credi nel Figlio dell’uomo?
Nella scena finale (vv. 35-41) ricompare Gesù che si rivolge al cieco guarito sollecitandone la professione di fede: “credi?”. L’uomo non risponde con “io so”, ma con “io credo, Signore!”. La conclusione del racconto presenta la medesima tripartizione della prima scena, ma a parti inverse. Infatti, l’incontro-contatto con Gesù, che conclude la prima parte del racconto, diventa l’incontro-dialogo con cui inizia quella finale. Espulso dalla comunità l’uomo guarito dalla cecità incontra Gesù. È lui che lo cerca e lo trova. Essere cacciato dalla comunità significava uscire dal suo mondo e perdere delle forme di protezione garantite dalla comunità. Ha acquistato la vista ma ha perso l’appartenenza al suo mondo perché ha confessato che Gesù è l’inviato di Dio. Lo ha dedotto dalla sua opera perché «se costui non venisse da Dio, non avrebbe potuto far nulla» (v. 33).
L’uomo guarito viene interrogato da Gesù. L’oggetto della domanda è la fede nel Figlio dell’uomo. Per tre volte si ripete il verbo credere. Di rimando il cieco guarito interroga Gesù per ricevere informazioni su di Lui affinché possa credergli. La replica di Gesù è un auto-rivelazione: Colui, che toccando e parlandogli si è fatto vedere nella notte del peccato, ora gli parla e lo vede nella luce della fede. Infatti, «lo hai visto» letteralmente dovremmo tradurre con «hai già iniziato a vederlo e ora continui a vederlo». Vedere e credere sono due verbi connessi tra loro. Nel momento in cui il cieco ha operato secondo quanto Gesù gli aveva detto ha iniziato a vedere. La fede inizia da un gesto e una parola di Gesù, ma richiede anche l’obbedienza perché la guarigione possa avvenire. Tuttavia, affinché la salute diventi salvezza, all’atto iniziale dell’obbedienza segue anche la narrazione della fede con la quale si racconta ciò che Dio ha fatto. Il cieco guarito fa un percorso di fede nel quale è chiamato a dare la sua testimonianza. Man mano che l’itinerario va avanti si fa anche più arduo fino al punto in cui viene abbandonato dai suoi genitori e cacciato dalla sinagoga. Credere significa immergersi nella luce, abbandonarsi alla Parola, entrare nella notte del passaggio con Cristo per risorgere con Lui e diventare luminoso segno di speranza. Il credente non aderisce ad un sistema ideologico o normativo, ma ad una persona, il Figlio dell’uomo, che vede alla luce della fede.
Il giudizio di Gesù su coloro che dicono di vedere è netto: rimanete nel vostro peccato. Chi giudica a partire da sé è accecato dall’orgoglio che impedisce alla luce della fede di attivare il cammino di guarigione interiore e di salvezza. Essi sono quelli che si auto escludono dalla salvezza.
Meditatio
Fare luce
Dopo l’incontro con la donna Samaritana al pozzo, la liturgia questa quarta domenica di quaresima presenta l’esperienza che di Gesù fa un uomo nato cieco. lo sguardo di Gesù si posa sull’uomo mendicante. Cosa vede Gesù? Riascoltiamo le parole di Dio a Samuele mentre è a casa di Iesse per consacrare il nuovo re: «l’uomo vede l’apparenza, ma il Signore vede il cuore». Già! I discepoli, fermandosi all’apparenza, vorrebbero sapere chi è il colpevole. Dio ci conosce interiormente perché il suo sguardo raggiunge l’intimo di ciascuno di noi e ne coglie l’anelito più profondo. Per Lui le tenebre sono come luce (Sal 139,12) e anche quando noi camminiamo come se fossimo in una valle oscura, Dio è il nostro Pastore che guida e sostiene i nostri passi vacillanti (Sal 23). Il buio è la condizione di sofferenza. Il cieco, che non ha mai visto la luce, è l’uomo che ancora non ha incontrato e conosciuto Gesù, Lui che dice di essere «la luce del mondo». Nel prologo del Vangelo Giovanni afferma: «In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre …Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo» (Gv 1, 4-5.9). Gesù, dunque, si avvicina al cieco, come si fa prossimo ad ogni uomo che è immerso nel buio della paura, della rabbia, della tristezza. La disperazione potrebbe farci vedere tutto nero. Anche i discepoli di Gesù sono ciechi o ipovedenti quando, seguendo il modo di pensare comunemente diffuso, invece di sentire compassione per chi è nel dolore si ergono a giudici inquisitori per cercare la colpa e indicare il colpevole.
Nel gesto compiuto da Gesù d’impastare con saliva e terra il fango messo sugli occhi del cieco dobbiamo leggere un riferimento all’atto creativo di Dio con il quale plasma l’uomo con polvere di terra e soffia donandogli il suo Spirito. Dall’unione della terra con lo Spirito, nasce l’uomo quale essere vivente. Il gesto di Gesù ricorda che nessun uomo può essere ridotto al suo limite. Nonostante le nostre mancanze Dio ricorda costantemente a sé stesso e a noi che siamo Sue creature. Anche noi dobbiamo sempre rammendare che siamo fragili come vasi di terracotta, ma che contengono un grande tesoro: è lo Spirito che ci rende vivi.
Il cieco, in obbedienza alla parola di Gesù, compie un viaggio verso la piscina di Siloe, che significa «Inviato», perché lì si lavi. S’intuisce chiaramente il richiamo al battesimo. Nella piscina di Siloe avviene il passaggio dal buio della cecità alla luce della visione. L’uomo illuminato è una creatura nuova. Il battesimo non è solo un rito, ma è un evento che cambia la vita. È un dono ricevuto gratuitamente da Dio una volta per tutte, ma che richiede di essere custodito e alimentato. Dio, donandoci la sua Vita attraverso il sacramento dell’Eucaristia, ci apre gli occhi sulla nostra condizione di figli amati dal Padre proprio perché deboli e fragili.
La novità cristiana non è esteriore ma interiore. La grazia di Dio permette di avere una visione chiara della propria identità senza giudicare o colpevolizzare. L’umanità è la prima evidenza che va riconosciuta, soprattutto quando siamo portati a idealizzare o a demonizzare le persone. Gli occhi del cieco si sono aperti innanzitutto su sé stesso come uomo che ha fatto esperienza di una umanità nuova, portata da Gesù. Tuttavia, l’uomo illuminato dalla fede non è quello che sa dare le risposte ad ogni domanda. Soprattutto in situazioni drammatiche al credente viene chiesto: «Dio dov’è?». Anche l’uomo di fede nel dolore sperimenta l’assenza di Dio e non sa rispondere a questo drammatico interrogativo. In realtà, proprio quando si è sotto esame, viene chiesto conto della vita, si sperimenta la solitudine, lo Spirito parla in noi perché Lui ci guida alla visione diretta di Dio attraverso il dolore.
L’illuminato deve affrontare, come Gesù, il processo nel quale il credente è chiamato a testimoniare a favore o contro di lui. I processi sono quelle situazioni nelle quali ci si trova coinvolti in scontri polemici che vedono contrapposti due o più schieramenti. Lo notiamo con dispiacere anche in questi giorni in cui non mancano, soprattutto nelle piazze mediatiche e nei nuovi tribunali dei social, dispute con scambi di accuse, giudizi, speculazioni, allarmismi, calunnie, denigrazioni. In mezzo alle grida sguaiate si fa spazio la voce del credente che, riconoscendo Gesù non solo come uomo ma anche come profeta, invita ad ascoltare la Parola di Dio. Nei momenti tristi, quando si brancola nel buio e il clima si appesantisce ancora di più a causa delle polemiche sterili e delle puntualizzazioni inutili, bisogna fare silenzio per ascoltare la Parola di Dio che accende in noi la speranza e con essa la capacità di vedere con fiducia l’orizzonte che ci sta davanti.
Essere cristiano non è un titolo di onore o che definisce uno specifico status sociale. Cristiano è il nome del discepolo di Cristo. Seguire Gesù non assicura alcuna garanzia d’immunità dalla sofferenza. Anzi, l’essere discepolo autentico di Gesù comporta il fatto di essere associati alla sua passione e morte. «Discepolo suo (di Gesù) sei tu!», dicono i suoi oppositori. Con ciò si vorrebbe insinuare che essere cristiani è una vergogna, qualcosa di disdicevole. Quanto pesa lo sguardo carico di sdegno e disprezzo riservato a chi porta i segni dell’appartenenza a Cristo. Essere di Cristo significa fare la volontà di Dio anche quando «il frutto della luce, … bontà, giustizia e verità» (Ef 5,9), cioè i piccoli miracoli della vita di tutti giorni, quelli fatti per amore, non sono riconosciuti e addirittura fraintesi e disprezzati.
Come Gesù viene condotto fuori dalla città per essere crocifisso, così l’uomo che era stato cieco, per il fatto di aver testimoniato la bontà di Gesù a partire da quello che egli aveva operato in lui, viene cacciato e abbandonato. Ma proprio in quel momento di buio Gesù gli si fa di nuovo vicino. La luce della fede ci permette di vedere Dio davanti a noi anche quando si eclissa il sole della ragione e la domanda «Dio mio, perché mi hai abbandonato?» trova risposta solo nel silenzio dell’abbandono fiducioso nelle sue braccia. Uniti con Gesù sulla croce anche per noi le tenebre sono luce perché in essere vediamo Dio che viene a salvarci dalla morte con la sua mano potente.
Credere significa amare Gesù con tutto se stessi, unendosi a lui nella passione e nella morte, per poter essere illuminati e passare dalle tenebre alla luce. La fede è un cammino che inizia con l’illuminazione del battesimo e giunge fino ad essere luminosi come le stelle che brillano nel firmamento del cielo. Il nostro mondo ha bisogno di essere illuminato da questi «corpi celesti» che diventano nella notte della prova per tutti segno di consolazione e di sicura speranza.
Leggi la preghiera del giorno.
Commento a cura di don Pasquale Giordano
Vicario episcopale per l’evangelizzazione e la catechesi e direttore del Centro di Spiritualità biblica a Matera
Fonte – il blog di don Pasquale “Tu hai Parole di vita eterna“