Commento al Vangelo di domenica 19 Marzo 2023 – Comunità Kairos

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L’episodio del cieco nato si lega indissolubilmente al contesto che lo precede, al cap 8, in cui Gesù, facendone una promessa, aveva affermato di sé: “Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita” (8,12). Eppure dopo estenuanti dibattiti con i notabili religiosi, chiusi a riccio nella loro tradizione, senza aver potuto far breccia nei loro cuori, dopo aver rischiato la lapidazione, ha dovuto abbandonare il tempio!

Ecco allora in questo episodio drammatizzata la tensione Luce – tenebre. Gesù luce del mondo (v. 5), come già dal prologo, venuto a far brillare la Vita, dono del Padre. “Era nel mondo … ; eppure il mondo non lo ha riconosciuto.11Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto.12A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio”. Le tenebre, paese del cuore indurito, che sempre ripete il suo “no”.

Da qui si dipana una storia che diventa emblematica di un percorso di accoglienza del Cristo, che tra intralci, resistenze, adesioni progressive giungerà a pienezza.

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Uscito dal tempio, Gesù vide un uomo cieco dalla nascita, ma su cui immediatamente viene evocata l’ombra del peccato. Per bocca dei discepoli, sempre attardati nella mentalità corrente che vedeva nel disgraziato un castigato da Dio, indegno di accedere al tempio. Ma per lui il peccato non è un’ossessione; ne parla raramente e per perdonarlo o metterne in guardia, respingendo l’immagine di un dio vendicativo. Il suo orizzonte è la luce, la visibilità dell’amore. Manifestandosi come luce del mondo (v. 5) preannuncia il senso del segno che compirà: la condizione creaturale dell’umanità cieca lo sollecita a realizzare la sua misericordiosa opera di inviato. Più avanti avviserà: “chi cammina nelle tenebre non sa dove va.36Mentre avete la luce, credete nella luce, per diventare figli della luce (12,35)”. Ecco il suo invito: raccogliersi, nella fede, attorno a lui, nel regno luminoso del Padre. Solo il negarsi alla gioia sarà peccato. Perciò non ha mai bisogno della sofferenza dell’uomo, ma nella sua opera salvifica anche la sofferenza trova posto, venendo accolta con senso nel piano di Dio.

Così Gesù, vedendolo come uomo, non caso di dottrina, gli si rivolge per primo, intercettandolo nella sua debolezza, nel suo bisogno di salvezza. La situazione del mendicante, cieco dalla nascita, è emblematica, perché questi non saprebbe nemmeno cosa chiedere; è un rassegnato, spento nel fondo senza storia delle sue tenebre, che sono tenebre fisiche. La guarigione, opera di Gesù, è disegnata attraverso la prospettiva del rinnovamento della creazione. Concedergli la sanità fisica impastando del fango, in analogia con il racconto della Genesi (2,7), sarà un primo passo. Ma l’uomo dovrà ancora rinascere ad una nuova esistenza e il percorso sarà tutto da costruire a partire da questo incontro.

All’iniziativa di Gesù segue infatti da parte del cieco una prima forma di adesione, fiducia ancora grezza, mista a speranza. Il cieco non lo conosce, ma in silenzio accetta di abbandonarsi alle sue parole:

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«Va’ a lavarti nella piscina di Sìloe» – che significa Inviato”. Chiara anticipazione, allusiva alla realtà battesimale, anch’essa nuova creazione dall’acqua e dallo Spirito. Si ingenerano così, in un primo dinamismo, un suo alzarsi, dacché stava seduto, e un suo andare, che preludono a una trasformazione dell’esistenza, tale da renderlo irriconoscibile ai presenti. Primo effetto del disvelamento operato da Gesù-luce nelle tenebre della propria esistenza è per l’uomo una nuova consapevolezza, l’affermazione della propria identità: “Sono io” (v. 9). Non solo ora vede, ma si è raddrizzato, è autonomo, non più bisognoso di essere guidato. Sa che la sua trasformazione si deve ad “un uomo chiamato Gesù” (giusto un Salvatore). Ma ecco che tra la gioia e lo stupore iniziali si rimaterializza lo spettro del peccato: chi gli ha ridonato la vista ha infranto la legge del Sabato. E se è peccatore, come può ridare la vista? L’antitesi paradossale si giocherà tra il dono della Vita e l’infrazione della Legge!

Tutta la parte centrale del brano è così occupata da una serie di interrogatori di stampo processuale, volti ad accertare la colpa di chi lo ha sanato. Si disegnano allora due itinerari: quello di una sempre maggiore comprensione della persona di Gesù, come avviene al cieco risanato, che approfondisce un percorso iniziatico di discepolato e, da parte dei Farisei, quello inverso, in uno statico arroccarsi nelle proprie posizioni. Costoro, negando anche ciò che vedono, la guarigione del cieco, ossia il compimento messianico delle promesse, restano trincerati nelle loro verità di fede. Il già cieco, invece, colui che, soverchiato da un’oscurità che non gli permetteva autonomia e libertà, era incapace di orientarsi e leggere la realtà oscura attorno a sé, dà ora prova di resistenza alle intimidazioni, risponde con franchezza alle autorità, sa riconoscere in Gesù un profeta, sino a permettersi con levità e ironia di prendersi gioco dei capi. Nell’umiltà di chi non sa, difende senza tregua quell’unico tratto di esperienza del Cristo che ha fatto: “Una cosa io so: ero cieco e ora ci vedo”. E talmente bene da poter ridicolizzare, forte solo del legame vitale con Gesù, i sillogismi artificiosi dei Farisei.

Nella parte finale del brano (vv. 35-41) Gesù ricompare. Cerca colui che, come lui, è stato cacciato fuori dall’istituzione templare e gli pone la domanda decisiva: “Tu credi nel Figlio dell’Uomo?”. Il cieco, che lo ha già riconosciuto profeta, come la Samaritana, è chiamato a un passo in più: la professione di fede nell’uomo che è la più bella immagine del progetto d’uomo secondo il Padre. E chi è, Signore? In questo percorso fondante è la Parola; “colui che parla con te”. «Credo, Signore!». E si prostrò dinanzi a lui, nuovo tempio.

Se è proprio grazie al dialogo con Gesù che il cieco ha scoperto chi è il suo Salvatore, pure il lettore della Parola, in ogni tempo si vedrà presente colui che gli propone: “Tu credi nel Figlio dell’Uomo?”.


A cura di Raffaella per la Comunità Kairos.

Immagine di Dimitris Vetsikas da Pixabay