Dal pozzo di Sicar alla piscina di Siloe.
Cambia il luogo ma non il nostro desiderio di entrare nella scena.
Vi propongo di sederci e aprire gli occhi. Ci vorrebbe qualche serata per goderci il film di un vangelo così. Noi ci accontentiamo di qualche flash. Vogliamo portarci a casa qualche scatto.
Sediamoci al termine della scalinata che dalla piscina di Siloe conduce al tempio.
Di lì possiamo vedere.
Primo scatto: Gesù, passando, vide un uomo cieco dalla nascita.
Il protagonista di oggi è l’ultimo della città, un mendicante cieco, uno che non ha nulla, nulla da dare a nessuno. E Gesù si ferma per lui. Perché il primo sguardo di Gesù sull’uomo si posa sempre sulla sua sofferenza.
Lo sguardo di Gesù raccolto dai Vangeli è di una portata straordinaria, il suo sguardo vedeva sempre oltre perché l’amore vede sempre oltre.
Gesù guarda Levi e non vede un ladro, bensì un uomo bisognoso di fiducia. Nella casa di Giàiro, il capo della sinagoga di Cafarnao, tutti vedono una bambina morta, Gesù vede solo una bambina addormentata. Nell’adultera tutti vedono una peccatrice meritevole di morte; Gesù vede una donna bisognosa di libertà. Nella prostituta che gli lava i piedi, vi vede una santa. Davanti alla tomba di Lazzaro, vede già l’amico resuscitato.
È bello sapere che anche noi siamo visti così. Quando ci guardiamo dentro e vi troviamo solo buio, Dio ci sta guardando semplicemente come figli amati alla follia! Se imparassimo a guardarci con gli occhi di Dio, impareremmo anche ad accettarci, ad amarci un po’ di più, a stimarci un po’ di più, trasformando così la nostra vita.
Egli vide un cieco. Non siamo cattivi, ma semplicemente ciechi.
Il cieco non sa dove si trova, ha perduto il luogo di provenienza e non sa neanche dove sta andando: non ha una meta, un luogo dove poter far riposare il cuore.
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In questo buio esistenziale il cieco inciampa, cade, si rialza, va a sbattere; confonde il male col bene compie azioni maldestre pensando che siano quelle giuste in grado di farlo vivere.
Se facciamo il male non lo facciamo mai per cattiveria, ma perché siamo confusi, ciechi appunto, sbagliando spesso il bersaglio delle nostre azioni.
Il termine peccato, biblicamente significa proprio: «mancare il bersaglio». E a forza di sbattere di qua e di là, alla fine ci si fa male, ci si ferisce.
Il peccato non sarà dunque un’offesa fatta a Dio, ma una ferita inferta a noi stessi. Peccato è tutto ciò che fa diminuire la nostra umanità, è una ferita che l’uomo inferisce a se stesso. Il peccato non offende Dio, offende me, ferisce me: “il peccato è una diminuzione per l’uomo stesso, impedendogli di conseguire la propria pienezza”. (GS 1,13)
Allora lasciamoci guardare da Gesù. Sentiamo il suo sguardo anche se siamo al buio.
Godiamoci qualche minuto di sguardo suo. Con calma.
Secondo scatto: Gesù sputa per terra, fa del fango e unge gli occhi del cieco.
È una nuova creazione quella che compie Gesù con quel gesto: è il cielo di Dio che ancora si impasta con questa terra che siamo noi.
La creazione non è avvenuta una volta per tutte, ma continua.
Ogni volta che lascio cadere una goccia di questa Parola io rinasco.
La creazione di me stesso avanza. E tutti noi, come creta, siamo nelle mani del vasaio.
Mettiamo la nostra vita nelle mani di Dio.
Proviamoci, ciechi come siamo, mendicanti d’amore: plasma la nostra vita. Signore, modella ancora questa terra secca.
Godiamoci qualche minuto nelle mani sue. Con calma.
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Terzo scatto: Va’ a lavarti alla piscina di Siloe, dice a quell’uomo Gesù.
La cosa straordinaria è che il gesto di Gesù non guarisce il cieco all’istante!
L’opera di Gesù non è magica o automatica, ma richiede la partecipazione attiva del cieco.
Se il cieco non avesse accettato di correre alla piscina di Sìloe per lavarsi, sarebbe stato solo un cieco con gli occhi pieni di fango!
E quello ci va. Quel cieco si fida, punto e a capo. Non crede ma comincia a fidarsi.
Nella vita non dovremmo dimenticarci che abbiamo mosso i primi passi perché ci siamo fidati, e c’è sempre un attimo di follia nella fiducia.
La paura ti mette all’angolo, la fiducia ti riporta al centro del ring.
Perché il vangelo non è teoria, il vangelo è vita e la vita è fiducia. È dare credito alla stessa vita, anche nei momenti in cui sbatteresti la testa contro il muro.
La primavera ritorna, fidati. E che fiducia sia, allora, amici!
Il cieco si fida e va a lavarsi alla piscina di Siloe, che significa inviato. Che poi l’inviato è Gesù, no?
Quarto scatto: La quarta foto è un po’ movimentata (un’aula di tribunale).
Una volta che il cieco è guarito iniziano i guai. Avanti con gli interrogatori.
Inizia un feroce dibattito: chi lo ha guarito? Perché? E perché di sabato?
All’istituzione religiosa non interessa il bene dell’uomo, per loro l’unico criterio di giudizio è l’osservanza della legge. C’è un’infinita tristezza in tutto questo.
Per difendere la dottrina negano l’evidenza, per difendere la legge negano la vita.
Sanno tutto delle regole e sono analfabeti dell’uomo.
Il fariseo ripete: Gloria di Dio è il precetto osservato!
E invece no… gloria di Dio è un mendicante che si alza, un uomo che torna felice a vedere.
L’ex cieco prima descrive Gesù come un uomo, poi come un Profeta, poi lo proclama Figlio di Dio. La fede è una progressiva illuminazione, passo dopo passo, ci mettiamo degli anni per riuscire a proclamare che Gesù è il Signore.
Si dice che la fede è cieca. Ma dove?! La fede non è cieca, non è per nulla irragionevole.
La fede è vedere, aprire gli occhi su questo mondo. È parlare, non tacere ciò che si vede!
La fede, amici, genera uomini che pensano, che non si chiudono, che aprono gli occhi!
Se non abbiamo nulla da raccontare, se viviamo una fede imbavagliata o solo con i nostri amici, significa che non abbiamo incontrato Cristo. Come la samaritana la scorsa settimana. Quando lo incontri, non puoi più tacerlo!
Non imbalsamiamo Dio nelle nostre chiese, alimentiamo la libertà della ricerca, il coraggio
delle domande buone, l’audacia dei punti interrogativi! Diceva lo scrittore francese Julien Green: «Finché si è inquieti, si può stare tranquilli» perché “Dubitare e credere sono la stessa cosa. Solo l’indifferenza è atea“.
Dio vede la nostra tenebra e desidera illuminare la nostra conoscenza, i nostri sensi.
E pone una sola condizione: lasciarci mettere in dubbio, porci delle domande, indagare, come il cieco che non sa, che si interroga, che argomenta.
Quinto scatto: Il cieco viene buttato fuori
E chi trova fuori? Gesù, il cacciato della storia. Ora, però, ha gli occhi per vedere. E allora sì che crede.
La bella notizia di questa domenica? Ora possiamo fare di ogni nostro limite e dei limiti degli altri un luogo di salvezza, di comunione, di luce! Se ciascuno di noi assume i propri limiti come possibilità di comunione con Dio, e impariamo a fare dei limiti dell’altro luogo di perdono e di festa, allora faremo esperienza di Dio.
Fonte: il blog di Paolo de Martino | CANALE YOUTUBE | PAGINA FACEBOOK