La Domenica del Cieco nato, quarta Domenica di Quaresima, fa intravedere la gioia pasquale che squarcia le tenebre dell’incredulità, comincia a rivestire di luce la Chiesa e pone al centro il tema della illuminazione battesimale. Questa domenica per antichissima tradizione romana è chiamata Laetare, prendendo il nome dalle prime parole dell’antifona d’ingresso: «Rallegrati (Laetare) Gerusalemme» (cf. Is 66,10-11).
Si rallegra il giovane Davide perché Dio, che guarda il cuore e sceglie i piccoli, lo unge con il suo olio di letizia e lo Spirito irrompe su di lui (I lettura). Si rallegra quel cieco che, toccato da Gesù e lavatosi alla piscina di Siloe, è illuminato da Cristo Luce e crede e lo confessa con fede quale Figlio dell’uomo (Vangelo).
Si rallegrano i credenti, figli della luce, rinati e illuminati da Cristo con il Battesimo (II lettura). Questa gioia luminosa è espressa dalla liturgia anche con l’uso del colore liturgico rosaceo che si può utilizzare per i paramenti al posto del violaceo, e per la possibilità di ornare l’altare con fiori e suonare gli strumenti.
In questa Domenica, laddove si celebra il secondo degli scrutini di preparazione al Battesimo per gli eletti che saranno battezzati nella prossima Veglia Pasquale, si utilizza il formulario proprio (MR p. 765).
La liturgia di questa quarta Domenica di Quaresima aiuta ad esercitare comunitariamente e personalmente il senso ecclesiale e spirituale del tatto. Come Samuele toccò e unse Davide con olio, come Gesù toccò e spalmò la sua saliva sugli occhi del cieco e questi si lavò, così la comunità celebrante al contempo si lascia toccare e tocca il suo Signore nei gesti della liturgia
È in te la Sorgente della vita
La quarta tappa del cammino quaresimale pone l’accento sulla luce, sull’illuminazione, come è definito appunto questo periodo di conversione e formazione per i catecumeni. È interessante notare che la veglia di Pasqua si apre con il grande lucernario del Cero Benedetto che illumina la chiesa buia; così, analogicamente, questo tempo è l’esperienza nella quale la presenza di Cristo entra nel cuore dei credenti, sia personalmente che comunitariamente, per essere illuminati interiormente. Paolo nella lettera agli Efesini afferma: «Un tempo eravate tenebra, ora siete luce nel Signore. Comportatevi perciò come figli della luce; ora il frutto della luce consiste in ogni bontà, giustizia e verità» (Ef 5, 8-9).
Lo sfondo è quello di vivere una vita “luminosa”, capace di far trasparire la luce di Cristo nelle parole, negli atteggiamenti, nelle azioni. Ci sono degli ostacoli, le fragilità e i peccati, pertanto è richiesto un cammino intimo di purificazione che il credente è chiamato a compiere per essere trasparenza di Dio. La verifica intima dei propri pensieri, degli affetti, delle intenzioni con cui compiamo anche tante azioni apparentemente buone, dei sentimenti e risentimenti, della ricerca sincera della giustizia di Dio, che non è un accreditare a Dio la nostra sete di rivalsa su alcune persone o istituzioni, tutto questo mondo intimo ha bisogno di essere vagliato alla luce della Parola di Cristo, per acquisire i suoi stessi sentimenti.
Tale cammino dura tutta una vita. La Quaresima è il tempo opportuno per favorire questo discernimento spirituale. Si tratta anche della domenica della gioia (Laetare) e anche simbolicamente il colore rosaceo dei paramenti richiama questa luce che illumina la comunità penitente in viola, nell’attesa del bianco della risurrezione.
Alla Tua luce
Il brano evangelico narra il sesto segno o miracolo raccontato nel IV Vangelo (Gv 9, 1-41). Ogni segno è finalizzato a riconoscere l’identità di Gesù come Figlio di Dio, il Messia atteso, questo traspare chiaramente anche a conclusione di questo racconto. Ci troviamo nel contesto liturgico giudaico della festa delle Capanne (tra fine settembre e metà ottobre), “Sukot”, o dei Tebernacoli (Lev 23,34): richiama l’esperienza esodale che il popolo ha vissuto verso la Terra santa, il suo pellegrinaggio verso questa terra benedetta da Dio e la gratitudine per il dono dei frutti della terra, del raccolto. Anche Gesù si reca in pellegrinaggio a Gerusalemme e respira questo clima di memoria e di gratitudine per la Terra santa e i suoi frutti. In questa cornice liturgica ebraica comprendiamo meglio anche il brano proposto.
L’episodio inizia con la domanda dei discepoli alla vista di un uomo cieco. «“Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?”. Rispose Gesù: “Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio. Bisogna che noi compiamo le opere di colui che mi ha mandato finché è giorno; poi viene la notte, quando nessuno può agire. Finché io sono nel mondo, sono la luce del mondo”» (9, 1-5). Il quesito posto dai discepoli è molto familiare anche a noi, ossia associare la malattia, la sofferenza, il dolore, ad un castigo divino per un peccato. Gesù ci offre una rilettura della malattia che da “dannazione-punizione” diventa per lui “manifestazione” dell’agire salvifico di Dio. Allo sguardo colpevolizzante dei discepoli corrisponde lo sguardo solidale del Signore che dice di essere nel “giorno” e di attendere la “notte”, la sua ora di prova e di ulteriore manifestazione. Al contempo troviamo una delle definizioni cristologiche più interessanti per la teologia giovannea: «Io sono la luce del mondo».
In un contesto di buio, di incapacità di vedere chiaramente la realtà e il mistero di Dio, Gesù è la luce che illumina, che orienta, che rivela. Come sempre in Giovanni ritroviamo: « Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato» (1,18).L’azione compiuta da Gesù per quell’uomo cieco ci riporta quasi ad un rito magico. Quell’uomo, invece, è tale dalla nascita, non si conosce il suo nome ma la sua condizione, e non ha fatto esplicitamente alcuna richiesta di aiuto. Dietro quel fango fatto di terra e saliva si cela il mistero della creazione (cf. Gen 2,7). Se la saliva rappresenta la condensazione dell’alito vitale per gli ebrei, quel fango richiama la “ricreazione” che Dio in Cristo sta compiendo, quasi un “completare”. Se leghiamo il tutto alla festa delle Capanne che ricordava il dono della Terra santa e dei suoi frutti, allora quell’azione richiama un duplice significato simbolico: la terra benedetta da Dio è animata dall’alito vitale del Figlio che attiva un processo di ricreazione per il cieco in una maniera totalmente gratuita. Ma anche ricorda come Dio nel cammino dell’esodo si è preso cura del popolo d’Israele nonostante la sua diffidenza e continua a farlo nei tempi messianici.
Questo fango spalmato sugli occhi come un unguento viene lavato nella piscina di Siloe, dell’ “Inviato”, con un ulteriore rimando alla persona stessa di Gesù, come lui stesso precedentemente ha detto di sé e come dirà anche da risorto (cf. Gv 20,21). Quest’uomo con semplicità risponde alle provocazioni delle persone che incontra al punto da rivelare, con la tipica ironia giovannea, che le autorità giudaiche di fatto criticano l’opera di Gesù che non rispetta il sabato definendolo peccatore, mentre egli compie segni prodigiosi. Nel dibattito con i farisei è interessante il ragionamento che il cieco guarito offre, rivelando la presunzione e la vera cecità dei capi d’Israele che interrogano, ma non si interrogano, non si mettono in questione per discernere le proprie posizioni. Essi presumono di sapere, definiscono Gesù un peccatore perché non può venire da Dio chi non osserva il sabato, e a più riprese chiedono cosa è avvenuto, al punto che questi dice, quasi scocciato e con ironia: «Volete forse diventare anche voi suoi discepoli?».
La riflessione del cieco raggiunge il suo apice nel rimando che offre alle autorità giudaiche: «Da che mondo è mondo, non si è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato. Se costui non venisse da Dio, non avrebbe potuto far nulla».È interessante notare come il guarito definisce il suo guaritore: «l’uomo che si chiama Gesù», poi «è un profeta!», «viene da Dio», fino alla professione di fede ultima « “Tu credi nel Figlio dell’uomo?”. Egli rispose: “E chi è, Signore, perché io creda in lui?”. Gli disse Gesù: “Lo hai visto: è colui che parla con te”. Ed egli disse: “Credo, Signore!”».La scena è abitata da vari personaggi: gli apostoli che provocano la riflessione iniziale e poi sono spettatori silenti; i farisei che accusano e offendono Gesù e il cieco guarito; i genitori del giovane che per paura di essere scomunicati dalla comunità giudaica non si assumono la responsabilità di sostenere il figlio. Quest’ultimo dato è confermato dalla rottura dei giudeo-cristiani con le sinagoghe dagli anni 80 del I secolo.
Vediamo la luce
Il tema del discernimento appare un secondo filo conduttore di questa domenica, insieme con il tema della luce. Nella prima lettura si coglie la difficoltà di discernere nel cuore umano. Infatti anche il profeta Samuele è portato a vedere alle qualità apparenti, mentre il Signore guarda il cuore nella scelta del suo consacrato, il re d’Israele (1Sam 16,7). Il tutto confermato dal fatto che dopo l’unzione «lo spirito del Signore irruppe su Davide da quel giorno in poi» (1Sam16,13).
Anche Paolo invita a fare un discernimento: «ora il frutto della luce consiste in ogni bontà, giustizia e verità. Cercate di capire ciò che è gradito al Signore. Non partecipate alle opere delle tenebre, che non danno frutto, ma piuttosto condannatele apertamente» (Ef 5,9-11). I termini usati sono utili per capire ciò che è gradito a Dio ed è salutare all’uomo: il non partecipare alle azioni tenebrose lo si riconosce dal frutto. Esso deve rimandare alla bontà (agathosúne, ovvero amorevolezza), alla giustizia (dikaiosúne, fare la volontà di Dio, essere secondo il suo cuore), e alla verità (alétheia, ossia svelare). Ciò che esprime amore, ciò che rimanda al volere sanante e rigenerante di Dio o manifesta il nostro essere figli in comunione con il Padre, tutto questo è frutto della grazia di Dio in noi.
La Grazia è lo Spirito Santo in azione in noi in virtù del Battesimo. Quel sensus fidei che ci guida a discernere e che oggi ha un grande valore nel cammino sinodale che stiamo vivendo.Anche il Vangelo ci invita a fare discernimento. «Gesù rispose loro: “Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: ‘Noi vediamo’, il vostro peccato rimane”» (Gv 9, 41). La presunzione di vedere e di capire tutto accieca i farisei e li rende impermeabili, mentre lo scoprirsi incompleti, desiderosi di apprendere e capire in profondità porta ad un atteggiamento di ricerca e ad assumere uno sguardo accogliente nei confronti degli altri, dei bisogni altrui e dell’imprevedibile che la vita può offrire come opportunità di rinascita.
Nella regia della storia c’è sempre Dio, che in Cristo si è rivelato per noi come Padre. Questo abilita ad uno sguardo di fede, di fiducia, rinascendo così alla vita di fede attraverso la scoperta della cura che Dio manifesta per noi in tanti eventi della nostra vita, i “miracoli feriali” che solo noi possiamo vedere e riconoscere.
La tua parola, luce sul mio cammino
Il Salmo 36 (35),10-11 afferma: «È in te la sorgente della vita, alla tua luce vediamo la luce. /Riversa il tuo amore su chi ti riconosce, la tua giustizia sui retti di cuore». Per un battezzato la Parola di Dio è la luce che guida a riconoscere l’agire di Dio in noi e per noi e orienta le nostre scelte.
Ambrogio così diceva ai neofiti e ricorda anche a noi:
Quanto al fatto che il Signore fece del fango e lo spalmò sugli occhi del cieco, che altro significa se non che si comportò così perché tu comprendessi che egli restituì la salute a quell’uomo spalmando del fango come aveva formato l’uomo dal fango e che la carne del nostro fango riceve la luce della vita eterna mediante i sacramenti del battesimo? Va’ anche tu alla piscina di Siloe, cioè a colui che è stato inviato dal Padre, come trovi scritto: «La mia dottrina non è mia, ma di colui che mi ha inviato» (Gv 7,16). Cristo ti lavi perché tu possa vedere. Vieni al battesimo, ormai il tempo è vicino. Vieni subito per poter dire anche tu: «Sono andato, mi sono lavato e ho cominciato a vedere» (Gv 9,11), per poter dire, come disse costui dopo che gli fu ridata la vista: «La notte è avanzata, il giorno è vicino» (Rm 13,12). La cecità era notte. Era notte quando Giuda prese il boccone da Gesù e in lui entrò Satana. Era notte per Giuda dentro il quale vi era il diavolo. Era giorno per Giovanni che riposava sul petto di Gesù (cf. Gv 13,21-30). Era giorno anche per Pietro quando vedeva la luce di Cristo sul monte (cf. Mt17,1-8); per gli altri era notte, ma per Pietro era giorno. Ma anche per Pietro era notte quando negava Cristo; il gallo cantò ed egli si mise a piangere (cf. Mt 26,74-75) per emendare il suo errore. Infatti, ormai il giorno era vicino. (Lettera 67,6-7)
Fonte: il sussidio Quaresima/Pasqua CEI
A cura dell’Ufficio Liturgico Nazionale, con la collaborazione del settore per l’Apostolato Biblico dell’Ufficio Catechistico Nazionale, del Servizio Nazionale per la Pastorale delle Persone con Disabilità e di Caritas Italiana