don Antonino Sgrò – Commento al Vangelo di domenica 19 marzo 2023

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4a Domenica di Quaresima

Chi crede è nella luce

L’uomo, con le sue sole forze, dinanzi ad una malattia inguaribile non può fare altro che attestarne l’ineluttabilità, oppure, come accade nel racconto del cieco nato, cercare un colpevole. Gesù invece scardina la mentalità corrente, che attribuiva la causa del male al peccato, ossia la tentazione di pensare che Dio punisca l’uomo, e dichiara solennemente che il buio del dolore diventa occasione per far splendere la vera luce, Se stesso: «Sono la luce del mondo». Il gesto di guarigione che subito dopo compie è un atto creativo: la saliva è il suo Spirito condensato, presente nella genesi del mondo e infuso al primo uomo, così come il fango richiama l’opera del Creatore che plasma la sua creatura. Il nome della piscina, «Inviato», conferma che Gesù è stato mandato per ricreare l’uomo, riportandolo alla sua vera natura di vedente.

Tutt’intorno invece permangono persone che pur vedendo sono cieche: i Giudei, i farisei, i genitori dell’uomo; nel dialogo col cieco guarito esse dimostrano che non credere in Cristo è la vera tenebra. Tali manifestazioni di incredulità si consumano mentre Gesù è uscito di scena, a significare che la mancanza di fede determina l’assenza di Dio dalla propria vita, come accade oggi, in cui Egli sembra estromesso da tanti contesti umani.

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Tuttavia, mentre esplicitamente si dichiara l’assenza di Dio o ci si vanta della propria lontananza da Lui, il Signore continua a rendersi presente mediante la testimonianza dei suoi fedeli. L’uomo che ha sperimentato la guarigione riferisce ciò che ha ricevuto, perché annunciare il vangelo vuol dire semplicemente raccontare l’opera di Dio nella propria storia. Siccome l’opera divina infrange tutti gli schemi precostituiti, in questo caso viola il precetto del Sabato, la testimonianza del credente incontra l’ostilità degli uomini religiosi, incapaci di discostarsi dall’idea di un Dio esigente ma prevedibile, e per questo controllabile, così come era controllabile il popolo attraverso l’imposizione di precetti rigidi.

Mentre cresce l’opposizione dei farisei verso il cieco guarito, cresce la sua capacità di rendere testimonianza, che diventa anche provocazione ad accogliere la persona di Cristo: «volete forse diventare anche voi suoi discepoli?», e comunque provocazione a pensare: «se costui non venisse da Dio, non avrebbe potuto far nulla». Colpisce anche la solitudine dell’uomo, che è stato abbandonato dai genitori per paura che i Giudei li espellessero dalla sinagoga.

È il prezzo della fede, che comporta una certa solitudine, soprattutto quando il Signore invita a prendere le distanze da retaggi culturali e familiari che tante volte vorrebbero farti rimanere quello che sei, impedendoti di aprirti a quella novità che per sua natura l’adesione a Cristo comporta. Quando sei stato toccato da Gesù, dunque, inizia un cammino in salita: chi ti conosce da sempre, adesso non ti riconosce più. Tu cominci a cambiare e gli altri non sanno più chi sei, ma tu insisti: «Sono io!», perché adesso sai chi sei.

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Il contatto con Gesù ci fa vedere anzitutto cosa noi siamo veramente, creature ‘viste’: lo sguardo del Signore ci fa uscire dalla terra di abbandono in cui eravamo confinati; e cosa importa se poi chi ti giudica ti allontana? Ciò che importa è sapere di essere accolti da chi ti ama e si è chinato su di te. L’uomo viene cacciato fuori, come Gesù verrà cacciato e giustiziato fuori dalle mura della città, e diventa così figura del perfetto discepolo, che segue il Maestro nell’ignominia della croce.

Ecco che, proprio quando sperimentiamo l’abbandono, il Signore si fa incontro a noi per confermarci e consolarci, alla maniera degli angeli che ristorano Gesù nel deserto, e più ancora del Padre, che al Battesimo e alla Trasfigurazione fa sentire la sua voce a favore del Figlio. È bellissimo il dialogo tra Gesù e l’uomo, è un invito ad una adesione affettiva ancora più profonda alla persona di Gesù. Dobbiamo stare attenti a non confondere la fede con altri ideali in sé nobilissimi, come la lotta all’ingiustizia o alla povertà. Queste ultime naturalmente sono il frutto di una scelta di fede, ma credere significa che nel tuo orizzonte si staglia la persona di Gesù, che il suo volto è sempre dinanzi a te.

Domandiamoci se per noi la priorità è la persona di Gesù o le cose che facciamo per Lui: se un consacrato non prega perché ha troppi impegni di apostolato, non ha più Cristo come priorità. Tutte le volte che sostiamo con Gesù in un dialogo orante amoroso, le energie si moltiplicano, il cuore si dilata di gioia…il mal di testa passa!

Testo tratto (per gentile concessione dell’autore) dal libro “Parole che si vivono. Commenti ai Vangeli della Domeniche dell’Anno A” disponibile presso:

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