Nel deserto il popolo d’Israele in cammino sperimenta la mancanza di acqua e sorge la mormorazione. La mormorazione è lamentale ma anche dubbio radicale. La domanda ‘Perché ci hai fatti uscire dall’Egitto?’ è rivolta a Mosè ma è protesta portata contro Dio. Esprime il dubbio che l’intero cammino non abbia alcun senso ed è sospetto sulla chiamata stessa di Dio, sulla sua presenza.
Il popolo nel deserto di fronte alla durezza del presente avverte la nostalgia della schiavitù e sogna un ritorno al passato: non valeva la pena tutto questo cammino per poi morire di sete nel deserto. La domanda pone in discussione il rapporto stesso con il Dio dell’alleanza e della liberazione: ‘il Signore è in mezzo a noi sì o no?’. Massa e Meriba rimarrà nella memoria di Israele quale paradigma di un passaggio decisivo, momento di prova e di tentazione. Il cammino del deserto fa vacillare la fede d’Israele che si scontra con la fatica, con la contraddizione, con il dubbi e interrogativi inquietanti. Il dono dell’acqua da parte di Dio è segno di una vicinanza che fa ricordare la sua fedeltà, chiede un affidamento radicale ed apre nuovo cammino.
Il motivo dell’acqua è al cuore dell’incontro tra la donna di Samaria e Gesù. L’incontro avviene presso il pozzo di Giacobbe nell’incrociarsi di due cammini, quasi per caso, nella quotidianità. Ma è questo un dato su cui sostare: il pozzo della vita, il luogo della quotidianità diviene luogo di incontro, di scoperta, di nuovo inizio. L’incontro ha inizio da una domanda di Gesù stesso. ‘Dammi da bere’. E’ una richiesta di avere ma racchiude il desiderio di dare; è primo passo, per un dialogo che prosegue e fa aprire a scoperte inaudite. La parola offerta suscita un cammino nel cuore della donna e la provoca a scavare dentro di sé, come in un pozzo, andando al fondo delle sue attese. La richiesta di acqua da bere suscita uno stupore che apre a nuove domande. La donna giunge a comprendere che dovrebbe essere lei a chiedere da bere: ‘Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice ‘dammi da bere’, tu stessa gliene avresti chiesto ed egli ti avrebbe dato acqua viva”. C’è una attesa di acqua per la vita, per dissetarsi e per le necessità. Ma il riferimento stesso al pozzo suggerisce profondità da sondare. Gesù guida la donna a leggere in se stessa una attesa più profonda, di acqua viva. C’è un’acqua che indica una vita nuova non solo da attendere nell’aldilà, ma vita eterna che può iniziare dal presente, una vita diversa nella sua qualità di fondo. E la donna giunge a chiedere ‘Signore dammi di quest’acqua’. Dall’acqua il dialogo si sposta poi alla questione del luogo dove adorare Dio: la donna poco alla volta insegue i tratti del volto di chi le sta davanti: un giudeo, forse grande come il patriarca Giacobbe (4,12), un profeta (4,19), il Messia, colui che annunzierà ogni cosa, che fa incontrare il Dio (4,25-26). Di fronte a Gesù percepisce un incontro che dà vita.
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E Gesù la apre ad un incontro personale. C’è un cambiamento da vivere: Dio si adora su un monte o su un altro – i monti diversi erano luoghi dello scontro tra giudei e samaritani – ma l’incontro con Dio esige coinvolgimento della vita: ‘in spirito e verità’. Gesù si manifesta alla donna come un volto in cui incontrare Dio stesso. Quel futuro che la donna vede in lontananza con un messia che deve venire ha già avuto inizio: ‘Sono io che ti parlo’ (4,26).
Segno di questo coinvolgimento è la brocca dimenticata: la donna lascia la brocca va ad annunciare nella città e ‘molti credettero per le parole della donna’. Ma la fede richiede l’esperienza personale dello ‘stare con’ Gesù: “lo pregarono di fermarsi con loro ed egli vi rimase due giorni. Molti più credettero per la sua parola…” (4,41-42).
Fonte: il sito di don Alessandro Cortesi
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p. Alessandro Cortesi op
Sono un frate domenicano. Docente di teologia presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose ‘santa Caterina da Siena’ a Firenze. Direttore del Centro Espaces ‘Giorgio La Pira’ a Pistoia.
Socio fondatore Fondazione La Pira – Firenze.