La parabola di Lazzaro e del Ricco Epulone è una tra le più conosciute del Vangelo e possiamo sicuramente annoverarla tra le parole di Gesù che più contestano il valore della ricchezza per la autenticità della vita umana. La ricchezza chiude gli occhi, impedisce di sentire il dolore, anche fisico, del fratello che giace alla porta del ricco, che non ha un nome.
Ciò che costituisce il suo tratto distintivo e che poi diventa nella storia dell’interpretazione il suo nome è il dedicarsi al consumo, allo smodato uso delle cose per il proprio piacimento. Il povero ha un nome, che tutti conoscono. Lo stesso ricco quando sarà nell’aldilà, lo invocherà per ottenere aiuto. Ancora una volta però dimostra di non capire: è costantemente alla ricerca della salvezza per sé e per i suoi, del resto non si occupa.
Non si preoccupa di comprendere davvero ciò che avrebbe costituito il senso di una vita autentica. E come molte altre volte nel Vangelo la voce autorevole (in questo caso Abramo) afferma la necessità di ascolto che vada oltre la mera percezione uditiva, che meta in campo le corde più intime del cuore, che ricerchi in profondità più che pretendere le conferme di ciò che crede di aver già capito.
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In poche parole un ascolto nello Spirito, una conoscenza che derivi non dalle risorse personali quanto dalla disponibilità di seguire il Signore. E non solo per paura di un destino irrevocabile ed eterno, quanto per la gioia di un banchetto che già nell’aldiquà può riunire santi e peccatori, agiati e poveri, perché a quel banchetto si siede il Figlio di Dio.
FONTE: Ascolta e Medita – Centro Pastorale per l’Evangelizzazione e la Catechesi