Ventiduesima domenica durante l’anno
Dt 4,1-2.6-8/ Gc 1,17-18.21-22.27/ Mc 7,1-8.14-15.21-23
Puro e impuro
Da chi andremo, Signore? Dopo l’estenuante riflessione scaturita dalla moltiplicazione dei pani e dei pesci nel Vangelo di Giovanni siamo arrivati ad un bivio: lo vogliamo davvero un Dio così? Come Pietro siamo stati invitati ad andare all’essenziale della nostra fede, a chiederci se esiste, nella nostra vita, una concreta possibilità di vivere senza Cristo.
Siamo finalmente usciti dal pantano teologico di Giovanni per entrare nel vespaio di concretezza di Marco: forse era meglio prima! Un aspetto lega, però, i due autori: la descrizione di un Gesù esigente che non fa sconti a nessuno.
E la domanda, forte, imperiosa, che ci raggiunge: chi è davvero, Gesù di Nazareth?
Il tema del vangelo di oggi riguarda un atteggiamento spesso diffuso fra chi crede: la distinzione fra “puro” e “impuro”.
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Perushim
In Israele era fondamentale la distinzione fra ciò ch era legato a Dio e ciò che non lo era, fra il “puro” e ‘”impuro”. A noi fa strano, oggi, ma era fondamentale capire cosa distingueva un atteggiamento che avvicinava alla luce da un altro che ne allontanava. E, così, le norme sulla purità rituali erano precise e minuziose, a volte anche troppo.
Il Levitico proibisce di raccogliere il frutto di una terra conquistata per almeno cinque anni, aspettando che si purifichi! Gesù, invece, pare poco sensibile a queste questioni rituali, accusando di ipocrisia chi le praticava. Gesù vede nella distinzione fa “puro” e impuro” alcuni grossi inconvenienti.
Rischi
Il primo è evidente. Se ci arroghiamo noi il diritto di distinguere, rischiamo di bollare le persone dall’esterno, di dividere il mondo far buoni e cattivi. Noi, casualmente, sempre dalla parte dei buoni.
Se pensiamo davvero di essere a posto, in regola, allora cogliamo in fallo coloro che sono fuori dalla regola. E li giudichiamo. Gesù, invece, chiede di astenersi dal giudizio, lasciandolo a Dio che, solo, conosce il cuore delle persone.
Gesù se la prende con i farisei, i buoni ebrei devoti suoi contemporanei, gli ultras della fede, i migliori, che lo accusano di non osservare scrupolose norme rituali prima del pranzo.
Gesù approfitta della provocazione per inquadrare la situazione: andate all’essenziale, ipocriti, è inutile osservare piccole scrupolose norme scordandosi la misericordia!
Per molti, ancora oggi, credere significa fare o, meglio non fare, qualcosa.
Sbagliato; credere è, anzitutto, incontrare una persona, Gesù, che sconvolge la vita e fa cambiare atteggiamento.
Gesù lo sottolinea: i farisei si impegolano in piccole cose rituali trascurando l’essenziale, filtrano il moscerino e ingoiano il cammello.
Parola di Dio?
Il secondo rischio è quello di spacciare le buone e sante tradizioni degli uomini come divine. Dei dieci precetti dati da Dio a Mosè se ne aerano aggiunti oltre seicento, così, per gradire. Gesù contesta le tradizioni volute dagli uomini e attribuite e Dio, per fare maggiore autorevolezza.
Il cuore puro è una richiesta divina, le estenuanti abluzioni, no.
Quante volte, ancora oggi, vedo nelle parrocchie persone che difendono le tradizioni (sane e sante) come volontà divina!
Dobbiamo saper distinguere bene cosa è Parola di Dio e cosa è abitudine consolidata, senza mai mescolare i piani.
L’impuro
Di più: se Dio è diventato uomo, come capiranno i discepoli, tutto è purificato.
Nessuna prescrizione o bevanda proibita, ma un cuore libero che incontra Dio è essenziale.
Gesù si mischia, si sporca le mani, gioisce di ogni legittima gioia godendone e ringraziando il padre, è accusato, addirittura, d essere un mangione un ubriacone…
La distinzione fra puro e impuro è colmata perché Dio l’ha colmata.
Tutto ci conduce a Dio, dipende dal cuore con cui lo viviamo.
Solo un cuore che veramente incontra Dio può, alla fine, porre gesti che desiderino realmente incontrarsi con Lui. Solo un cuore toccato diventa un cuore convertito. Allora, e solo allora, i gesti acquistano significato.
Allora, e solo allora potremo vivere la riconciliazione come festa, il perdono come regalo.
Ho davvero paura di una fede che si riduce a moralismo.
E credo che il grosso rischio della nostra fede, oggi, sia proprio questo, diventando perciò improponibile alle nuove generazioni.
Quando dico a un giovane: “non fare così”, mi chiede sempre: “Perché no?”.
Cosa rispondere? Perché è così e non si discute? Perché si è sempre fatto così?
No, non serve, non aiuta, butta ancora più nello scoraggiamento, allontana dalla fede.
L’unica risposta è: “perché Gesù è venuto a raccontarci il vero volto di Dio e il nostro vero volto, ci insegna ad essere autenticamente uomini e donne. Facendo ciò che stai facendo stai dando il peggio di te e, come se non bastasse, non ottieni la pienezza della felicità. Prova a scoprirlo da te, leggendo il Vangelo”.
Il Signore non ha bisogno di belle mascherine, ma di figli, non di giusti ma di peccatori riconciliati.