don Pasquale Giordano – Commento al Vangelo del 17 Febbraio 2023

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Venerdì della VI settimana del Tempo Ordinario (Anno dispari)

Gen 11,1-9   Sal 32   Mc 8,34-9,1: Chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà.

Dal libro della Gènesi Gen 11,1-9

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Scendiamo e confondiamo la loro lingua.

Tutta la terra aveva un’unica lingua e uniche parole. Emigrando dall’oriente, gli uomini capitarono in una pianura nella regione di Sinar e vi si stabilirono. 

Si dissero l’un l’altro: «Venite, facciamoci mattoni e cuociamoli al fuoco». Il mattone servì loro da pietra e il bitume da malta. Poi dissero: «Venite, costruiamoci una città e una torre, la cui cima tocchi il cielo, e facciamoci un nome, per non disperderci su tutta la terra». 

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Ma il Signore scese a vedere la città e la torre che i figli degli uomini stavano costruendo. Il Signore disse: «Ecco, essi sono un unico popolo e hanno tutti un’unica lingua; questo è l’inizio della loro opera, e ora quanto avranno in progetto di fare non sarà loro impossibile. Scendiamo dunque e confondiamo la loro lingua, perché non comprendano più l’uno la lingua dell’altro». 

Il Signore li disperse di là su tutta la terra ed essi cessarono di costruire la città. Per questo la si chiamò Babele, perché là il Signore confuse la lingua di tutta la terra e di là il Signore li disperse su tutta la terra.

Pietre vive

I primi capitoli del Libro della Genesi fanno uso dei miti le cui tradizioni sono rintracciabili pure nelle testimonianze scritte dei popoli del Medio Oriente. Anche la storia di Babele impiega un linguaggio mitologico per spiegare la molteplicità dei popoli sparsi nel mondo. Alla base c’è l’idea che tutti i tentativi di progettare un mondo senza Dio fallisce con esiti opposti alle intenzioni iniziali. Avere un’unica lingua e uniche parole può facilitare la coesione, ma solo l’unità d’intenti nel bene porta a realizzare qualcosa di solido. Gli uomini intendono costruire una città con mattoni di argilla invece delle pietre e metterli insieme con il bitume al posto della malta. La fragilità del materiale che impiegano per realizzare la loro opera è indice della loro strutturale debolezza. La superbia impedisce di fare bene i calcoli prima di costruire un qualcosa che in seguito si rivelerebbe fatale per i costruttori stessi. Dio interviene per salvare gli uomini dall’autodistruzione. «Se il Signore non costruisce la casa, invano vi faticano i costruttori, se il Signore non vigila sulla città, invano veglia la sentinella» (Sal 127,1). La confusione delle lingue è la logica conseguenza dell’uso superbo delle parole e la dispersione è il tragico effetto della collaborazione nel male. Dio, nella sua amorevole sapienza agisce, mediante i servi obbedienti alla sua Parola affinché i figli dispersi si riuniscano in unità. Essa non è più fondata sulla superbia ma sulla carità. Il mistero dell’iniquità attuato dagli uomini con Cristo diviene mistero di salvezza portato a compimento mediante l’effusione dello Spirito Santo a Pentecoste. L’uomo non è più schiavo della propria superbia ma servo di Dio e, in quanto tale, pietra con la quale si edifica la Chiesa, comunità dei salvati che con un cuor solo e un’ anima sola loda il Signore del cielo e della terra.

+ Dal Vangelo secondo Marco Mc 8,34-9,1

Chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà.

In quel tempo, convocata la folla insieme ai suoi discepoli, Gesù disse loro: 

«Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà. 

Infatti quale vantaggio c’è che un uomo guadagni il mondo intero e perda la propria vita? Che cosa potrebbe dare un uomo in cambio della propria vita? 

Chi si vergognerà di me e delle mie parole davanti a questa generazione adultera e peccatrice, anche il Figlio dell’uomo si vergognerà di lui, quando verrà nella gloria del Padre suo con gli angeli santi».

Diceva loro: «In verità io vi dico: vi sono alcuni, qui presenti, che non morranno prima di aver visto giungere il regno di Dio nella sua potenza».

La scommessa vincente

La metafora del gioco può essere utile per comprendere l’insegnamento di Gesù. Lui è il primo a mettersi in gioco ma con la pretesa di condurlo, dettandone le regole. Non si tratta di tentare la fortuna ma di scommettere su Dio. Forse proprio oggi, in cui facilmente si può cadere nella ludopatìa, parlare di scommessa suonerebbe una stonatura, ma, al contrario, è una sana provocazione che ci aiuta a prendere coscienza che la vita si perde se non la si mette in gioco. Gesù lo ha fatto puntando tutto sull’amore. Nessun’altro guadagno ha desiderato se non quello della fraternità. Non ha scommesso per sé stesso e per guadagnare, ricchezza, potere e fama, ma ha giocato tutta la sua esistenza per costruire qualcosa di eterno, un regno di amore, pace e giustizia. Chi, come Gesù, è mosso da questa speranza è un sognatore che è tacciato di essere utopista. La storia c’insegna che è meglio essere utopisti che freddi calcolatori dei propri interessi perché non c’è nulla di più reale che l’amore di Dio incarnato, morto e risorto e nulla di più certo della vita eterna che Egli vuole condividere con i suoi figli. Se il seminatore non rinunciasse a vendere tutto il grano a sua disposizione per perderne una parte e seminarlo nel terreno il suo guadagno sarebbe limitato. Così, direbbe Gesù, è chi si lascia prendere dall’avidità e dalla brama di possesso, ciò che accumula si disperde. Ciò che si trattiene per sé si disperde, al contrario, chi scommette per amore accetta di perdere qualcosa ma il guadagno è centuplicato perché in realtà non ha abbandonato i suoi sogni ma ha fatto fruttificare i suoi carismi.   

Leggi la preghiera del giorno.

Commento a cura di don Pasquale Giordano
Vicario episcopale per l’evangelizzazione e la catechesi e direttore del Centro di Spiritualità biblica a Matera

Fonte – il blog di don Pasquale “Tu hai Parole di vita eterna