don Alessandro Dehò – Preghiera al Vangelo del 5 Febbraio 2023

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Vuoi rimarginare le tue ferite?

“Così dice il Signore:
«Non consiste forse [il digiuno che voglio]
 nel dividere il pane con l’affamato,
 nell’introdurre in casa i miseri, senza tetto,
 nel vestire uno che vedi nudo,
 senza trascurare i tuoi parenti?
 Allora la tua luce sorgerà come l’aurora,
 la tua ferita si rimarginerà presto”. Isaia

E quel giorno finalmente sentiremo che era solo fame, fame d’amore, fame di vita, fame di essere di qualcuno. Quel giorno, e sarà giorno luminoso, riconosceremo quella fame negli occhi dell’affamato ma anche nella rabbia dell’aguzzino, nelle lacrime nascoste di vite massacrate silenziosamente dalla solitudine ma anche nel bisogno di apparire, nel frenetico e compulsivo imporsi all’attenzione di chi non riesce a credere che si possa esistere abitando i margini nascosti del mondo. Scopriremo, verrà alla luce, il bisogno di essere ascoltati ma anche la ridicola e pericolosa malattia delle persone che vogliono sempre e solo essere ubbidite, verrà alla luce che stessa è la fame di vita che stringe il cuore di ogni uomo, stessa fame di essere di qualcuno, stessa fame di essere amati. Siamo questo. Tutti noi siamo vittime di questa nostra dolcissima condanna, affamati d’amore. E rispondiamo come possiamo, piangiamo il nostro bisogno come ci sembra meglio, implorando o attaccando, ma nulla cambia nel cuore, noi siamo il nostro bisogno.

Introdurremo in casa i miseri quel giorno in cui scopriremo che miseri siamo noi, misero è il vicino di casa, misera è la vittima e misero è l’assassino, misero è l’uomo e ben più misero è colui che crede di potersi conquistare un posto nel mondo privandosi del brivido di chiederne il permesso.

Vestiremo le nudità di un’umanità vulnerabile e vergognosa e in quel gesto materno sorrideremo, ci ritroveremo: siamo tutti poveri cristi spogliati, snudati, esposti. Siamo la vergogna di non essere come Dio, siamo la vergogna di non aver capito il meraviglioso nudo sguardo di Dio su di noi, siamo uomini che non hanno ancora capito che anche Dio è nudo e affamato d’amore. Siamo l’imbarazzante tentativo che da Genesi ci porta a coprirci, con foglie di fico improbabili, con pelli di vittime, invece di scoprirci, di mostrarci, di crocifiggerci al nostro corpo nudo esposto e bisognoso.

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Quel giorno verrà alla luce l’umanità e scopriremo nudo il povero e ancor più nudo il ricco, vedremo e i nostri occhi piangeranno compassione, per tutte le vittime, per chi paga il prezzo atroce dell’incapacità umana di essere misericordiosa, per chi deve subire la mia e la tua incapacità di accogliere che siamo solo pellegrini nudi e affamati, di raccontarlo sorridendo del privilegio intoccabile della povertà.

Siamo luce, siamo immagine e somiglianza di Dio, quella che Cristo in croce, trafitto dall’amore, ha mostrato con la violenza che solo la veritĂ  può sfoderare. Quella luce ci fa paura. Non comprendiamo che abbandonarci alla nostra identitĂ  crocifissa sarebbe l’inizio della resurrezione, la tua luce sorgerĂ  come l’aurora, dice Isaia. Non comprendiamo, abbiamo paura, che accettare la nostra vergognosa nuditĂ , abitarla con gratitudine, danzarla con gioiosa follia è l’unico modo per guarire dalla malattia dell’infelicitĂ , sempre Isaia: la tua ferita si rimarginerĂ  presto.

Perché tanta fatica a cedere? A franare nella nostra nuda miseria? Perché tanta paura di conformarci al Crocifisso rifiutato e spogliato? Perché ancora l’illusione fatta di potere e di corazze? Siamo come neonati bisognosi di cura, siamo il nostro bisogno d’amore gridato senza tregua. Accoglierlo ci farebbe sorgere come l’aurora, non è questo quello che il nostro cuore desidera?

“Allora invocherai e il Signore ti risponderà,
implorerai aiuto ed egli dirà: “Eccomi!”. (Isaia)

E il Signore risponderà, lui dirà, non noi: “eccomi!”, lui sarà obbediente alla nostra chiamata perché la fede non è un dono per pochi, perché la fede non si conquista, non si merita, non si impone, la fede si implora, la fede è chiamare il Signore e accogliere la sua risposta, la fede è implorare amore come si implora la luce, un bacio, un pezzo di pane, una parola nel niente della solitudine abbandonata. Ma solo chi è nudo povero e crocifisso può comprendere cosa significhi chiamare Dio, chiamarlo come unica ultima possibilità di venire alla luce. Piangendo sangue Come dall’orto del Getsemani.

“Voi siete il sale della terra” (Matteo)

E così saremo sale, noi, proprio noi. Credere non è altro che sentire che nelle nostre carni danza il Dio della vita, Colui che dona sapore all’esistenza, noi sale e Lui in noi, a portare sapore di vita buona. Noi, abitati da Lui. Noi affidati al rischio della relazione, perché il sale ha bisogno di incontrare qualcosa da insaporire, il sale da solo non serve a nulla, si conserva, in eterno, ed è la condanna peggiore. Noi il sale, a implorare la vita di farci entrare, noi il sale, nostra la consapevolezza di essere sprecati se soli, noi appesi alla ricchezza di chi riesce a chiederci di aver bisogno di noi. Noi sale, quando accettiamo di comprometterci, di perderci, di entrare in relazione. Noi figli di un Dio trinitario, perfezione possibile solo nella relazione.

“Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta” (Matteo)

E saremo luce, noi non solo Dio, io, te, la persona che incontriamo, luce che è per sua natura muove e illumina ogni cosa, luce che non si accende per essere nascosta. Siamo nati per venire alla luce. Veniamo alla luce nascendo, continuiamo a venire alla luce amando, verremo alla luce morendo. Credere è immergersi in questa luce, vederla, riconoscerla, saperla possibile anche dal punto piĂą buio e lontano, anche nella malattia noi continueremo a essere luce, perfino nella morte. Vedere la luce perfino nell’ombra, riconoscerla in ogni cosa, anche nel cuore di una vita che speravamo diversa è ciò che ci permetterĂ  di ri-sorgere come l’aurora, è ciò che ci permetterĂ  di rimarginare ogni ferita, la consapevolezza che tutto è giĂ  luce, che tutto è giĂ  illuminato dal suo amore. E chiamandolo, in qualsiasi istante e in qualsiasi condizione lui risponderĂ : â€śEccomi”.

AUTORE: don Alessandro Dehòpagina Facebook

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