Il sale nell’antichità veniva posto come antisettico e antidolorifico sulle ferite.
Il profeta Isaia scrive: «Se tu dividerai il pane con l’affamato, introdurrai in casa i miseri, i senza tetto, vestirai uno che vedi nudo, allora la tua ferita si rimarginerà presto» (Is 58, 8).
Interessante: la cura dell’altro, il risollevarlo dal fango e dal non senso, guarisce le nostre ferite. Chi di noi non si porta dentro piaghe esistenziali, magari inferteci dall’infanzia o provocateci da amori sbagliati, delusioni, e tanto dolore arrecato e subìto? Ebbene, il vangelo di oggi ci indica la strada per poter rimarginare queste ferite: il sale – il balsamo dell’amore – versato sulle ferite dell’altro, rimargina le nostre.
Se non diamo sapore alla vita altrui, perdiamo il gusto della vita; precipitiamo in una storia dove tutto è insipido, scialbo e triste. Senza idealismi però, perché sappiamo bene che l’amore per l’altro alla fine ci brucerà dentro, proprio come il sale sul vivo di una ferita.
«Voi siete la luce del mondo» (v. 14). È ancora Isaia a ricordarci cosa vuol dire, concretamente, essere luce del mondo. «Se toglierai di mezzo a te l’oppressione, il puntare il dito e il parlare empio, se offrirai il pane all’affamato, se sazierai chi è digiuno, allora brillerà fra le tenebre la tua luce, la tua tenebra sarà come il meriggio» (vv. 9-10).
Saremo luminosi, solo se cominceremo ad illuminare gli altri. Se non lo facciamo, ci spegniamo anche noi.
Il bene fatto all’altro alimenta la nostra lampada. Nella Chiesa primitiva, i battezzati venivano chiamati gli ‘illuminati’, perché impregnati di Cristo, la luce. Ebbene, siamo stati ‘illuminati’ solo per far uscire dal buio i fratelli.
Una vita nell’oscurità dell’egoismo, giocata sotto un secchio (moggio nel vangelo) è destinata a spegnersi. Una vita consumata nell’ombra, nel nascondimento del proprio vivere quieto, incentrato su di sé, alla fine si spegnerà nell’insignificanza. Gesù mostra che la vita che illumina il mondo intero e dà sapore alla storia è quella che è in grado di amare sino alla fine, quella in grado di salire su quel candelabro che è la croce (v. 15).
Una vita che è ‘venuta alla luce’, ma che poi non s’alimenta dell’olio dell’amore facendo così luce a tutti coloro che stanno intorno, si spegnerà presto, divenendo morta anche se detta vivente.
Per gentile concessione di don Paolo Squizzato