don Pasquale Giordano – Commento al Vangelo del 2 Febbraio 2023

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PRESENTAZIONE DEL SIGNORE

Dal libro del profeta Malachìa Ml 3,1-4

Entrerà nel suo tempio il Signore che voi cercate.

Così dice il Signore Dio: 

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«Ecco, io manderò un mio messaggero a preparare la via davanti a me e subito entrerà nel suo tempio il Signore che voi cercate; e l’angelo dell’alleanza, che voi sospirate, eccolo venire, dice il Signore degli eserciti. 

Chi sopporterà il giorno della sua venuta? Chi resisterà al suo apparire? Egli è come il fuoco del fonditore e come la lisciva dei lavandai. 

Siederà per fondere e purificare l’argento; purificherà i figli di Levi, li affinerà come oro e argento, perché possano offrire al Signore un’offerta secondo giustizia. 

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Allora l’offerta di Giuda e di Gerusalemme sarà gradita al Signore come nei giorni antichi, come negli anni lontani».

Purificazione e santificazione

Nell’ordine dei Dodici profeti minori Malachia è l’ultimo. Il libro dei suoi oracoli chiude anche il canone dell’Antico Testamento. Il profeta stigmatizza con chiarezza l’ipocrisia dei sacerdoti che con il loro atteggiamento credono poter ingannare il Signore. Nei sacrifici trattengono per sé gli animali migliori e offrono quelli difettati, che essi scartano. C’è chi si meraviglia del fatto che nonostante si offrano sacrifici a Dio le cose non vanno bene e si rivolgono a lui quasi in atteggiamento di sfida: «Dov’è il Dio della giustizia?» (Ml 2,17). Il profeta Malachia, che letteralmente significa «messaggero di Dio», è il precursore del Signore della giustizia, «l’angelo dell’alleanza», che entra nel tempio come vero sacerdote e giudice. Egli inaugura il tempo del giudizio, tempo nel quale avviene la separazione tra il bene e il male, tempo di purificazione e di santificazione. Il Signore, sacerdote e giudice, viene per distruggere il male e santificare l’uomo. La santità di chi si lascia purificare da Dio consiste dell’offrire sacrifici a Lui graditi perché esprimono l’amore. I puri di cuore sono coloro che si lasciano purificare da Dio e gli offrono in dono la propria vita; si lasciano amare e contraccambiano l’amore con l’obbedienza. Essa non è più esercitata come una mera esecuzione formale dei precetti, ma diventa un modo di essere davanti a Dio, non più come schiavo, ma come figlio. In quanto tale, il credente, più che il favore di Dio, cerca di piacere al Padre e, solo per questo fine, compie la sua volontà. La volontà di Dio è la nostra santificazione, cioè vivere l’amore fino al suo pieno compimento, fino a dare la propria vita.

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 2,22-40) 

I miei occhi hanno visto la tua salvezza.

Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale, secondo la legge di Mosè, Maria e Giuseppe portarono il bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore – come è scritto nella legge del Signore: «Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore» – e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o due giovani colombi, come prescrive la legge del Signore.

Ora a Gerusalemme c’era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e pio, che aspettava la consolazione d’Israele, e lo Spirito Santo era su di lui. Lo Spirito Santo gli aveva preannunciato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo del Signore. 

Mosso dallo Spirito, si recò al tempio e, mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per fare ciò che la Legge prescriveva a suo riguardo, anch’egli lo accolse tra le braccia e benedisse Dio, dicendo:

«Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo

vada in pace, secondo la tua parola,

perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza,

preparata da te davanti a tutti i popoli:

luce per rivelarti alle genti

e gloria del tuo popolo, Israele».

Abbracci benedicenti

Il vangelo di Luca racconta alcuni aneddoti significativi dell’infanzia di Gesù che sono rivelativi della sua identità messianica. Il bambino, in quanto maschio primogenito della giovane coppia di sposi, «è sacro al Signore», come afferma la legge del Signore. Il gesto liturgico che Giuseppe e Maria si apprestano a fare nel tempio di Gerusalemme vuole riconoscere, attraverso la presentazione del bambino al tempio e il sacrificio di una coppia di tortore o due giovani colombi, che il loro primo figlio maschio è figlio di Dio. Agli occhi dei coniugi di Nazaret il bambino Gesù è il dono attraverso il quale Dio si mostra loro come Padre. Il figlio è il segno visibile con cui Dio si fa presente nella famiglia umana. Gesù, figlio di Maria e Giuseppe e figlio di Dio, è il punto in cui s’incontrano il cielo e la terra e avviene lo scambio dei doni: Dio dona suo Figlio agli uomini e i genitori donano il loro figlio a Dio.

Quel rito è un atto di fede come quello che Abramo compì sul monte Moria quando offrì in sacrificio suo figlio Isacco. Anche in quel caso il Patriarca obbedì alla legge del Signore interpretando alla lettera e nella maniera più esigente la sua parola: «fai salire per il sacrificio tuo figlio, l’unico, quello che ami» (Gn 22). Con quel gesto Abramo sulla vetta del monte raggiunge il punto più altro della sua fede. Lì il suo cuore diventa trasparenza dell’amore Dio che per gli uomini sacrifica Suo Figlio, l’Unico, l’Amato. Nell’offerta del figlio Isacco Abramo diventa profeta del dono di amore che Dio offre nel sacrificio di Gesù sulla croce. 

Il filo rosso dell’amore di Dio lega gli eventi della salvezza che vanno dalla Genesi all’Apocalisse. Nell’offerta che Gesù fa di sé al Padre per la salvezza degli uomini si scorge un abbraccio, ovvero l’incontro tra braccia. Ci sono le braccia di Maria e Giuseppe, come quelle di Abramo, che innalzano verso l’altare il loro figlio Gesù. Esse sono profezia delle braccia della croce, segno di quelle di Dio Padre, dalle quali è presentato e offerto al mondo il Cristo, il Figlio di Dio. 

Lo Spirito Santo fa «sentire» a Simeone la stessa gioia di Dio quando ci accoglie tra le sue braccia misericordiose. È l’abbraccio benedicente di Dio! Quando l’uomo benedice Dio accoglie la sua benedizione e diventa lo strumento della sua diffusione. 

Nell’eucaristia si rinnova questo abbraccio in cui si incrociano le mani e s’incontrano i cuori, nostri e di Dio. Nel pane e nel vino posti sull’altare presentiamo a Dio tutta la nostra vita, le gioie e le fatiche di tutti i giorni. La offriamo a Dio con gratitudine e fiducia perché lo Spirito Santo, unendoci al sacrificio di Cristo, faccia della nostra vita un dono d’amore. 

L’eucaristia ci educa ad abbracciare la nostra croce quotidiana e in essa a lasciarci abbracciare da Dio. Come quelle della croce, anche le braccia del Padre sono sempre aperte ad accogliere la nostra preghiera fatta con forti grida e lacrime e prodighe nell’offrire consolazione. Così le nostre braccia, come quelle di Maria e Giuseppe e dello stesso Gesù sulla croce, seppure indebolite dal peso delle prove, s’innalzino per offrire la preghiera a Dio di lode e di supplica. Il nostro abbraccio sia anche tenero come quello di Simeone e benedicente come quello del Padre.

Leggi la preghiera del giorno.

Commento a cura di don Pasquale Giordano
Vicario episcopale per l’evangelizzazione e la catechesi e direttore del Centro di Spiritualità biblica a Matera

Fonte – il blog di don Pasquale “Tu hai Parole di vita eterna