Il Signore, uno straniero rifiutato in patria
Gesù va nella sua patria e “tra i suoi” insieme ai suoi discepoli, e ci va, come dappertutto, per annunciare l’Evangelo. Ma proprio là trova una sordità speciale, che quasi ammutolisce la sua parola e che subito diventa rifiuto della sua persona.
La patria – “C’è una terra natale, e non c’è altro”, dice un poeta – è considerata spesso una realtà sacrosanta anche dai cristiani, sebbene il Vangelo ci riveli che per i discepoli di Gesù non possa essere affatto così; tanto che la Lettera a Diogneto, un testo cristiano della metà del II sec. dice dei cristiani: ”Ogni terra straniera è per lo loro patria, e ogni patria terra straniera”.
I veri profeti hanno sempre ricordato al popolo d’Israele che tutta “la terra è di Dio” e che noi siamo ospiti e non padroni, come già nel giardino di Eden. Spesso, infatti, è per fare la guerra e per escludere gli stranieri che la patria viene sbandierata come un idolo, e come tale diventa causa della condizione indigente e umiliata degli stranieri.
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“Ogni profeta è disprezzato solo in patria, tra i suoi parenti e in casa sua”. Perché patria, parenti e famiglia ci illudono di disfarci della stranierità che è invece una dimensione anche interiore dell’essere umano, come sta scritto: “Io sono uno straniero sulla terra”(Sal 119,19). Ed è proprio l’arroganza e la sopraffazione cui ci spinge l’illusione di essere padroni di casa in questo mondo – naturalmente se non siamo tra le persone povere o malate – che ci rende insensibili al dolore altrui e sordi alla parola di Dio e a ogni alterità. Infatti tutta la storia d’Israele ci testimonia – contro di noi – che solo in esilio o nel deserto gli umani rientrano in sé e hanno “un cuore che ascolta”: la grande preghiera di Salomone (cf. 1Re 3,9) si adempie in esilio e non in patria.
È sempre dello straniero – e di orfani e vedove – che il Signore si prende cura. Perché la Bibbia è la storia di Dio con un popolo fatto di stranieri che egli liberò dalla schiavitù dell’Egitto, e non abbandonò mai più, e al quale chiese per sempre, proprio perché patì la fatica e il dolore dello straniero, di accogliere gli stranieri: questa una delle parole più ripetute da Dio insieme a “Ascolta!”.
E il Vangelo aggiunge che proprio ciò che sanno di Gesù diventa ostacolo al crederlo portatore di una parola che viene da altrove: i pregiudizi ci fanno dimenticare che ignoriamo quasi tutto (qui a cominciare dai nomi delle sorelle) e inciampare in quel poco che conosciamo.
“E si scandalizzavano di lui”. Quando non lasciamo entrare in noi la parola di Dio, spesso per la segreta e temuta inconsistenza del nostro io, facilmente diventiamo detrattori di chi ce la annuncia, negandone l’autorevolezza fino a rifiutarne la stessa presenza. Ma Gesù ci insegna a non temere neppure questo mostrandoci che la parola di Dio, anche quando è resa quasi impotente dal non ascolto dei destinatari, sempre e comunque agisce su chi l’annuncia. Infatti qui il rifiuto patito da Gesù diventa per lui una conferma: lo autentifica come profeta vero.
E la sofferenza del rifiuto patito dai profeti è così importante perché è la sofferenza stessa di Dio: “Non ce l’hanno con voi ma con me!” dice loro il Signore Dio. Tanto che la beatitudine dei discepoli comprende il patire questo stesso dolore.
sorella Maria
Per gentile concessione del Monastero di Bose
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