Giovanni Battista annuncia la venuta dell’“Agnello di Dio”
Dopo il Prologo, il Vangelo di Giovanni ci presenta un’intera settimana in cui segue gli avvenimenti della vita di Gesù passo dopo passo. Il brano di oggi si colloca al secondo giorno e invita a posare lo sguardo su di Lui e a contemplarne il mistero attraverso le parole e la testimonianza del Battista. In primo luogo, questi dice di vedere Gesù «venire» verso di lui; non viene, però, per farsi battezzare, in quanto il battesimo è già avvenuto, già si è visto lo Spirito scendere su Colui che sarà chiamato «Figlio di Dio».
Questo «venire» richiama piuttosto il mistero del Verbo che si è incarnato, come evoca la frequente ripetizione di tale termine nel Prologo. Gesù viene e Giovanni lo riconosce come «l’Agnello di Dio». Il termine «Agnello» può riferirsi alla Pasqua o anche all’Apocalisse, ma rimanda soprattutto all’idea di sacrificio, di un dono offerto a Dio perché si possa vivere la relazione con Lui, una relazione che attraverso tale offerta viene ricomposta. Ciò può accadere in quanto egli toglie, leva il peccato del mondo: il peccato è ciò che crea la distanza fra l’uomo e Dio, è quanto mantiene separati la terra e il cielo. Il Battista annuncia, quindi, che Colui che viene ricreerà la comunione fra il mondo di Dio e quello degli uomini facendosi carico del nostro peccato e accettandone le conseguenze. Ogni volta in cui partecipiamo alla celebrazione dell’Eucaristia sentiamo ripetere le stesse parole: «Ecco l’Agnello di Dio…», ma l’abitudine rischia di creare assuefazione, impedendoci di coglierne il senso profondo.
Il Vangelo di questa domenica ci offre l’opportunità di approfondirne e ravvivarne il significato, ma soprattutto di lasciar sorgere nel nostro cuore sentimenti di intensa gratitudine per Colui che ha preso su di sé il peso che ci schiacciava, quanto impediva alla vita di Dio di plasmare e trasformare la nostra vita a causa della separazione creata dal peccato.
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Il Battista afferma inoltre che, fino a un momento specifico della sua vita di cui parlerà in seguito, egli non conosceva Gesù. In realtà Luca narra come, quando Giovanni era ancora nel seno della madre, lo avesse riconosciuto sobbalzando nel suo grembo. Da quel momento tutti i suoi desideri e le sue attese saranno orientati e unificati in una sola direzione: l’incontro con colui di cui percepisce l’origine misteriosa, un’origine che lo precede benché la sua nascita sia antecedente. Ora egli gusta il compimento di quell’attesa, che finalmente ha assunto un volto e un nome: ora lo conosce veramente.
Questa capacità del Battista di far convergere ogni suo desiderio verso un unico fine – l’incontro con Gesù – ci interpella in merito alle nostre attese, che possono essere orientate verso tanti piccoli beni parziali e rischiano di farci vivere in modo frammentato.
Giovanni, invece, può testimoniare e contemplare la realizzazione piena di ogni sua aspirazione, grazie al riconoscimento di un segno: la discesa dello Spirito su Gesù, che rimane su di lui come presenza costante e duratura. Quello Spirito, che all’inizio dei tempi aleggiava sulle acque, ha finalmente trovato nell’uomo Gesù uno spazio in cui dimorare, un luogo in cui la sua divinità può pienamente congiungersi alla nostra umanità.
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Di quest’uomo il Padre afferma, come abbiamo ascoltato domenica scorsa, che è suo Figlio. Qui, invece, è il Battista a rivelarci tale verità di cui è divenuto testimone.
In questo primo giorno dell’anno la Chiesa invita a volgere lo sguardo verso la Madre del Signore, dal cui amore ci sappiamo custoditi e protetti, ma che siamo anche chiamati a imitare come modello della nostra vita di fede. Verso di lei, verso Giuseppe e il bambino procede veloce il cammino dei pastori. Ora che la gloria del Signore li ha avvolti di luce, essi non conoscono più il timore; al contrario, diventati nuove creature, obbediscono con slancio e senza opporre resistenza all’invito dell’angelo e si mettono in viaggio per andare a vedere il segno che era stato loro preannunciato.
Luca ce li presenta, dunque, come il prototipo dei veri credenti: essi hanno creduto all’annuncio, hanno accolto la parola e prestato fede al segno rivelatore; per tale motivo ora possono diffondere ad altri la buona notizia loro proclamata: una notizia che ha origine in Dio e, di conseguenza, non può che provocare stupore.
Al movimento esteriore dei pastori si accompagna quello interiore di Maria, che custodisce tutto quanto sta avvenendo e lo medita nel cuore. Custodire e meditare sono due verbi importantissimi per la vita dello spirito. Maria custodisce nel cuore: la Madre del Signore, infatti, non vive superficialmente, passando da sensazione a sensazione, da evento in evento, ma conserva nella parte più profonda della sua persona, nel suo centro – sede della volontà e dei pensieri – il ricordo di tutti i grandi avvenimenti di cui è contemporaneamente protagonista e testimone.
Il suo custodire, però, non è semplicemente orientato a mantenere il ricordo per poter narrare in un giorno futuro, come spesso fanno le mamme, i primi anni di vita del bambino. Maria medita, dice il testo di Luca. Più esattamente, confronta i diversi episodi, le parole udite fin dal momento dell’Annunciazione, per comprenderli con sempre maggiore profondità, per individuare un nesso che li unisce e permette di coglierne il senso.
Sia Maria sia i pastori sono accomunati da quello sguardo semplice e docile, grazie al quale possono cogliere la presenza di Dio in una realtà estremamente ordinaria: un bambino avvolto in fasce. Ordinaria e nello stesso tempo eccezionale, perché niente come la nascita di una nuova creatura è in grado di richiamare la nostra attenzione al mistero della vita e alla sua dimensione trascendente.
Per tale motivo i pastori ritornano alle loro incombenze quotidiane «glorificando e lodando» quel Dio di cui avevano contemplato il mistero, presente nel Bambino da cui erano stati inviati. La loro lode riecheggia quella degli angeli, segno della comunione fra cielo e terra che, dal momento della nascita di Gesù in poi, si è di nuovo venuta a creare. Ed è proprio questo legame ricostruito tra il mondo di Dio e quello degli uomini, rappresentati da creature semplici e per nulla eccezionali come i pastori, in cui ognuno di noi facilmente si identifica, che può accompagnarci come augurio e invito in questo nuovo anno. Augurio, in quanto segno che Dio non ha dimenticato la nostra terra; invito perché, in nome di questo legame ricostruito, ognuno di noi potrà lasciar trasfigurare la propria umanità, grazie al dono della sua vita divina di cui tutti coloro che lo vorranno potranno diventare partecipi.
Commento a cura dalla Fraternità della Trasfigurazione.
Fonte – Arcidiocesi di Vercelli