Preghiamo per gli acari
Qualche domenica fa a fine messa mi è capitato un episodio buffo. Una simpatica bambina di una famiglia che partecipa sempre alla messa, alla fine della celebrazione mi ha chiesto a bruciapelo: “don Giovanni, ma cosa sono gli acari?”. Io sono rimasto un po’ stupito dalla domanda che non aveva nulla a che fare con la Messa appena conclusa. Ho sorriso, e dentro di me ho subito concluso che quella domanda era segno che di tutto quello che avevo detto a messa a questa bambina non era importato nulla.
Ma mi sbagliavo. Lei semplicemente mi domandava cosa significasse quella “strana” parola che secondo lei io avevo pronunciato nella preghiera dopo la consacrazione, quando avevo invitato l’assemblea a pregare per il papa, il nostro vescovo, i presbiteri e… gli acari. Semplicemente non aveva compreso bene la parola “diaconi” che al suo orecchio suonavano come “acari”. Quando le ho detto la parola giusta (diaconi) ha voluto sapere cosa fossero… e quella domanda buffa si è trasformata in un’occasione simpatica e informale per spiegare qualcosa del linguaggio della Chiesa e della Liturgia, che davvero non sono sempre così chiari e comprensibili.
Non posso dimenticare come anch’io quando ero piccolo, più o meno dell’età di questa bambina, tante cose che vedevo e sentivo a messa erano per me un mistero e ne storpiavo il significato. Ma stando dentro la comunità, con la mia famiglia e poi con gli amici della parrocchia, il cammino di seminario e poi da prete, ho imparato sempre di più quello che sono e come vivere la vita di fede. E il cammino non si è concluso.
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È come quando si impara a nuotare, è una cosa che possiamo fare tutti, ma non viene in automatico! Si impara a nuotare immergendosi con sempre più frequenza e confidenza nell’acqua della piscina, oppure nel lago e nel mare. Non si impara rimanendo bloccati sul bordo della piscina o sdraiati sulla riva del lago, e tanto meno si impara pensando che basti leggere tutti i libri del mondo sul nuoto.
Con la persona di Gesù, possiamo dire che Dio ha voluto imparare a nuotare nell’umanità, immergendosi totalmente dentro gli uomini. È nato come tutti i bambini ed è cresciuto in una famiglia e in un contesto culturale e religioso concreti. In Creatore si è fatto creatura perché dal di dentro voleva insegnare agli uomini a “nuotare” in Dio, annullando ogni distanza e incomprensione. Ha parlato la lingua degli uomini, ha comunicato con il loro mondo e ha fatto anche l’esperienza più umana e meno divina che ci sia, che è morire. Si è immerso persino nella morte… per poi risorgere!
È questo quello che ci racconta tutto il Vangelo e in particolare l’episodio del battesimo di Gesù nel fiume Giordano, un rito di purificazione e conversione che era riservato agli uomini e non certo a Dio, che non ha bisogno di purificarsi e convertirsi. Ma è proprio immergendosi in quell’acqua, creando sconcerto anche nello stesso Giovanni Battista, che Gesù ha voluto rivelare la sua totale unione con l’umanità, con gli uomini e le donne del suo tempo, di ogni tempo e luogo, anche del nostro tempo e del mio, in una totale unione, anzi “immersione” nella vita vera umana.
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La vita di fede, che per noi inizia con il Battesimo, quando diventiamo cristiani, è questa “immersione” nella comunità dei discepoli di Cristo, è una “immersione” della vita dentro il fiume vivo delle pagine del Vangelo, che siamo chiamati a far scorrere nelle nostre scelte quotidiane. La vita di fede è imparare il linguaggio di Dio che a sua volta ha voluto parlare il nostro linguaggio umano.
Senza questa reciproca immersione, senza scelta di fede, la religione rimane sempre più “un altro pianeta e un altro linguaggio alieno” e le incomprensioni aumentano. Non posso essere cristiano se rimango a bordo piscina e non mi “butto dentro” come invece ha fatto Dio con l’uomo Gesù. E il modo migliore per imparare a nuotare nella fede è vivere nella comunità cristiana, nella Chiesa sentendola parte della propria vita, anche quando non è sempre chiara e perfetta.
La curiosità di quella bambina, così buffa ma sincera, mi ha dato l’occasione per farle imparare qualcosa di nuovo, ma ha insegnato a me a non smettere di dialogare e a immergermi nella vita della mia comunità, così come mi insegna la storia di Gesù, il quale non è rimasto sulla riva del fiume Giordano, ma si è buttato dentro!
Fonte: il blog di don Giovanni Berti (“in arte don Gioba”)