Esegesi e meditazione alle letture di venerdì 6 Gennaio 2023 – don Jesús GARCÍA Manuel

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Prima lettura: Isaia 60,1-6

Fin dall’antichità la liturgia dell’Epifania propone la lettura di questa profezia: la scelta è dovuta essenzialmente all’immagine degli orientali che giungono a Gerusalemme «portando oro e incenso». Il rapporto col Vangelo, infatti, è evidente: Matteo si è rifatto a questo testo per delineare il suo racconto e, a sua volta, la liturgia ha scelto tale poema per illuminare il brano evangelico.

Il capitolo 60 apre un grande poema attribuito al Terzo Isaia (cc. 60-62), profeta della ricostruzione post-esilica: in questo testo viene presentata l’opera del Signore che crea nuovamente l’ordine dopo il caos dell’esilio. È un discorso che il profeta rivolge a Gerusalemme, immaginando la terra avvolta nelle tenebre, mentre una luce, squarciando l’oscurità, si posa sulla città. Come per la creazione primordiale della luce, anche storicamente il popolo ha vissuto un decisivo passaggio dall’abbattimento alla nuova possibilità di vita.

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La città è immaginata come una figura femminile: Sion, mentre si alza per accogliere la luce, diventa luce per le nazioni, un faro che illumina tutti i popoli della terra. Il profeta tratteggia una donna vestita a lutto, sconsolata perché ha perso i figli, in un ambiente lugubre e buio: ma poi, lentamente, la situazione muta, entra la luce, la donna si alza e cambia il vestito, perché vede con entusiasmo i propri figli ritornare da lontano, quelli che credeva perduti.

Ma non soltanto i figli di Sion tornano a casa: il profeta sogna un mondo pacificato e vede arrivare a Gerusalemme tutti i popoli, in un afflusso universale e festoso.

Seconda lettura: Efesini 3,2-3a.5-6

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Il brano della Lettera agli Efesini è incentrata sul tema del mistero, con la particolare sottolineatura della rivelazione universale. Nel cap. 3, infatti, l’apostolo riprende le tematiche che ha trattato in precedenza e mette in evidenza la manifestazione sugli apostoli della potenza divina, che ha rivelato loro il mistero di Cristo, perché lo annunciassero alle genti. In modo particolare Paolo parla del proprio ministero come di un dono di grazia ricevuto da Dio.

Col termine “mistero” l’Apostolo intende il progetto di Dio, eterno e segreto: ma con gioia trionfale egli sottolinea che il segreto non è più un segreto. Ormai il progetto è stato rivelato: non è l’uomo ad aver capito o ad aver conquistato con le proprie forze, ma la rivelazione è avvenuta per il generoso dono con cui Dio ha manifestato all’umanità la propria vita e il progetto sull’umanità stessa. Primi beneficiari di questa rivelazione sono stati gli apostoli: attraverso l’esperienza storica dell’uomo Gesù essi hanno potuto conoscere il mistero nascosto da secoli e generazioni: hanno compiuto un cammino di fede e, guidati dalla grazia, sono giunti ad adorare il Cristo, riconoscendolo figlio di Dio.

Ma la rivelazione concessa agli apostoli non è esclusiva per loro: ad essi, infatti, è stato affidato il compito di far conoscere tale mistero e di rivelare a tutti che il progetto di Dio riguarda l’umanità intera: «le genti sono chiamate, in Cristo Gesù, a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della stessa promessa per mezzo del Vangelo». In tal modo Paolo annuncia che, senza distinzione alcuna di razza o di nazionalità, la salvezza è per tutti gli uomini, giacché tutti possono partecipare alla stessa eredità divina e formare lo stesso corpo di Cristo.

In questo senso si comprende come l’Epifania possa essere considerata la “festa dei popoli”.

Vangelo: Matteo 2,1-12

Esegesi

Nel Vangelo dell’infanzia Matteo raccoglie con maestria le antiche tradizioni sulla nascita di Gesù e con sapienza le cesella perché, come in una grande ouverture, anticipino e presentino i temi fondamentali che la sinfonia del Vangelo svilupperà. Leggendo in questa prospettiva il brano dei magi, possiamo riconoscere che esso racchiude mirabilmente il nucleo del messaggio evangelico di Matteo.

La stella dei magi. – L’episodio dei magi è raccontato in modo così “poetico” che ha prodotto nel tempo molti ampliamenti e variazioni: noi lo leggiamo, avendo in testa già molte precomprensioni, dovute agli innumerevoli ritocchi che la tradizione popolare vi ha aggiunto. Diamo per scontato, ad esempio, che siano “re”, che siano “tre”, che giungano coi cammelli, che seguano una stella cometa; qualcuno ne conosce anche i nomi propri. Ma tutti questi particolari non compaiono nel testo e una sua corretta lettura ne deve tener conto.

L’elemento più significativo del racconto e, al tempo stesso meno realistico, è la stella, che accompagna tutta la vicenda narrata. Non è realistica per diversi motivi: non si comprende il rapporto fra lo spuntare di una stella e la nascita di un re a Gerusalemme; non è facile partire dall’Oriente e riconoscere una città precisa, seguendo una stella; ancor più difficile è capire, stando a Gerusalemme, che la stella indica proprio Betlemme a pochi chilometri di distanza; decisamente impossibile è che un vero astro si possa fermare su una singola casa di un villaggio. Non c’è dubbio sulla natura poetica delle immagini adoperate: ma se è così, è opportuno non correre il rischio di leggere in modo realistico, come se fosse una cronaca, un testo che, invece, si presenta come riflessione poetica e teologica.

Gli strani personaggi, protagonisti del racconto, sono definiti magoi, termine greco che corrisponde all’italiano maghi: però anche nella deformazione del nome si fa sentire la rilettura popolare, giacché comunemente quelle persone sono dette magi, un nome specifico che li rende particolari e unici. Quel termine greco, però, designa in genere i membri della casta sacerdotale persiana, composta da astronomi e astrologi legati alla religione di Zaratustra.

Sono, dunque, stranieri rispetto ad Israele e appartenenti ad un’altra religione: come studiosi delle stelle, hanno individuato un astro speciale e si mettono in ricerca.

Siamo sicuri che si tratti di una stella cometa? Popolarmente sì, ma il testo non lo dice. In realtà fu Giotto il primo a raffigurare in una scena della natività la stella come cometa: la dipinse, infatti nella Cappella degli Scrovegni a Padova (1303-1305), poiché, frequentando un circolo di astrofili, gli era stata descritta con passione la cometa di Halley, da poco osservata nel suo passaggio. È solo un’ipotesi moderna, dunque, che la stella seguita dai magi sia una cometa. Ma la fantasia dei ricercatori ha proposto anche altre soluzioni: per qualcuno si è trattato di una supernova, una specie di esplosione che ha prodotto una realtà astrale nuova; per qualcun altro il fenomeno luminoso chiamato stella sarebbe in realtà la congiunzione dei pianeti Saturno e Giove, che unirebbe l’idea della regalità (Giove è il re degli dei) con il popolo ebraico (Saturno è il pianeta del sabato, quindi alluderebbe a Israele).

Tutte queste spiegazioni, compresi i tentativi di datare l’apparizione di simili fenomeni celesti per conoscere l’anno della nascita di Gesù, non sono proporzionate con il testo di Matteo e non aiutano affatto la sua comprensione. La stella dei magi è un fenomeno letterario e teologico: corrisponde alla stella che aveva visto Balaam, quel mago orientale che Dio aveva “costretto” a benedire Israele, rivelandogli il sorgere di una stella e lo spuntare di uno scettro (cf. Nm 24,17). L’antico oracolo metteva in parallelo stella e scettro, annunciando il sorgere della monarchia davidica: ora l’evangelista riprende la stessa immagine poetica della stella che sorge ed è vista da altri maghi, per indicare simbolicamente lo spuntare della nuova regalità messianica. Alla stella di Davide si sostituisce la stella del Cristo.

I lontani ricercano e si fanno vicini – Il testo non offre molti particolari narrativi e descrittivi; si attiene all’essenziale e presenta in modo simbolico una ricerca faticosa che culmina con un incontro di adorazione.

Anche la scena del dialogo dei magi con Erode non è realistica: segue un modello letterario ed evidenzia tipi diversi di reazione di fronte al messaggio evangelico di Gesù. L’intento principale dell’evangelista, come negli altri episodi del suo racconto iniziale, è concentrato sul compimento delle profezie: in questo caso la citazione del testo di Michea (5,1) intende mostrare come sia possibile, in base alle Scritture, riconoscere gli eventi importanti della vita del Messia. Eppure, la conoscenza della Bibbia non è sufficiente per riconoscere in Gesù il Messia: ci vuole una particolare disposizione d’animo. Gli astrologi orientali, infatti, sono interessati alla novità che non capiscono, mentre i biblisti di Gerusalemme, che sanno la teoria, non sono interessati all’incontro personale. Questo è l’obiettivo del racconto: mettere in contrasto due atteggiamenti.

Per la disponibilità dei magi la stella diventa simbolo della illuminazione divina: è Dio che li guida all’incontro ed essi, con gioia, riconoscono tale guida e si lasciano guidare. Il vertice della narrazione, infatti, sta nel raggiungimento della mèta cercata: il re dei giudei è riconosciuto in un povero bambino, trovato in una semplice casa di un paesino insignificante. Nonostante il contrasto fra la stella e la stalla, i magi «prostratisi lo adorarono». Il verbo greco indica la proskynesis, come forma orientale di adorazione: in quel bambino, dunque, riconoscono l’autentico sovrano. E gli offrono doni.

Anche in questo caso i particolari non sono realistici: passi per l’oro, se si trattava di monete; ma l’incenso era davvero inutile alla Santa Famiglia in quel momento di disagio, mentre la mirra, profumo usato per la composizione funebre dei cadaveri, doveva sembrare proprio di pessimo gusto come dono per un neonato. Una lettura poetica e teologica del testo, invece, sa riconoscere importanti significati in quei doni, con cui l’evangelista mostra un principio di fede cristologica: con l’oro si riconosce il re, con l’incenso si adora la divinità e con la mirra si constata un’umanità vera e destinata a morire. I primi due regali derivano dal testo di Is 60,6 (cf. I Lettura) come esempio di doni preziosi che giungeranno dall’Oriente; il terzo, invece, l’ha aggiunto Matteo, proprio con l’intenzione di anticipare il fatto della sepoltura di Gesù (cf. Gv 19,39).

Non la cronaca, infatti, interessa al narratore, ma il senso degli eventi; proprio per questo possiamo parlare di una ricca “teologia narrativa” presente nell’episodio dei magi. Con precisi e significativi richiami all’Antico Testamento e alla tradizione orale ebraica Matteo mette Gesù in relazione con le grandi figure bibliche e lo presenta come il vertice della storia, l’intervento definitivo di Dio.

Sintesi di teologia narrativa. – Alla nascita di Abramo — racconta la tradizione rabbinica — apparve una stella luminosa, presagio di grandezza che impaurì il potente e orgoglioso re Nimrod; ma ora nasce il nuovo Abramo, vero patriarca del nuovo popolo di Dio. Alla nascita di Mosè — racconta il libro dell’esodo — il popolo è schiavizzato dal faraone e il giovane liberatore è perseguitato e costretto all’esilio; così ora il nuovo Mosè, l’autentico liberatore dell’umanità è minacciato nella sua vita e costretto alla fuga; il faraone ed Erode, simboli del potere tirannico avverso a Dio, solo in apparenza sono vincitori; in realtà entrambi falliscono nelle loro trame di morte. Dall’Oriente venne la regina di Saba per vedere e ammirare la sapienza di Salomone e ora un gruppo di saggi orientali viene a prostrarsi ai piedi di colui che è ben più di Salomone, essendo la sapienza in persona.

Lo sguardo al passato offre così a Matteo la nota della consolazione e della sicurezza: Dio ha già operato in questo modo e perfeziona ora la sua opera. Ma lo sguardo in avanti diventa polemico. Ripensando alla vita del Messia, l’evangelista scorge nell’episodio dell’infanzia i primi segni del suo destino: la gente di Gerusalemme, che pur conosce le profezie, non sa riconoscere l’Atteso; i capi religiosi alleati al capo politico complottano contro il Cristo, non lo accolgono e lo rifiutano. Qualcun altro invece lo riconosce e lo accoglie: sono i lontani, i non ebrei, gli uomini del mondo, la primizia della Chiesa. In questo meraviglioso quadretto abbiamo così rappresentato in controluce la vicenda del Messia morto e risorto e l’apertura missionaria della Chiesa alle genti. Il Vangelo di Matteo, infatti, è tutto incentrato sul dramma del popolo d’Israele che rifiuta il Messia e si esclude dall’eredità divina, la quale passa così ad un altro popolo che faccia fruttificare il dono dell’alleanza.

Ma la polemica si tramuta anche in profezia: l’intervento del Messia, sebbene sia contrastato e rifiutato, avrà il suo effetto. La potente struttura urbana di Gerusalemme viene sorpassata dallo sperduto paesino di Betlemme; chi ha paura di perdere ciò che ha, non è in grado di accogliere colui che viene a donare; solo l’intelligenza in ginocchio davanti al Bambino può «gioire di gioia grande, enormemente».

Meditazione

La città di Gerusalemme (I lettura); la casa (il testo parla di oikía, «casa», non di grotta) di Betlemme dove giace il neonato (vangelo); il ministero apostolico di Paolo (II lettura): i tre testi ci pongono di fronte a tre mediazioni della rivelazione di Dio e della sua volontà di estendere a ogni uomo il suo disegno salvifico. Se la città di Gerusalemme su cui splende la luce di Dio e verso cui si dirigono tutti i popoli è profezia dell’evento messianico nella sua portata escatologica, il ministero apostolico con cui Paolo si rivolge ai pagani chiamandoli alla fede avendo ricevuto per rivelazione la conoscenza del mistero per cui anche i pagani sono chiamati a formare, in Cristo Gesù, un unico corpo, ne è la testimonianza nei tempi della chiesa. La casa di Betlemme, in cui si trova il neonato Gesù e a cui la stella sorta in Oriente guida i Magi, è il luogo periferico, marginale, scelto da Dio per il compimento del suo disegno salvifico: la vera luce va riconosciuta nella debolezza della carne umana del neonato. Egli è la luce annunciata dal profeta, indicata dalla stella, testimoniata dall’Apostolo.

L’incontro con Dio necessita di segni, di mediazioni, forti e impalpabili al tempo stesso come i tutti i segni di luce.

Il testo evangelico presenta la ricerca di Dio da parte dei Magi: ricerca fatta di fiducia, cammino, domanda e, finalmente, incontro. La fiducia di chi si lascia guidare dai segni del cielo e vi obbedisce; il cammino precario di chi non predetermina la strada da percorrere, ma avanza senza conoscere la meta; dunque un cammino segnato da precarietà e insicurezza, ma vivificato da un’attesa ardente; quindi la domanda che denota l’umiltà di chi deve affidarsi ad altri, a chi ha fruito della rivelazione e conosce le Scritture; infine l’incontro, che sempre avviene come scambio di doni e condivisione di povertà. Il cammino dei Magi presenta così diverse analogie con il cammino di Abramo che, in obbedienza alla parola di Dio, intraprese un cammino verso una meta che non conosceva e che il Signore gli avrebbe indicato, cammino segnato da stranierità e precarietà, e orientato dall’attesa del compimento. Se il cammino di Abramo è una ricerca originata dalla fede nel Dio unico, il cammino dei Magi è un cammino che sfocia nella fede nel Dio di Gesù Cristo.

I Magi abbisognano della Torah per giungere al Messia: la luce della stella deve essere accompagnata dalla luce della parola di Dio. La Scrittura non è solo il Libro che indica il luogo di nascita del Messia, ma il Libro che, per il credente, legge il mondo, lo interpreta, gli da un senso. E consente di trovare il Cristo nella quotidianità degli eventi e delle relazioni.

Alla luce da cui i Magi accettano di farsi illuminare si oppone la tenebra in cui Erode sceglie di rimanere: la prima si manifesta come gioia e si esprime nel donare (Mt 2,10-11), la seconda è sinonimo di turbamento, si manifesta come volontà di sopprimere (Mt 2,3.13), come menzogna e doppiezza (Mt 2,7-8).

Ma vi è una tenebra che persiste anche nei nostri cuori e nelle nostre menti quando intendiamo la rivelazione divina e il suo disegno salvifico in senso esclusivo ed escludente, attribuendo al Dio di ogni carne le nostre grettezze, le nostre diffidenze verso l’altro, i nostri rifiuti verso il diverso e il lontano. Il cammino dei Magi deve divenire spiritualmente il nostro cammino di conversione dal «contro» al «con». Del resto, noi, che proveniamo dalle genti, dal mondo pagano, abbiamo già beneficiato dell’estensione dell’eredità promessa a chi proveniva dal popolo eletto: noi etnico-cristiani siamo intravisti dalla Lettera agli Efesini quando parla di coloro che sono divenuti coeredi (coheredes), partecipi dello stesso corpo (concorporales) e compartecipi (comparticipes) della promessa accanto e insieme ai giudeo-cristiani. Il passaggio dal contro al con si fonda quindi sulla morte e resurrezione di Cristo, evento nel quale Gesù ha vinto l’inimicizia e fatto la pace tra i due popoli, tra il giudeo e il greco. La nostra luce non può trovare una garanzia nel pensare che gli altri sono nella tenebra. Né può significare la volontà di mantenere gli altri nella tenebra. La luce di Cristo è venuta nel mondo per illuminare ogni uomo.

Commento a cura di don Jesús Manuel García