Dal libro dei Numeri (Nm 6, 22-27)
Porranno il mio nome sugli Israeliti, e io li benedirò.
Il Signore parlò a Mosè e disse: «Parla ad Aronne e ai suoi figli dicendo: “Così benedirete gli Israeliti: direte loro:
Ti benedica il Signore
e ti custodisca.
Il Signore faccia risplendere per te il suo volto
e ti faccia grazia.
Il Signore rivolga a te il suo volto
e ti conceda pace”.
Così porranno il mio nome sugli Israeliti e io li benedirò».
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Con la benedizione i sacerdoti svolgono il loro ministero di mediatori. Non si tratta di una formula magica ma di un annuncio e di una promessa, ovvero dell’impegno che Dio prende con gli uomini e il servizio che intende offrire loro. I sacerdoti, pronunciando il nome di Dio davanti agli Israeliti, non solo lo rappresentano ma lo ripresentano nell’atto di manifestare la sua identità, come aveva fatto a Mosè dal roveto ardente e sul monte Sinai. Dire il proprio nome significa consegnarsi nelle mani dell’altro, affidargli la chiave di accesso al proprio cuore, intessere con lui una relazione nella quale donarsi intimamente e reciprocamente. Dire il proprio nome vuol dire mettersi a nudo senza vergogna presentandosi nella propria irriducibile verità. Nel nome di Dio non è contenuto un potere magico da sfruttare a proprio piacimento. Quando se ne fa un uso sbagliato, la benedizione si muta in maledizione. Il nome di Dio è giustizia e misericordia che non sono parole vuote ma si concretizzano nella salvezza operata da Lui nella storia. Il modo verbale del congiuntivo con il quale sono coniugati i verbi dell’azione divina, benedire, custodire, far splendere, fare grazia, rivolgere e concedere, non sono un auspicio rivolto al Signore ma un’esortazione indirizzata all’uomo perché, accogliendo il nome di Dio su di sé si lascino benedire da Lui per essere a capaci di benedizione verso tutti.
Siamo chiamati a benedire Dio, ringraziandolo per la sua misericordia, e a benedire gli uomini riconoscendo in loro l’opera di Lui, il quale si serve di ognuno, anche di chi umanamente è considerato indegno, per raggiungere tutti.
Sal 66
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Dio abbia pietà di noi e ci benedica.
Dio abbia pietà di noi e ci benedica,
su di noi faccia splendere il suo volto;
perché si conosca sulla terra la tua via,
la tua salvezza fra tutte le genti.
Gioiscano le nazioni e si rallegrino,
perché tu giudichi i popoli con rettitudine,
governi le nazioni sulla terra.
Ti lodino i popoli, o Dio,
ti lodino i popoli tutti.
Ci benedica Dio e lo temano
tutti i confini della terra.
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Gàlati (Gal 4,4-7)
Dio mandò il suo Figlio, nato da donna.
Fratelli, quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la Legge, per riscattare quelli che erano sotto la Legge, perché ricevessimo l’adozione a figli.
E che voi siete figli lo prova il fatto che Dio mandò nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio, il quale grida: Abbà! Padre! Quindi non sei più schiavo, ma figlio e, se figlio, sei anche erede per grazia di Dio.
Paolo, parlando ai Galati, ricorre all’immagine del fanciullo che giuridicamente è padrone di tutto, ma è schiavo perché dipendente da tutori e amministratori fino al tempo stabilito dal padre. L’apostolo afferma che il tempo del tutoraggio e dell’amministrazione delegata è terminato quando Dio ha mandato suo Figlio nel mondo. Egli è apparso come vero uomo ed ebreo, sottomesso all’autorità dei genitori e a quella della Legge. Gesù ha pienamente adempiuto ai comandamenti grazie all’educazione avuta in famiglia e nella comunità che tutti i sabati si riuniva nella sinagoga per ascoltare la Parola di Dio. Pur essendo figlio dell’uomo, non è diventato Figlio di Dio, ma lo è sempre stato. Tuttavia, si è manifestato veramente come tale quando ha portato a compimento la Legge e i Profeti salendo sulla croce per offrire la sua vita in riscatto di tutti gli uomini. Adempiendo il comandamento dell’amore e consegnando la sua vita nelle mani di Dio e il suo. Corpo in quelle degli uomini, dalla croce ha effuso su tutti lo Spirito Santo affinché ricevendolo nel cuore, potessimo manifestare la nostra figliolanza divina nello stesso modo con cui Gesù Cristo l’ha resa visibile a tutti con il suo sacrificio. Lo Spirito Santo scrive il nome di Dio nel nostro cuore come sigillo di appartenenza a lui come figli. Il nome di Dio è la nostra vera eredità. A nulla servirebbe possedere questo tesoro se non fosse santificato il nome di Dio in noi mediante le opere della giustizia e della misericordia. Esse sono le opere di Dio che Egli realizza mediante la nostra volontà e le nostre facoltà. Lo Spirito Santo agisce in noi sia per pregare il Signore da figli chiamandolo «Babbo, Padre», sia per operare il bene verso gli altri uomini dichiarando il nostro nome di cristiano, figlio di Dio e fratello di tutti nella fede.
+ Dal Vangelo secondo Luca (Lc 2,16-21)
I pastori trovarono Maria e Giuseppe e il bambino. Dopo otto giorni gli fu messo nome Gesù.
In quel tempo, [i pastori] andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia. E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro.
Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori. Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore.
I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro.
Quando furono compiuti gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo nome Gesù, come era stato chiamato dall’angelo prima che fosse concepito nel grembo.
La pagina del vangelo di Luca dopo l’incontro tra i pastori di Betlemme e la famiglia di Nazaret accenna alla circoncisione e all’imposizione del nome. Sia l’incontro che gli eventi nell’ottavo giorno dalla nascita del bambino sono la risposta obbediente alle sollecitazioni divine. I pastori si mettono in viaggio, dopo aver ascoltato l’annuncio dell’angelo, la circoncisione nel giorno ottavo si compie in ossequio alla legge e il nome Gesù è dato al bambino in obbedienza all’indicazione dell’angelo. I pastori e i genitori di Gesù agiscono in risposta all’ evento annunciato nella sua portata prima e dopo il suo accadimento. La parola dell’angelo permette di cogliere nell’evento della nascita il compimento del disegno divino. La natività è il segno dell’opera di Dio che inizia a compiersi. La parola fa dell’evento, che ha Dio come soggetto, un appello alla responsabilità rivolto agli uomini.
L’evento contemplato con gli occhi della fede, illuminati dalla Parola che ne offre la vera chiave di lettura, spinge i pastori a condividere la loro emozione narrando la propria esperienza d’incontro con Dio che è il soggetto annunciante e l’oggetto annunciato del Vangelo. Nelle parole dei pastori, evangelizzati ed evangelizzatori, riecheggia la Parola che rende agli occhi di ascolta un fatto comune, come poteva essere la nascita di un bambino, un evento il cui valore supera le umane attese. La gente reagisce con lo stupore perché si rende conto che si trova davanti all’opera di Dio. Questa emozione rivela la consapevolezza della distanza che si viene a creare tra la grandezza dell’annuncio e la piccolezza del segno, tra la straordinarietà della promessa e l’ordinarietà dell’evento in cui si realizza, tra la gloria manifestata e l’umiltà toccata con mano.
La meraviglia non sempre ha un seguito, per cui il fatto si condensa in episodio, che per quanto sia meraviglioso, rischia di rimanere isolato. Il fatto diventa evento se si segue l’esempio di Maria che conserva la parola accaduta nel cuore e la medita cercando di trovare il nesso tra la sua esperienza e l’evento, tra la vita di Dio e la sua. Il dire e l’operare di Dio non sono mai disgiunti e soprattutto non sono mai autoreferenziali, ma costituiscono il linguaggio attraverso il quale Egli è in relazione con gli uomini comunicando con essi e comunicandosi a loro. Conservare nel cuore significa ricordare, cioè coltivare la memoria, affinché la Parola di Dio sia significativa e lasci un segno nella propria vita. Il ricordo non è un fatto statico che genera nostalgia o rimpianto, ma è un’attività di ricerca del cuore e della mente che determina le scelte pratiche da attuare. Maria non si accontenta di ciò che è e non le basta sapere quello che sarà suo figlio. Si pone anche la domanda di quale compito ella debba assumere per rispondere e collaborare al progetto di Dio. Anche Maria è evangelizzata, una prima volta a Nazaret e una seconda volta a Betlemme. Dopo la prima adesione, che ha aperto la porta alla venuta di Dio nel mondo, Maria comprende che è chiamata ancora a confermare la sua obbedienza perché la missione affidata al figlio non fosse solo confinata a Israele ma si estendesse a tutti gli uomini. Il nome che Adam aveva dato ad Eva, la madre dei viventi, diventa la vocazione di Maria, la nuova Eva. L’adesione al progetto di Dio che pian piano si delinea dinanzi a lei non avviene con le parole ma con i fatti, non da sola ma insieme a Giuseppe.
La circoncisione e l’imposizione del nome è l’espressione pratica dell’obbedienza alla Legge e al Vangelo che non sono disgiunti tra loro ma stanno nel rapporto promessa-compimento. La circoncisione è il segno di adesione alla sua proposta di alleanza che Dio chiese ad Abramo legando alla sua risposta il compimento della promessa fatta al Patriarca (cf. Gn 17). La circoncisione è un segno permanente nella carne. Abram diventa Abramo, ovvero padre di una moltitudine, quando acconsente di tagliare una parte di sé, significando con questo gesto di accettare di essere mancante. Con la circoncisione Abramo imita Dio nella scelta di non essere tutto ma di farsi mancante per entrare in una relazione di vera complementarietà con l’altro. La povertà, quale stile di vita, non è qualcosa da nascondere per vergogna, ma è la condizione per crescere nella relazione con l’altro da sé, in particolare con la propria moglie.
La fecondità, benedizione incarnata nella relazione di coppia, fiorisce all’interno di un rapporto che gradualmente viene purificato dalla tendenza alla possessività per essere pura oblatività. La circoncisione, che nasce come rito di passaggio e di ingresso, per Maria e Giuseppe diventa il modo con il quale si assumono concordemente la responsabilità di collaborare all’opera di Dio. Come fu per Abramo, che si fece circoncidere insieme a suo figlio Ismaele e agli altri appartenenti maschi della famiglia, anche per Maria e Giuseppe la circoncisione rappresenta un momento importante nel quale si opera un taglio a quel legame umano che facilmente sarebbe potuto scadere in possessività sia nella relazione coniugale sia in quella genitoriale. La circoncisione è un atto rituale che si compie una sola volta ma che richiede di essere sempre confermata nel cuore, soprattutto nei momenti di crisi, come è accaduto ad Abramo sul monte Moria e a Maria sul Golgota.
Per Abramo la circoncisione fu il segno col quale fece la sua professione di fede scegliendo Dio come suo Signore e aderendo in tutto all’alleanza propostagli da Lui, sicché la benedizione promessa trova spazio per la sua realizzazione. Abramo si lascia benedire da Dio che lo educa alla paternità, quella che non si esercita con autoritarismo ma che si vive nel rispetto e nella benevolenza, innanzitutto verso la propria moglie. In tal modo, la benedizione che feconda Abramo passa anche a Sara che viene sanata dalla sua sterilità per essere capace di concepire e, così essere lei stessa partecipe del compimento della promessa. Dare il nome significa affermare il legame di appartenenza.
Il nome Gesù, che significa Dio salva, si rivela la vocazione e la missione del figlio di Giuseppe e Maria. Nel dargli il nome, indicato loro dall’angelo, essi intendono affermare che quel bambino essi lo ricevono da Dio come dono e lo riconoscono come Figlio del Dio che viene a salvare. È Gesù la benedizione di Dio che si realizza nell’ambito di una relazione benedetta da Dio e tessuta giorno per giorno seguendo la voce dello Spirito che orienta il cuore di ciascuno verso l’altro.
Leggi la preghiera del giorno.
Commento a cura di don Pasquale Giordano
Vicario episcopale per l’evangelizzazione e la catechesi e direttore del Centro di Spiritualità biblica a Matera
Fonte – il blog di don Pasquale “Tu hai Parole di vita eterna“