Madre e figlio
Il rapporto tra madre e figlio è certamente una delle dimensioni più misteriose e al contempo fondamentali nella vita di ogni essere umano. Quel rapporto fusionale tra la madre e il bambino che porta nel suo grembo non si cancella nella memoria affettiva, nonostante quel primo trauma che è il taglio del cordone ombelicale, che diventa immagine di tutte quelle altre separazioni che via via segnano la vita della persona. La relazione che si stabilisce con la madre, quello che Bowlby chiamava attaccamento, caratterizza in modo decisivo la personalità del figlio. Il nostro modo di relazionarci con il mondo dipende molto da come abbiamo vissuto quel legame fondamentale nella nostra vita. Quando parliamo di maternità parliamo necessariamente di una relazione: si è madre di qualcuno, così come essere figlio dice sempre che la vita ci è stata data da qualcuno, non è nostra, l’abbiamo ricevuta, e qualcuno si è preso cura, bene o male, come ha potuto, di noi.
Maria e Gesù
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La solennità di Maria madre di Dio ci parla allora di questa relazione: Maria è sempre in relazione con Gesù, suo figlio. Anche per questo, nelle icone orientali, Maria viene rappresentata o con il bambino o incinta, perché non è possibile pensare Maria senza la sua relazione con il figlio. Il testo del Vangelo che leggiamo in questa ricorrenza (insieme ai versetti che completano la pericope nel Vangelo di Luca) ci presentano la meraviglia di Maria davanti a suo figlio. Ogni madre è chiamata a questa meraviglia, perché ogni madre si rende conto che il figlio diventa sempre di più qualcosa di separato e diverso da lei: persino Simeone, nella sua profezia, parlerà di una spada che taglia e separa, è quella spada che costringe alla distanza. Una madre pian piano si rende conto che il figlio non è sua proprietà e sperimenta così il vero senso della gratuità: dare la vita senza la possibilità di controllarla. Insieme alla vita, una madre deve donare al figlio anche la libertà e se questo non avviene la relazione si ammala. Il possesso altera quella relazione e progressivamente può distruggerla.
Diventare madre
Anche Maria è chiamata a fare questo cammino di separazione e libertà che le permette di diventare madre. Nel v.19 di questo secondo capitolo del Vangelo di Luca leggiamo infatti che «Maria custodiva tutte queste meditandole nel suo cuore». Solo alla fine di questo capitolo, al v.51, Luca si riferisce a Maria chiamandola ‘madre’ e ripetendo, quasi allo stesso modo, le parole del v.19, dice infatti: «sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore». Cosa è successo lungo questi versetti? Cosa accade nella vita di Maria al punto da renderla Madre? Ci sono tre situazioni che vengono raccontate da Luca e che rappresentano tre tappe di un cammino: la visita dei pastori che riferiscono quello che è stato detto loro; la profezia di Simeone; il ritrovamento di Gesù nel Tempio fra i dottori. È un cammino che racconta la crescita di Gesù e pian piano sembra sempre più chiaro la vita di Gesù sfugge al controllo di Maria: le sfugge fino al punto da trovarlo laddove non avrebbe pensato. Quando infatti, insieme con Giuseppe, Maria si accorge che Gesù non è nella carovana con loro, va a cercarlo presso i parenti e gli amici, dove cioè lei immagina che possa essere. Solo dopo tre giorni, quando sarà stata certamente sgomenta e addolorata, ritrova Gesù dove lei non aveva pensato, nel Tempio. E accoglie il fatto che la vita del figlio possa essere così. A quel punto Maria diventa madre! Sì, perché si diventa madre o padre quando si è disposti a vedere il proprio figlio laddove non avremmo pensato.
Custodire
C’è però anche un’altra differenza tra il v.19 e il v.51, una differenza che chiarisce il percorso della maternità di Maria: il verbo che traduciamo in italiano con custodire in entrambi i versetti, in realtà corrisponde a due verbi leggermente diversi. In 2,19 il verbo è synthereo, mentre in 2,51 è diathereo. La differenza è che il primo verbo, synthereo, indica un modo di custodire più attivo, come quello di una sentinella che custodisce la città; nel secondo caso, diathereo, indica un custodire più passivo, come per esempio quello di una cassapanca che custodisce quello che altri ci hanno messo dentro. Il percorso di Maria è partito quindi da un’intenzione di custodire l’opera di Dio in maniera vigilante e responsabile, ma piano piano si è accorta che il Signore le chiedeva di accogliere quello che Dio continuava a fare in lei e nella vita di suo figlio. È quel cammino che la vita cerca sempre di insegnarci, è il cammino della fiducia, che non ci toglie la responsabilità, ma ci invita a riconoscere chi è il vero autore della storia.
Mettere insieme i pezzi
Il motivo che ha permesso questo percorso ce lo dice ancora una volta il v.19: Maria meditava queste cose nel cuore. Anche qui è importante il verbo usato da Luca per indicare l’azione del meditare: synballo, che letteralmente vuol dire mettere insieme i pezzi. Il cuore è la parte più profonda di noi, lo spazio della preghiera e dell’incontro con Dio. Maria mette insieme i pezzi nel suo cuore, raccoglie quello che emerge nella preghiera, ascolta la realtà e ascolta la voce di Dio. Non abbiamo bisogno di avere necessariamente tutti i pezzi e forse non è neanche possibile avere a disposizione tutti i pezzi, ma mettendo insieme quei frammenti che la vita ci offre, possiamo capire più o meno quello che il Signore ci sta dicendo e verso dove sta conducendo la nostra vita. Maria è immagine quindi di una madre orante, la quale lascia che la preghiera attraversi la sua maternità.
La potenza del nome
Ma la maternità è una relazione. Il testo di Luca racconta qui infatti quel gesto fondamentale che i genitori fanno: dare il nome al figlio. Dare il nome significa dare un’identità, perché da quel momento in poi Gesù può essere chiamato. Nel caso di Maria e Giuseppe è anche un dono per tutti noi. Il nome di Gesù ci permette di invocare la sua persona, possiamo chiamarlo, possiamo rivolgerci a lui. Dietro il nome c’è la persona. Per questo per esempio la Chiesa madre dei gesuiti a Roma è intitolata proprio al nome di Gesù e la pala dell’altare maggiore rappresenta il brano della circoncisione che leggiamo in questa solennità. Il nome è così prezioso e potente che nel nome di Gesù si piega ogni ginocchio. Possiamo anche pregare, come il pellegrino russo, ripetendo semplicemente il nome di Gesù! È nel suo nome infatti che siamo benedetti, è nel suo nome che riceviamo ogni grazia.
All’inizio di questo nuovo anno, la liturgia fa risuonare infatti questa parola di benedizione che, da Aronne in poi, si compie nel nome di Gesù. Sotto la protezione di questo nome vogliamo mettere allora ogni giorno, ogni attimo, di questo nuovo anno che ci sta davanti, chiedendo nel suo nome che questo nuovo anno possa essere anzitutto un anno di pace.
Leggersi dentro
- Qual è lo spazio che Maria ha nel tuo cammino di fede verso Gesù?
- In quali aspetti desideri imitare Maria?
per gentile concessione di P. Gaetano Piccolo S.I.
Fonte