don Paolo Squizzato – Commento al Vangelo del 25 Dicembre 2022

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Secondo una tradizione affermatasi nel secondo secolo, Gesù nasce in una grotta. E terminerà la sua avventura terrena ancora in una grotta, quella del sepolcro. La grotta è un simbolo ambivalente. Anfratto della madre Terra, simbolo uterino di fecondità, e perciò di vita. Ma altresì luogo oscuro, dove è possibile smarrirsi, precipitare, morire. A dirci che la vita, e quindi l’amore, necessita di essere ferita per portarsi a compimento.

Nascita e morte sono quindi inestricabili: sistole e la diastole, inspirazione ed espirazione, notte e dì. Solo l’unione degli opposti condurrà alla pienezza. Inoltre la tradizione vedrà nelle fasce con le quali viene avvolto il bambino fasce funerarie: il seme ha bisogno di conoscere il buio della terra per poter germogliare.

Quel bambino, stando al verbo greco, viene ‘sdraiato’ in una mangiatoia, e non ‘adagiato’ come in traduzione. Stesso termine usato nell’atto di sdraiarsi a terra per prendere il cibo, negli ambienti mediorientali. Ma qui l’Amore non si sdraia per mangiare ma piuttosto per farsi mangiare. L’amore o si dà in cibo o si consuma nell’inutilità, come sarebbe accaduto avesse ‘trovato posto nell’alloggio’, luogo di riposo e tranquillità.

«Non è attraverso il divino che noi sperimentiamo l’umano; piuttosto il contrario, è dall’interno dell’umanità che sperimentiamo il divino. È la piena umanità di Gesù che rivela ciò che Dio è, è nella pienezza dell’umanità di Gesù che possiamo sperimentare che cosa significhi vivere oltre le barriere del nostro passato evolutivo e innalzarci a un’umanità che è riempita dallo spirito, aperta alla sorgente della vita e dell’amore, al “fondamento dell’essere”» (J.S. Spong).

Non dunque un Dio che decide di entrare nella storia umana prendendo in prestito un corpo, ma piuttosto pienezza d’uomo verificatasi per via d’amore, così da manifestare il divino.

Il Natale forse non è memoria d’un fatto compiutosi nel passato, ma presa di coscienza che la mia umanità, nella misura in cui si ‘sdraia’ nella storia del tempo dandosi in cibo, manifesterà il divino all’opera.

Crescendo in umanità, si propagherà il divino attorno a noi.

‘Incinti’ di Dio, lo si partorirà nel mondo per via di umanizzazione.

Ogni gesto di bene, ogni frammento di luce gettato nella tenebra, ogni segno di cura che dona dignità all’essere umano, ogni parola che edifica, ogni abbraccio che scalda e rimette in piedi, contribuirà ad incarnare Dio nel mondo, dissipando la caligine di buio che avvolge tutta la terra.

E questo parto sarà doloroso certo, perché amare costa fatica, la fatica ascensionale dell’essere umano. Il dolore, il pianto accompagneranno questa nostra ri-nascita. Ma d’altra parte nel vangelo non v’è scritto ‘felici coloro che amano’, ma ‘quelli che piangono’ (Mt 5, 4). A ricordarci che l’amore avrà sempre il sapore delle lacrime, perché è morte del proprio piccolo io, della propria vana-gloria.

AUTORE: don Paolo Squizzato

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