Solitamente il Vangelo ci presenta un episodio della vita di Gesù: le parabole, le guarigioni, gli incontri e i dialoghi, gli insegnamenti ai discepoli, le dispute con i farisei, le vicende drammatiche della passione e della morte, le apparizioni dopo la risurrezione. Invece nel Vangelo che ci viene presentato in questa seconda domenica di Avvento, Gesù non è presente. Come il Messia è atteso da Israele, così la liturgia, ogni anno, ci ripropone questo tempo forte, come tempo di rinnovato impegno nel cammino della vita sulle orme del Signore già e non ancora venuto. Come viviamo questo tempo?
L’attesa, spesso, non è un tempo di inattività, ma il tempo dei preparativi, il tempo per gustare in anticipo la gioia di una presenza. Come viene vissuta l’attesa non di rado dipende dalle aspettative che si hanno. Il Vangelo di oggi ci mette davanti due possibili modi di attendere. Giovanni il Battista attende un messia-giudice, che verrà a separare i buoni dai cattivi, con intransigenza. E lui si prepara a questo incontro innanzitutto in prima persona, con una rigida disciplina. La sua vita, difficilmente imitabile, è però un segno per la gente dei dintorni, che accorre a chiedere il battesimo di conversione. Ma non tutti sono ben accolti.
Il messia che Molti farisei e sadducei aspettavano, forse, era quello che li avrebbe semplicemente confermati nella bontà delle loro pratiche religiose. Riempivano l’attesa con la falsa sicurezza data dall’appartenenza al popolo di Dio, più per diritto di nascita che per nobile comportamento. Gesù, in altri passi del Vangelo, rimprovererà loro di vivere una fede fatta di pratiche puramente esteriori, dove alla lunga, anche i piccoli e importanti gesti compiuti per Dio, da strada verso di Lui e verso i fratelli e le sorelle, si trasformano in fumo negli occhi.
Qual è il modo “giusto” di vivere l’attesa? Quello che tiene il cuore pronto a lasciarsi convertire, non solo nel modo di parlare, ma anche di ragionare e di agire. Quello che è capace di lasciarsi incontrare e portare per strade nuove, per ricevere e donare vita. Quello che è anche capace di sopportare, di fare rinunce, di sacrificio… non per obbligo, né per paura, né per acquistare meriti e diritti, ma unicamente per amore, per allargare gli spazi in cui le sorelle e i fratelli possano sentirsi accolti e respirare la vita bella del Vangelo.
sr. Agnese monastero di Bra – FONTE
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