Attenzione e preghiera
Gesù si trova nel tempio di Gerusalemme a ridosso della Pasqua e del compimento della sua passione e pronuncia questo grande discorso sugli ultimi tempi, sulla venuta del Figlio dell’uomo. Noi viviamo oggi una grande vigilia, entriamo con i primi vespri nel mistero e sacramento dell’Avvento, tempo della gioiosa attesa del Signore che viene nella gloria.
Noi cristiani abbiamo perso questa dimensione fondante della fede in Gesù Cristo: l’attesa, la consapevolezza che ciò che ci rende discepoli, e anzitutto la certezza e la speranza che il Signore viene a ristabilire la giustizia e la verità, ad asciugare le lacrime sui nostri volti, a portare la pace e compiere il suo grande, terribile e misericordioso giudizio.
Abbiamo ascoltato nei passi che precedono i nostri versetti come questo giudizio non si debba leggere in termini di distruzione di tutto, non come un’apocalisse catastrofica e cosmica; queste cosa avvengono certo: guerre, terremoti, catastrofi, persecuzioni, ma non è subito la fine. Se ci guardiamo intorno, se osserviamo la storia degli esseri umani, tutto questo appartiene ad una quotidiana ordinaria follia nel nostro oggi, non serve pensare ad un futuro distopico come quello immaginato in certi film.
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Però il Signore Gesù ci mette in guardia: non è subito la fine, la lettura catastrofica della fine dei tempi non è la sola lettura possibile. Il fine ultimo della vita e della fede non sono il male e la distruzione che osserviamo intorno a noi, il fine ultimo è la nostra salvezza, è la redenzione e la liberazione verso le quali siamo esortati a procedere con la testa alta, vigilanti per stare in piedi davanti al Signore che viene.
Sono due le esortazioni fondamentali che il Signore ci rivolge: state attenti a voi stessi e vegliate e pregate in ogni momento.
Queste parole: guardatevi, state attenti a voi stessi non devono suonare a nostri orecchi come la minaccia di un terribile castigo qualora la nostra vita fosse dissipata. Esse dovrebbero risuonare nel nostro cuore piuttosto come un invito pressante ad avere cura di noi, delle nostre vite. Solo prendendoci cura di noi possiamo sperare di avere cura degli altri. Questo prendersi cura di noi stessi assume i tratti della fede cristiana quando è sostenuto dalla speranza e dalla certezza che il Signore viene, colui che è mite e umile di cuore, che ha preso su di sé, sulla sua croce i pesi e gli affanni che ci piegano e ci schiacciano perché noi possiamo alzare il capo per guardare a lui, per invocarlo incessantemente: “Maranathà, vieni Signore Gesù”.
Dobbiamo sempre ricordarci di questo quando le vicende della vita ci schiacciano impedendoci di sollevare il capo, dobbiamo ricordarcene quando sentiamo il peso e la sofferenza per il male che ci circonda ed è rivolto verso di noi; tutto questo non è l’effetto del giudizio di Dio, perché Dio per noi vuole la salvezza, la redenzione perché noi possiamo stare in piedi davanti a lui nel giorno del suo misericordioso giudizio.
La vigilanza e la preghiera rendono possibile tutto questo. Ma vegliare e pregare significa per noi rimanere nella sua parola, significa invocare il suo Spirito santo che solo può darci la forza per andare avanti quando siamo perseguitati e oppressi, significa desiderare e sperare nella sua gloriosa e misericordiosa venuta, forti della sua Parola che non viene mai meno, forti della solidità della parola sulla quale possiamo e dobbiamo fondare la nostra perseveranza, ogni nostra speranza e desiderio.
Solo così con cuore alleggerito e sollevato potremo incessantemente con speranza continuare a invocarlo: “Maranthà, vieni Signore Gesù”.
fratel Nimal
Per gentile concessione del Monastero di Bose
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